Il 17 giugno 1983,cominciava per un uomo,ma in fondo per tutta la storia politica,sociale,civile e giudiziaria italiana,un'incredibile vicenda;in quella data venne arrestato Enzo Tortora,uno dei più noti giornalisti e presentatori televisivi italiani.La magistratura napoletana,dando pieno credito a "informazioni" di alcuni cosiddetti "pentiti" o "collaboratori di giustizia",a spazzatura umana,come Pandico,Melluso e Barra(detto "l'animale" per la bestialità sanguinaria dei suoi crimini malavitosi)lo accusò di organizzazione camorristica e traffico di droga.Anzi,come sostenne con furia il PM durante il processo,di essere un "cinico mercante di morte".A distanza di 33 anni da quella data esce il libro:"Lettere a Francesca" che raccoglie le 45 lettere che dalle carceri di Regina Coeli e di Bergamo,Enzo Tortora scrisse alla compagna Francesca Scopelliti. Se fossimo in un paese civile,se fossimo in uno Stato di Diritto,questo libro dovrebbe essere testo obbligatorio all’esame di Stato per i nuovi magistrati.È la prima volta che le lettere vengono pubblicate:esse producono un sentimento di vero raccapriccio e di ribellione contro "queste" istituzioni e "questo" Stato.Per sette mesi, con forza disperata,Tortora documenta le dure condizioni carcerarie("siamo sette in dieci metri")e si batte contro l’immenso potere della giustizia ingiusta("ci sono solo tre categorie di persone che non rispondono dei loro crimini:i bambini,i pazzi e i magistrati").Qui non si è più uomini,ma bestie"."Per la prima volta in vita mia ho paura:se è possibile annientare un innocente così,è possibile tutto".La battaglia tra l'imputato e la Procura di Napoli è impari: "Contro di me, alleati,sono due giudici che non hanno l’onestà intellettuale di ammettere la loro cosmica gaffe, e dei criminali disposti a tutto pur di far fumo, seminare infamie, dire follie. In mezzo io,con la vita e il lavoro distrutti".Le lettere di Tortora a Francesca con le sue analisi legali e psicologiche, inframmezzate di amorose raccomandazioni ("Vai in vacanza!" "Pensa a me, ma vivi!"."Guarda per me il mare,baciami un fiore"),ci ricordano le cose,NORMALI,che ci dovrebbero essere in uno stato di diritto e liberale.Quanto sarebbe importante che carriere e uffici di giudici e pubblici ministeri fossero separati.E ci dicono dei processi mediatici che ancora oggi i cronisti costruiscono non sulle carte d’accusa,ma sulla figura dell'imputato.("Non mi parlare della Rai,della stampa,del giornalismo italiano,è m......a pura".Sai, non esco per l'ora d’aria perché i tetti sono pieni di fotoreporter").Ed ancora.Disegnano l’angoscia di chi, dal fondo di una cella immonda,attende processi infiniti e troppo spesso basati sulla cattiva gestione d’indizi e prove,e di pentiti mendaci con menti malate.Ci fanno capire l’importanza del giudizio d’appello(quello da cui Tortora riemerse,finalmente immacolato)che oggi un ottuso populismo giudiziario vorrebbe sopprimere.
"L’uomo che uscirà di qui non sarà più lo stesso" scrive l’imputato Tortora,lucidamente consapevole del proprio destino fisico e psichico.Proprio questo dovrebbero far pensare ministri della Giustizia e legislatori,quando aumentano le pene e rendono sempre più facile una custodia cautelare che dovrebbe essere l’extrema ratio,non la regola delle inchieste giudiziarie.
Un’esperienza così dura e allucinante per Tortora da spingerlo a volersi occupare del sistema giustizia: “Il mio compito è uno:far sapere.E non gridare solo la mia innocenza:ma battermi perché queste inciviltà procedurali,questi processi che onorano,per paradosso,il fascismo, vengano a cessare.Perché un uomo sia rispettato,sentito, prima di essere ammanettato come un animale e gettato in carcere. Su delazioni di pazzi criminali”.
Solo una cosa,da parte mia,voglio aggiungere.Il ruolo decisivo che ebbero per Tortora e per una Civiltà del Diritto,Marco Pannella e i Radicali,che combattendo insieme a lui nel carcere,nelle aule di Tribunale,nelle istituzioni politiche italiane ed europee,portarono agli occhi del mondo la vergogna d'Italia,la vergogna della malagiustizia italiana.
Un’esperienza così dura e allucinante per Tortora da spingerlo a volersi occupare del sistema giustizia: “Il mio compito è uno:far sapere.E non gridare solo la mia innocenza:ma battermi perché queste inciviltà procedurali,questi processi che onorano,per paradosso,il fascismo, vengano a cessare.Perché un uomo sia rispettato,sentito, prima di essere ammanettato come un animale e gettato in carcere. Su delazioni di pazzi criminali”.
Solo una cosa,da parte mia,voglio aggiungere.Il ruolo decisivo che ebbero per Tortora e per una Civiltà del Diritto,Marco Pannella e i Radicali,che combattendo insieme a lui nel carcere,nelle aule di Tribunale,nelle istituzioni politiche italiane ed europee,portarono agli occhi del mondo la vergogna d'Italia,la vergogna della malagiustizia italiana.
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