28 giugno 2016

QUEL 23 GIUGNO















E dunque gli inglesi hanno detto "NO" all'Europa,o almeno a "questa" Europa.Chiamati a esprimersi sulla Brexit,essi hanno senz'altro scritto una pagina di storia.E al di là di come chiunque di noi la pensasse(per il "Remain" o per il "Leave")quel voto inglese è stata una lezione di democrazia.Lì,in Gran Bretagna,il popolo si è ribellato agli interessi bancari e finanziari europei;quel popolo ha sentito in pericolo la propria libertà e dignità e ha reagito con il coraggio di non lasciarsi intimorire dalle minacce e i ricatti degli eurocrati di Bruxelles.Personalmente speravo che prevalessero i "remain",perché le sfide di un mondo e di una economia globalizzata richiedono risposte forti che non possono essere date a livello di singoli Stati nazionali;senza contare le gravi conseguenze sui mercati finanziari,sul commercio e sulla industria mondiale ai quali in questi giorni stiamo assistendo.Eppure,nonostante ciò,non si può che rimanere ammirati difronte ad una forma di democrazia che ha come suo unico giudice il volere popolare.Da noi non è così.Da noi si plaude ad una pseudo riforma costituzionale che(a sentire la casta renziana)dovrebbe attribuire maggior peso ale scelte dei cittadini.Ed invece no.Al contrario la riforma renziana della Carta toglie(ancor di più)al popolo la possibilità di esprimere scelte che pure riguardano la propria vita quotidiana.Da noi c'è una stampa servile che sa solo osannare la pessima riforma costituzionale di Renzi e della Boschi.I britannici,invece,hanno deciso loro;hanno votato contro questa Europa delle banche,della finanze e dei massacri sociali dovuti ad ottuse politiche ultrarigoriste.Sul banco degli accusati è salito il modello di SuperStato europeo soggiogato agli interessi dei mercati finanziari.La sua sconfitta nelle urne è un monito alla politica perché dia effettivo spazio ad un vero governo dei popoli comunitari,che può avvenire solo se le genti d'Europa possono scegliere direttamente gli organi politici continentali.Per il "Leave" hanno votato operai,ceti medi depauperati dalla crisi e le fasce sempre più larghe d’incapienti della società britannica.Piuttosto che insultarli gli eurocrati di Bruxelles dovrebbero prendersela con se stessi per aver disperso un patrimonio di fiducia che i cittadini europei nutrivano nell'ideale europeistico.Dovrebbero domandarsi se con le politiche dell’austerity si sia realizzato il primo principio di ogni teoria liberale:il benessere delle nazioni e la felicità dei cittadini.I britannici non sono stati dei populisti:semplicemente si sono resi conto che con questa Europa si sta peggio,si rischia il futuro,si è meno sicuri.Fin quando a Bruxelles ci si preoccuperà del diametro delle vongole piuttosto che al benessere dei cittadini,un numero sempre maggiore di europei diranno che questa Europa non può continuare ad essere così come oggi è.E nessuno spazio dovranno avere certi personaggi,come il ministro dell’economia tedesco Schäuble,che prima delle delle elezioni politiche dello scorso anno in Grecia ed in sommo dispregio della volontà del popolo greco,disse:“votino chi vogliono tanto non cambia niente”.Evidentemente anche di questo si sono ricordati gli inglesi al momento del voto.Adesso l’uscita della Gran Bretagna procurerà(sta già procurando)parecchi e gravi problemi,ma per la democrazia il 23 giugno resterà per sempre una festa.

19 giugno 2016

BACIAMI UN FIORE


Il 17 giugno 1983,cominciava  per un uomo,ma in fondo per tutta la storia politica,sociale,civile e giudiziaria italiana,un'incredibile vicenda;in quella data venne arrestato Enzo Tortora,uno dei più noti giornalisti e presentatori televisivi italiani.La magistratura napoletana,dando pieno credito a "informazioni" di alcuni cosiddetti "pentiti" o "collaboratori di giustizia",a spazzatura umana,come Pandico,Melluso e Barra(detto "l'animale" per la bestialità sanguinaria dei suoi crimini malavitosi)lo accusò di organizzazione camorristica e traffico di droga.Anzi,come sostenne con furia il PM durante il processo,di essere un "cinico mercante di morte".A distanza di 33 anni da quella data esce il libro:"Lettere a Francesca" che raccoglie le 45 lettere che dalle carceri di Regina Coeli e di Bergamo,Enzo Tortora scrisse alla compagna Francesca Scopelliti. Se fossimo in un paese civile,se fossimo in uno Stato di Diritto,questo libro dovrebbe essere testo obbligatorio all’esame di Stato per i nuovi magistrati.È la prima volta che le lettere vengono pubblicate:esse producono un sentimento di vero raccapriccio e di ribellione contro "queste" istituzioni e "questo" Stato.Per sette mesi, con forza disperata,Tortora documenta le dure condizioni carcerarie("siamo sette in dieci metri")e si batte contro l’immenso potere della giustizia ingiusta("ci sono solo tre categorie di persone che non rispondono dei loro crimini:i bambini,i pazzi e i magistrati").Qui non si è più uomini,ma bestie"."Per la prima volta in vita mia ho paura:se è possibile annientare un innocente così,è possibile tutto".La battaglia tra l'imputato e la Procura di Napoli è impari: "Contro di me, alleati,sono due giudici che non hanno l’onestà intellettuale di ammettere la loro cosmica gaffe, e dei criminali disposti a tutto pur di far fumo, seminare infamie, dire follie. In mezzo io,con la vita e il lavoro distrutti".Le lettere di Tortora a Francesca con le sue analisi legali e psicologiche, inframmezzate di amorose raccomandazioni ("Vai in vacanza!" "Pensa a me, ma vivi!"."Guarda per me il mare,baciami un fiore"),ci ricordano le cose,NORMALI,che ci dovrebbero essere in uno stato di diritto e liberale.Quanto sarebbe importante che carriere e uffici di giudici e pubblici ministeri fossero separati.E ci dicono dei processi mediatici che ancora oggi i cronisti costruiscono non sulle carte d’accusa,ma sulla figura dell'imputato.("Non mi parlare della Rai,della stampa,del giornalismo italiano,è m......a pura".Sai, non esco per l'ora d’aria perché i tetti sono pieni di fotoreporter").Ed ancora.Disegnano l’angoscia di chi, dal fondo di una cella immonda,attende processi infiniti e troppo spesso basati sulla cattiva gestione d’indizi e prove,e di pentiti mendaci con menti malate.Ci fanno capire l’importanza del giudizio d’appello(quello da cui Tortora riemerse,finalmente immacolato)che oggi un ottuso populismo giudiziario vorrebbe sopprimere.
"L’uomo che uscirà di qui non sarà più lo stesso" scrive l’imputato Tortora,lucidamente consapevole del proprio destino fisico e psichico.Proprio questo dovrebbero far pensare ministri della Giustizia e legislatori,quando aumentano le pene e rendono sempre più facile una custodia cautelare che dovrebbe essere l’extrema ratio,non la regola delle inchieste giudiziarie.
Un’esperienza così dura e allucinante per Tortora da spingerlo a volersi occupare del sistema giustizia: “Il mio compito è uno:far sapere.E non gridare solo la mia innocenza:ma battermi perché queste inciviltà procedurali,questi processi che onorano,per paradosso,il fascismo, vengano a cessare.Perché un uomo sia rispettato,sentito, prima di essere ammanettato come un animale e gettato in carcere. Su delazioni di pazzi criminali”.

Solo una cosa,da parte mia,voglio aggiungere.Il ruolo decisivo che ebbero per Tortora e per una Civiltà del Diritto,Marco Pannella e i Radicali,che combattendo insieme a lui nel carcere,nelle aule di Tribunale,nelle istituzioni politiche italiane ed europee,portarono agli occhi del mondo la vergogna d'Italia,la vergogna della malagiustizia italiana.

16 giugno 2016

UN ALTRO PENSARE


Adesso,dopo che la Roma "caput mundi" è stata sommersa dal letame fetido dello scandalo di "Mafia Capitale",si aspetta chi sarà il nuovo Sindaco di Roma,che uscirà dal ballottaggio tra la rappresentante dei "5 Stelle" e quello del PD.Ma forse più che aspettare il nuovo sindaco sarà meglio pensare al primo sindaco di Roma,a Ernesto Nathan,sindaco della città dal 1907 al 1913.
Anche Nathan fu eletto sindaco in un momento particolarmente critico di Roma in un momento di sfascio morale ed edilizio(saccheggio del patrimonio storico con stupende ville abbattute per costruire nuovi cantieri)che aveva dato spazio a enormi speculazioni edilizie.Proprio in questa Roma, Nathan viene eletto e nei suoi 7 anni di sindaco municipalizza i servizi pubblici più importanti (dai trasporti,all’acqua,alla luce)e realizza grandi opere come la Galleria del Traforo e dei nuovi ponti sul Tevere).Ma non solo questo fa ancora oggi ricordare Nathan come il miglior sindaco di Roma.Lo hanno fatto grande le scuole elementari costruite in tutti i vecchi rioni;lo hanno fatto grande le case popolari con assistenza scolastica e sanitaria per tutti gli abitanti;lo hanno fatto grande gli alberghi dei poveri e le mense popolari;l’hanno fatto grande decine di iniziative sociali,sanitarie a favore dei meno abbienti e le istituzioni per i poveri e gli operai.E tra tutto questo Nathan "ebbe il tempo" di occuparsi anche di "altro",di essere,ad esempio,tra i fondatori della "Dante Alighieri"( http://ladante.it/  )una delle Istituzioni culturali italiane più famose nel mondo,nonchè autore di pubblicazioni,libri e studi.Fu quello,insomma,il periodo più felice,liberale,laico ed europeo che Roma moderna abbia mai avuto,come ci si renderà conto in seguito.Nathan fu un idealista,ma anche concreto,pragmatico.Oculato nell'amministrare il pubblico danaro,ma investitore previdente nei servizi,nell’energia,nei trasporti pubblici,soprattutto nelle scuole:"Fino a quando un solo scolaro non può ricevere istruzione in ambiente sano e consono,le considerazioni del bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale e intellettuale".Insomma tutto il nuovo,il bello e il moderno che possiede la Capitale d’Italia nella prima metà del '900,è iniziato da lui o si deve direttamente alla sua iniziativa.Poi Roma è precipitata sempre più giù,fino al nuovo sacco di Roma,ad amministrazioni l'una peggiore dell'altra,fino ad arrivare a Mafia Capitale.Oggi,dopo una campagna elettorale becera e volgare,siamo ad un grigio ballottaggio tra 5 Stelle e PD.Il nuovo Sindaco(auguri,ne avrà di cose da fare)potrà magari sistemare le buche delle strade di Roma,ma le buche della moralità politica romana,a quelle ci pensò lui,ci pensò Ernesto Nathan. Un grande uomo,un grandissimo amministratore,che resta un vero simbolo di rettitudine,idealismo e attivismo pratico.Il “fare” di Nathan,sempre sorretto dal “pensare”,cioè da un idealismo razionale,liberale e sociale,Proprio quello che servirebbe oggi.A Roma e all’Italia intera.
     
Un bel documentario su Nathan,la sua vita,la sua famiglia,le sue idee,le sue opere,l’ambiente sociale e politico nel quale si trovò a operare, è stato realizzato dalla RAI.