22 febbraio 2018

I 70 DI TEX

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Quest'anno son 70 anni da quando,nel 1948,il fumettista e scrittore Giovanni Luigi Bonelli e il fumettista Aurelio Galleppini crearono"Tex Willer",l'eroe di una serie a fumetti western destinata a diventare un mito nell'immaginario dei lettori italiani di fumetti.Non ha età Tex.Lo leggevano e lo continuano a leggere gente di tutte le età.Tex Willer,in sella al suo fedele cavallo Dinamite,continua a percorrere le praterie della nostra fantasia,da quel lontano 1948,quando l’Italia era appena uscita dalla tragica esperienza della seconda guerra mondiale.Tutto si consuma in fretta,in Italia,tranne la passione per la pizza,per la mamma e per la squadra del cuore.E per Tex.Già,perchè un fumetto che arriva trionfalmente ai  70 anni di vita,è qualcosa di assolutamente eccezionale,come,per dire,un governo italiano che giunga sino al termine della legislatura.Un “re” dei fumetti come il mitico ranger Tex Willer,con i suoi inseparabili pards:Tiger Jack, indiano della tribù Navajo fratello di sangue di Tex, Kit Willer, figlio di Tex e Kit carson,non regna per un tempo così lungo senza avere dei meriti speciali,che ne spieghino la longevità e ne giustifichino l’inalterato favore del pubblico.Ecco,appunto:perché Tex si fa amare in una maniera così viscerale?Probabilmente il fascino di Tex,ranger dalla pistola implacabile e capo bianco della tribù dei Navajos,ha a che fare con la situazione sociale propria del pubblico al quale si rivolge,cioè con l’Italia quale fenomeno sociologico,culturale, spirituale.Questa caratteristica di Tex Willer è la lotta senza quartiere,non solo contro ogni forma di ingiustizia,ma specificamente contro le ingiustizie dei potenti,degli arroganti,dei "pezzi grossi",dei "politicanti" e di ogni sorta di mascalzoni altolocati.In questo senso Tex opera nei lettori  una sorta di "transfert";una funzione di giustiziere,per interposta persona,delle loro quotidiane frustrazioni,contro un capufficio stupido e insolente,un impiegato pubblico scortese e presuntuoso,o – peggio – con il mondo anonimo,ma ancor più opprimente e prevaricante delle banche,dell’amministrazione pubblica e delle mille disfunzioni e lungaggini dello Stato,a fronte della rapace avidità del sistema fiscale.Il cittadino che si sente impotente ed inerme davanti ad una municipalità che non sa nemmeno smaltire i rifiuti,ad una regione che non assicura un minimo di efficienza nella viabilità stradale,ad uno Stato che gli centellina avaramente i diritti mentre gli fa pesare come un macigno i doveri,si vede, per così dire, "vendicato" dal pistolero infallibile,mosso da un senso  rigoroso, di onestà e giustizia.I nemici più acerrimi di Tex ,infatti,sono i grossi trafficanti d’armi,gli sceriffi corrotti,i maggiori dell’esercito imbecilli,i banchieri senza scrupoli,i disonesti proprietari dei grandi allevamenti bovini ed i boss della malavita che agiscono dietro una facciata di apparente rispettabilità,mentre intrallazzano con i peggiori sgherri della società.
Davanti ai "pesci piccoli",alla bassa manovalanza,Tex è disposto a chiudere un occhio e a concedere loro una via di scampo,a patto che spariscano dalla circolazione;ma nei confronti dei veri banditi,quelli del potere economico e politico,non concede nulla.Questo,però,conservando quella sua simpatia di fondo,come quando lui e Kit Carson ordinano al proprietario della locanda enormi bistecche,contornate da montagne di patatine fritte.Sì,questo è Tex:l’istintiva solidarietà con gli umili,l’istintiva benevolenza verso i piccoli;e,viceversa,l’altrettanto istintiva avversione per i potenti malversatori,delle loro losche amicizie,dei loro privilegi.Egli si schiera sempre dalla parte della giustizia,quando però la giustizia è veramente giusta e fatta applicare in modo giusto da sceriffi onesti.Non ha pregiudizi etnici ed è talmente lampante la sua imparzialità nello spedire al Creatore i cattivi, che può anche permettersi di sfogare un bel po’ di malumore razzista verso bianchi neri e gialli,non risparmiandoci nemmeno frequenti discorsetti edificanti,nei quali tesse le lodi della tolleranza e celebra il valore della umana comprensione.In fondo al lettore piace in Tex anche quella filosofia della giustizia fai-da-te,pronta e inesorabile come la mano del Signore.Quella "giustizia fai da te" che si avverte quasi come una necessità in molte parti d'Italia ,quando,difronte ad uno Stato e una magistratura incapaci di tutelare il cittadino,questo si trova pure imputato di omicidio o eccesso di legittima difesa se spara contro malviventi penetrati di notte in casa sua.
In quell'italico personaggio di Tex Willer c'è quel qualcosa che, probabilmente, un tedesco, un francese o un inglese stenterebbero a capire.Perché,in un Paese dove la legge fosse presa sul serio da tutti i cittadini e lo Stato non fosse visto come il nemico da cui difendersi;in un Paese dove non imperversassero i particolarismi campanilistici, la corruzione sistematica, la malavita organizzata,ecco,in un Paese e uno Stato come questo,forse un tipo come Tex perderebbe un poco del suo smalto.Tex è un eroe che agisce in circostanze eccezionali,quando la legge stenta a farsi strada,quando c’è il rischio che i delitti rimangano impuniti e che i mascalzoni la facciano franca;in un Paese serio e bene amministrato, che ci starebbe a fare Tex?"Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi",diceva Bertolt Brecht.Ma in Italia,purtroppo,abbiamo ancora bisogno di eroi e Tex,perciò,nel nostro immaginario collettivo continua ad essere,un piccolo,grande eroe italiano.


P.S. L'IMMAGINE RIPORTATA SOPRA IL POST E' STATA RIPRESA DAL WEB


20 febbraio 2018

LETTERA ALLO STATO

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Qualche giorno dopo aver scritto l'ultimo mio post sui fatti accaduti a Piacenza e sull'aggressione subita da un carabiniere ad opera di un gruppo di cosiddetti "antifascisti" ho saputo di una lettera scritta al Direttore di "Avvenire", il giornale,della Conferenza Episcopale Italiana,da una moglie di un uomo delle forze dell'ordine che ha chiesto di non pubblicare il proprio nome.Quella lettera l'avrebbero potuta scrivere tante altre madri o mogli o figlie o sorelle che abbiano il proprio congiunto impegnato a prestare servizio nei Carabinieri o nella Polizia.Una lettera piena di dignità,che sa raccontare,con discrezione,il senso del dovere di chi serve la sicurezza dello Stato,che è poi anche la sicurezza di tutti noi cittadini per bene,ma non perbenisti di maniera.E' ovvio che ogni civile dissenso e libertà di pensiero deve essere sempre garantita.Ma non si può dimenticare che a difesa e a tutela di queste libertà e diritti ci sono "loro",donne e uomini delle Forze dell’ordine,oltretutto in un momento nel quale stiamo per andare alle urne proprio per esprimere,col voto,il diritto al nostro "sentire" e il nostro consenso/dissenso ideale.In uno Stato "normale" non c'è necessità di scrivere quelle lettere.Ma se invece in Italia vengono scritte è segno che questo Paese tanto normale poi non è.
Qui di seguito la lettera pubblicata da "Avvenire":
   

  
Caro direttore,
a Piacenza sabato 10 febbraio c’ero anch’io, e con me tutte le madri, le mogli,le fidanzate e i figli che con amore,ma soprattutto con dedizione,forza e coraggio riescono a stare al fianco di un uomo che indossa una divisa.Io c’ero e con me c’erano tutte quelle donne che,loro malgrado, sono state costrette ad accettare un lavoro che non hanno scelto e che spesso le condiziona.Io sono una di loro:sono la moglie di un poliziotto.Sono una di quelle donne che hanno imparato a dividere il proprio compagno con la Polizia di Stato;sono una di quelle donne che hanno dovuto comprendere,loro malgrado,cosa significhi vivere in balia di turni e di esigenze di servizio.E non solo.Credo che soltanto chi vive certe situazioni,possa poi capirle in pieno.Solo noi sappiamo cosa voglia dire salutare quasi ogni giorno un pezzo della propria famiglia, augurandosi che torni indenne e vivo dal servizio che gli è stato assegnato.Solo noi sappiamo cosa significhi,a volte,sentirsi messe in secondo piano rispetto a una professione che richiede abnegazione e sacrificio.Sabato, mio marito era in servizio a Piacenza e con la sua squadra ha affrontato,con coraggio e sangue freddo,gli stessi manifestanti che da lì a poco hanno assalito e malmenato un Carabiniere.In questi giorni, mi sono chiesta spesso cosa sarebbe successo se mio marito non fosse così innamorato del suo lavoro,se non si fidasse dei suoi ragazzi così profondamente da considerarli pezzi leali della nostra famiglia,ma soprattutto se non fosse così pacato nelle sue reazioni.
Ho guardato le immagini che ritraevano una decina di uomini pronti a fermare un intero corteo;una decina di uomini uniti,compatti ma soprattutto decisi a portare a termine quello che era stato detto loro di fare;una decina di uomini chiamati a indossare un casco e a portare un manganello a tutela della sicurezza di tutti e della propria incolumità preparati ad affrontare quattrocento manifestanti,tutt’altro che pacifici,armati di bastoni e di lacrimogeni e con il volto coperto.Mi sono chiesta perché le Istituzioni intervengano solo davanti a un uomo ferito o addirittura morto,perché sui giornali e alla tv si parli solo degli errori delle Forze dell’ordine e non si elogino mai uomini che,nonostante tutto e tutti,dimostrano di sapere fare il proprio lavoro senza eccedere.Numerose sono state le testimonianze di stima e di affetto che,in questi giorni,hanno circondato la mia famiglia,testimonianze che hanno reso me e mia figlia orgogliose di essere parte della Polizia di Stato. Credo però che qualcosa dovrebbe essere detto e fatto, a dimostrazione che un buon addestramento e soprattutto il saper “fare squadra” possa fare molto in situazioni come quelle che ultimamente si ripropongono a ogni manifestazione. Mi scuso per lo sfogo,direttore,e anche di chiederle di coprire con discrezione il mio nome.Ma non sono solo la moglie di un poliziotto,sono anche la mamma di una giovane adolescente a cui vorrei trasmettere serenità tanto quanto l’importanza dei valori per cui ogni giorno suo padre si trova a combattere in questa nostra Italia...
lettera firmata

14 febbraio 2018

QUEL CARABINIERE DI PIACENZA

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In fondo non c'è stato nulla di nuovo il giorno 10 del mese di febbraio dell'anno 2018.In questo giorno nel quale durante una "pacifica" manifestazione nella città di Piacenza,10 Carabinieri 10,si sono trovati a fronteggiare la libera "espressione" di pensiero di 400 manifestanti 400(in realtà 400 delinquenti comuni)che dicevano di sfilare per riaffermare i valori dell'antifascismo militante contro questo Stato "borghese".Ed in fondo non c'è stato niente di nuovo nel vedere quel carabiniere in quelle foto e in quel video di un smartphone,che durante quella manifestazione inciampa e cade in una via della città di Piacenza e lì a terra,impossibilitato a difendersi,viene pestato e massacrato di pugni e calci e bastonato con sbarre e con il suo stesso scudo che intanto gli è caduto.Non c'è niente di nuovo nel vedere le immagini e le foto di quei 10 Carabinieri costretti a scappare di fronte a 400 bimbi viziati,figli di papà,che magari poco prima sono scesi dall'auto nuova che gli ha regalato il loro babbo per il loro 18 anni,i 18 anni di un delinquente.Un compleanno di uno scarto di umanità ed un insulto a tanti altri papà che ogni giorno,per andare al lavoro,si sbattono avanti e indietro nelle metro e nei treni da schifo dei pendolari,nei quali a volte ci rimettono pure la vita,come è accaduto a Pioltello,Italia, perché lo Stato non ci mette nemmeno un pezzo di ferro in un binario scassato da quanto tempo,chissà.Immagine correlata
 
Gli eroi antifascisti erano in un corteo pieno,zeppo di rancore gratuito e di “bandiere” dell’Anpi,proprio nel giorno 10 del mese di febbraio,nel giorno di memoria nazionale,istituito nel Ricordo delle Foibe,.E loro,gli antifascisti militanti,loro che gridavano contro i morti infoibati con cori da stadio,cantando:"com’è bello far le foibe da Trieste in giù".Forse,chissà; magari in quel corteo ci sarà stata pure quella figlia di papà che  anni fa,a Milano,col Rolex al polso e bombolette spray in mano,mentre i suoi amici antifascisti facevano a botte con i carabinieri,lei "dipingeva" uno sportello del bancomat.Il bancomat,il simbolo del capitalismo,il simbolo del danaro,quel danaro che a lei e ai suoi amici antifascisti,tanto lo dà il loro papà.Insieme ad un Rolex,per l'appunto.E intanto quei 10 carabinieri,sono lasciati per terra da questo Stato in una strada della città di Piacenza,con uno stipendio da schifo.Lo Stato li ha lasciati a prendere botte da quei 400 delinquenti comuni.Ed ancor più di tutti quel carabiniere steso in terra,che hanno pestano con pugni e calci tutti insieme,eroicamente.
Sì,adesso il Premier e il Ministro degli Interni andranno intorno al letto d'ospedale del carabiniere massacrato di botte per "portare la loro solidarietà".Ma poi andranno subito via,a far campagna elettorale,assicurando che nelle città c'è sicurezza perché c'è lo Stato.Come no?Come a Piacenza,per esempio.
No,in fondo non c'è proprio niente di nuovo in quello che è successo in quel giorno 10 del mese di febbraio dell'anno 2018 in quella strada della città di Piacenza.In fondo Pasolini lo scriveva già 50 anni fa,nel '68,ai ragazzi del Movimento studentesco con l'eskimo addosso.Pasolini scrisse una poesia a "quelli" del "Movimento" quando loro,a Roma,a Valle Giulia,bastonavano i ragazzi dei carabinieri e di polizia.Lui,Pasolini,non aveva dubbi.Pasolini era dalla parte dei ragazzi dei carabinieri e di polizia.E sicuramente anche oggi Pasolini sarebbe stato con lui,col carabiniere di quella strada di Piacenza.
Pasolini così scriveva in quella sua poesia:

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).

Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
 
 
 
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04 febbraio 2018

QUEL VELO BIANCO




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Iran, un velo bianco contro l'obbligo dell'hijab: la protesta virale delle donne

 
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La donna in piedi nella foto è Masih Alinejad  .Tuta da ginnastica e capelli sciolti sulle spalle.L’immagine della ragazza in piedi su di un cassonetto in una piazza di Teheran,è diventata l’icona delle manifestazioni che negli ultimi giorni del 2017 hanno invaso le principali città iraniane.In mano, un bastone con un drappo bianco,simbolo dei ‘white wednesdays’,i mercoledì ‘bianchi’,nei quali Masih ha invitato tutte le donne a realizzare foto o video di loro stesse mentre indossano qualcosa di bianco e di diffonderli sui social media con l'hashtag “#whitewednesdays.L'iniziativa è nata nell'ambito dell'attività dell’associazione per i diritti civili My Stealthy Freedom, (La mia libertà clandestina) fondato proprio da lei,la giornalista,scrittrice e attivista iraniana Masih Alinejad,che dal 2014,tramite il web,cerca di organizzare la rivolta delle donne iraniane contro le imposizioni e le oppressioni della Repubblica islamica,ed in particolare contro l'obbligo imposto alle donne iraniane di indossare il velo e abiti lunghi.Negli ultimi giorni del  2017, migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il sistema politico iraniano che sta affossando l’economia del Paese:l’inflazione è all’8% annuo;la disoccupazione supera il 12%,e poi tantissima corruzione in tutti gli apparati dello stato.Ma anche se la protesta era di carattere economico,alla base delle manifestazioni c'era il desiderio di cambiamento della società iraniana,e il sentimento diffuso di difendere le proprie libertà dopo anni di repressioni e violenze.Un sentimento "sentito" soprattutto dalle donne iraniane.Perciò quella foto di Masih,della "Donna senza il Velo",assume anche un significato simbolico.Negli ultimi quarant’anni,cioè dall'avvento al potere degli Ayatollah di Khomeyni,le donne in Iran hanno subito una forte repressione e stanno cercando di ribellarsi a tutto quello che hanno subito.E quella simbologia di libertà non è soltanto la particolarità di una storia personale,di una giovane donna.E' anche la protesta di tutte le donne iraniane.Il colore bianco del velo,sventolato pacatamente ma convintamente sulla strada,non è il segno di una resa difronte all'ottusità di un regime illiberale,di un’impotenza a contrastare le minacce e la violenza del regime.Rappresenta invece,il candore delle ragioni rivendicate dalle donne iraniane,nella fiducia che quelle ragioni siano così forti da potersi affermare anche in quel paese e senza alcuna violenza.Un gesto e un colore.Il gesto,lo sventolare quel velo tutto bianco, diventato quasi una bandiera,fatto con convinzione,nella leggerezza di quegli splendidi sorrisi delle donne iraniane,uno sventolio fatto in modo teneramente visibile e garbato.Nella convinzione che possa essere accolto e condiviso in tutto il mondo,se non nel presente in un futuro ormai prossimo.Il colore:il bianco è capace di creare un improvviso contrasto tra l’ombra della violenza di Stato e la luce delle rivendicazioni liberali,coltivate con stupefacente semplicità e naturalezza,senza alcuna arroganza e con la forza di quegli splendidi sorrisi di donna.Far risaltare proprio le ragioni di libertà così sostenute e rivendicate.Un episodio che sa di luminosità,ritratto dell’atto di coraggio di una giovane donna a nome di tutte le altre,e documentazione di una lacerazione diventata insostenibile nel tessuto sociale di quel paese.Però.A pensarci è davvero "curioso".Ci sono donne,come quelle iraniane,che vogliono togliere il velo,per acquistare con quel gesto la propria libertà.E ci sono poi altre donne,donne italiane,donne della politica italiana,che si sentono in dovere di indossare il velo quando vanno in Iran o in genere nei paesi islamici.Per "non offendere"-dicono loro-"la sensibilità di un'altra civiltà e di altre religioni".Così hanno fatto,ad esempio,la Commissaria UE,Federica Mogherini e la Presidente della Camera Laura Boldrini,e financo la "libertaria" Emma Bonino.Tutte loro,forse,invece della sensibilità islamica farebbero meglio a parlare dei diritti delle donne iraniane,delle Donne senza il Velo,delle donne di Libertà.
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