31 ottobre 2024
UN ARTISTA "GRANDE"
24 ottobre 2024
VITTIME E CARNEFICI
Avevo da poco finito di scrivere il post du di lei,sulla regista e attivista per i diritti umani iraniana Maysoon Majidi, detenuta presso il carcere di Reggio Calabria,quando, finalmente,è giunta la notizia tanto attesa: il Tribunale di Crotone ha rimesso in libertà Maysoon Majidi.
Maysoon Majidi è nata in Iran. Nel 2019 con suo fratello scappa dall'Iran per sfuggire a un mandato di arresto. La sua colpa? I diritti. Ci sono Paesi in cui la difesa dei diritti costa nel migliore dei casi il carcere e nel peggiore la vita.Così insieme al fratello decide di partire,giungendo,dopo un lungo peregrinare,fino alle coste del crotonese.Senonchè,per sua sfortuna,attracca in un Paese – il nostro – dove,da qualche tempo c'è l’ossessione di scovare scafisti in tutto l’orbe terraqueo. Così basta che alcune persone delle forze dell’ordine traducano poco e male le testimonianze dei suoi compagni di viaggio per essere accusata di essere l’aiuto del capitano,perciò scafista anche lei.E la prova "regina" sarebbe che Majidi distribuiva acqua durante il viaggio, evitando che i migranti venissero cotti dal sale e dal sole.Eh sì,perchè oggi in Italia è diventato reato anche l'umanità.
Così Maysoon viene arrestata e sbattuta in carcere.Lì dentro arriva a pesare 40 chili per uno sciopero della fame per invocare la propria innocenza.
Dopo quasi un anno dall' arresto e dopo aver trascorso mesi di carcere in situazioni degradanti per l'assenza di condizioni igienico-sanitario degne di un Paese civile,Maysoon ha respirato l’odore della libertà nella notte, lasciando le mura del carcere di San Pietro a Reggio Calabria.Dopo dieci mesi,dopo 300 giorni di detenzione e un lungo processo che l'ha vista imputata con l’accusa di essere una scafista, il tribunale di Crotone ha accolto la richiesta di assoluzione,disponendo la liberazione immediata.
Perchè è questo che oggi accade in Italia..Lei che era attivista per l’HANA,l'associazione dei diritti dei curdi iraniani lei che ha girato il corto Thirsty Flight e tenuto una manifestazione di denuncia davanti alla sede ONU della città curda di Erbil,ricordando l’uccisione di Mahsa Amini, da parte della ‘polizia morale',iraniana per un velo portato male, sperava di trovare in Europa la tanto decantata libertà,ecco in Italia proprio lei si è trovata in una cella.
Maysoon si è ritrovata in cella per la feroce normativa antimigranti e anti ONG fatta approvare dall'esecutivo Meloni-Salvini-Piantedosi.E a nulla sono valse le dichiarazioni spontanee rese dall’imputata, suffragate da foto con cui spiegava le ragioni per cui ha potuto girare un video quando era in coperta.Lei è proprio l'esempio,fra i 200 altri casi che si potrebbero richiamare,contro cui si accanisce, spesso perdendo poi i processi, una repressione a caccia di chi rende possibile l’ingresso nel Paese, ma in realtà si limita ad essere solidale con chi è nella stessa barca.Una donna che combatte per la libertà,la sua e quella dell'Iran,il cui regime brutale e sanguinario è giustamente condannato da governo e opposizioni, ma che quando diventano richiedenti asilo, vanno incarcerate.Questa è la logica repressiva di questo governo,frutto di una perversa narrazione secondo la quale sarebbe in corso una "sostituzione etnica".
Ora,che tutto si è concluso (Maysoon però ha perso in carcere un anno della sua vita)resta la domanda.Semplice.Difronte a situazioni come queste è così difficile lasciare da parte,almeno per una volta l'ideologia,il calcolo elettorale,che poi si trasformano in disumanità,e distinguere le vittime dai carnefici ?
22 ottobre 2024
MEGLIO IN IRAN
Chissà se ci ricordiamo quando le donne e le ragazze italiane si tagliavano i capelli per solidarietà con le donne iraniane? E chissà se ce lo ricordiamo ancora quel nome,quello di Masha Amini,uccisa dalla polizia "morale" iraniana nel 2022 perchè indossava il velo in modo "sconveniente".E ce le ricordiamo ancora tutte le altre donne e ragazze iraniane uccise dopo di lei per essersi ribellate al regime tirannico e sanguinario degli Ayatollah?E ci sono forse passate di mente quelle loro parole di libertà:"Woman,Life,Freedom"("Donne,Vita e Libertà")gridate per rivendicare il loro diritto alla vita e alla libertà.Sì,le abbiamo dimenticate e le abbiamo abbandonate al loro destino quelle ragazze iraniane che pure continuano a lottare "a mani nude" per usare il titolo del libro del giornalista di Radio Radicale, Mariano Giustino per la loro e la nostra libertà.
Si,abbiamo smesso di parlarne,abbiamo smesso di indignarci per le ragazze iraniane.Ma su quello che sta accadendo sul patrio suolo italico proprio contro una ragazza iraniana non possiamo in alcun modo far finta di niente.
Maysoon Majidi si chiama quella ragazza,ha 28 anni,e nel dicembre 2023 è stata arrestata dalla polizia italiana perché ritenuta una “scafista”.Maysoon ora è in prigione a Castrovillari e in quel carcere di Calabria Maysoon ha fatto lo sciopero della fame e ora pesa appena 40 chili.Ha fatto lo sciopero della fame perchè la sua è una vicenda assurda.Una vicenda kafkiana.O forse,"soltanto",una vicenda italiana.
Maysoon è una regista curdo-iraniana,conosciuta anche in campo internazionale,un’attivista che ha combattuto il regime tanto da dover scappare da quel Paese e l'anno scorso è arrivata in Italia.Pensava di essere arrivata nella "civilissima" Italia,in un Paese dove è assicurato,al contrario che in Iran,il rispetto delle idee e del diritto.Invece è arrivata in "questa" Italia,che ormai tutto è,tranne che terra di diritti.Così,invece di poter chiedere asilo e ricevere protezione e dopo essere sfuggita al regime degli Ayatollah,è stata incarcerata proprio nel nostro Paese dove credeva di aver raggiunto la salvezza.
Ora Maysoon è in un carcere italiano,in attesa oramai da un anno della definizione del processo a suo carico.Accusata,in base al "famigerato" Decreto Cutro,di favoreggiamento di immigrazione clandestina,cioè di essere una "scafista",quella categoria di persone che la Premier Meloni vuole combattere su tutto l'"orbe terracqueo".
Le accuse si basano su poche,incerte testimonianze di persone che avevano dichiarato di aver viaggiato con lei nell’ultimo tratto del viaggio in barca.Testimoni interrogati in fretta e anche,in certo qual modo,"indirizzati" verso certo dichiarazioni.Testimoni che poi,rintracciati in Germania,hanno ritrattato tutto,dichiarandosi pronti a confermarlo in Tribunale.Ma la Procura neanche si cura di chiamarli.
Così Maysoon resta in quell'infame sistema carcerario italiano per il quale l'Italia,è stata già più volte condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani.Ma forse la condanna più dura che deve far vergognare questo Stato,l'ha inflitta proprio Maysoon quando ha detto ai suoi legali di preferire di affrontare il suo destino in Iran dove almeno sa benissimo perché è perseguitata,invece che stare in carcere in Italia per qualcosa che non ha commesso.
Ecco,questo accade oggi in Italia in materia di immigrazione attraverso le aberranti leggi di questo governo.Questo è il frutto delle leggi sull’immigrazione varate da un governo reazionario e illiberale che infierisce sulla carne viva dei profughi che fuggono dalle guerre,dalle violenze,dalla fame e dalle carestie.Un governo che persegue le ONG,colpevoli del reato di "umanità",di aiutare tanti poveri cristi a non affogare nelle acque del Mediterraneo nelle loro fughe dal dolore e dalla disperazione.Un governo che respinge i migrati e nelle sue deliranti farneticazioni parla di fantomatiche "sostituzioni etniche",legittimando di fatto le violenze e le torture nelle carceri libiche sui migranti e con le sue leggi permette ora di arrestare una donna,una attivista iraniana per i diritti umani.
Maysoon Majidi sarebbe dunque una "scafista".Ma se scafisti sono, come spesso accade, persone che non possono permettersi il viaggio organizzato dai trafficanti e che per questo vengono costretti a guidare la barca con la quale fuggire(si veda a tal proposito il bel film di Matteo Garrone "Io,capitano",nella clip sotto)
è difficile che Maysoon Majidi lo sia perché è riuscita a dimostrare tutti i pagamenti fatti.Il padre,professore universitario,ha venduto tutto,casa compresa,per far partire lei e il fratello(che adesso è in Germania).Maysoon è iraniana di etnia Curda,cioè quell'etnia più perseguitata dal regime e per giunta attivista per i diritti delle donne. A chi altri bisognerebbe dare rifugio in Italia,se non a lei? Ed invece Maysoon resta in carcere.
La nostra coscienza e la nostra civiltà giuridica ci dovrebbe dire che c’è qualcosa che non torna in questa vicenda,nella facilità con cui mettiamo in prigione donne fuggite da un regime che diciamo di aborrire. C’è molto, moltissimo che non torna nelle leggi che sono state fatte per contrastare l’immigrazione illegale e che rischiano invece di generare solo nuovo dolore e nuove ingiustizie.“Donna, vita, libertà” è un urlo che dovrebbe valere sempre per le ragazze iraniane cui abbiamo promesso una solidarietà vuota e ipocrita se non ci sentiamo neanche in dovere di dar loro rifugi.
18 ottobre 2024
ESSERE CON "LORO"
Dentro questi fatti c'è violenza,tanta violenza.Nella maggior parte dei casi si tratta di violenza maschile contro le donne,anche nell'ambito familiare,in una logica di brutale volontà di dominio e annullamento della donna.Ora,però,dentro questi fatti di cronaca nera c'è dell'altro.Sempre più spesso ci sono vite poco più che bambine;vite che appena adesso cominciano ad affacciarsi alla Vita.E dietro ognuno di quelle vite ci sono disagi,materiali e morali,isolamento,incapacità di relazionarsi.Ed è così che quelle vite bambine diventano vite di violenza:contro gli altri ma talora anche contro se stessi in incontrollati istinti suicidari.Eppure la classe politica resta silente,forse perchè se gli adolescenti hanno dei problemi in fondo chissenefrega,tanto loro non votano e non rientrano nemmeno nel sondaggio settimanale di Mentana.
Si potrebbe forse dire che questa non è storia nuova:era già successo 23 anni fa a Novi Ligure,quella storia di Erika,allora 16enne,e del suo fidanzato Omar,che uccisero la mamma e il fratellino di lei.O ancora quella di Pietro Maso che uccise i propri genitori.Quelle però,furono vicende rimaste nella memoria collettiva proprio per la loro terribile unicità.Ora invece facciamo fatica a star dietro a tutte le vicende che ci arrivano dai media in maniera incalzante.
Così un giorno restiamo increduli difronte all’assassino di 19 anni di Rozzano che ha detto che voleva uccidere "qualcuno",chiunque egli fosse,perché "aveva passato una brutta giornata".Oppure alla storia di quel 17enne che ha strangolato una donna perché voleva vedere "che effetto faceva uccidere".E ancora quando un ragazzo di 17 anni di Paderno Dugnano uccide madre, padre e fratellino perché viveva un profondo disagio interiore,sentendosi "un estraneo, in famiglia e nel mondo".E l' altro ancora di quella ragazza di Parma che ha sotterrato nel giardino i 2 propri bambini appena nati.
Tutti questi episodi riguardano ragazzi italiani,del Nord prospero.Tutti appartenenti a famiglie «normali».E ognuno di essi lascia tutti ammutoliti ed increduli,come se la vita stessa potesse essere schiacciata senza nessun rimorso.
Il fatto è che quando i ragazzi entrano nello scenario che devono percorrere per raggiungere una propria identità,portano con sé le proprie storie che sono state scritte non solo da loro,ma anche dai genitori, dalla scuola e dalle esperienze che hanno avute fino al raggiungimento della pubertà.Ma a quell'età non tutti arrivano allo stesso modo.Molti,per fortuna,vi giungono seguiti da un nucleo familiare stabile e culturalmene preparato.Altri hanno un destino diverso,vittime di abbandono,disinteresse e violenze familiari.
E poi c'è la scuola,così burocratizzata,incapace perciò di capire le vulnerabilità,il disorientamento di questi ragazzi,che li fa finire in bande violente che infieriscono sui compagni più deboli con atti di bullismo.
Psicologi e sociologi ci hanno spiegato che questi ragazzi vengono dagli anni del Covid,con l’impatto che hanno avuto con la morte e la paura e con una nuova visione del futuro. In quei mesi allucinanti furono quasi 200.000 i morti in Italia,più delle vittime civili della Seconda guerra mondiale.E questo in delle personalità in via di formazione ha un peso decisivo.
Quegli stessi psicologi e sociologi ci hanno anche spiegato di quanto la società digitale incida nell'alterazione del relazionamento umano e del formarsi della vita dei ragazzi e del radicale modificarsi di una esperienza adolescenziale che oggi si svolge essenzialmente attraverso il mondo virtuale. Un intrico di luoghi e di vie nei quali è facile perdersi ed è facile soffrire.E sono anche i dati a confermare queste spiegazioni.Dal 2006, anno di arrivo degli smartphones,sono raddoppiati i reati dei minori e crescono i casi di ansia, di autolesionismo, gli istinti suicidari o le risse violente tra gruppi di adolescenti.
Oggi sono nuovi e diversi i modelli e i valori di riferimento per questi ragazzi.Oggi è il gruppo che condiziona le scelte e i comportamenti;oggi i giovani sentono il bisogno di essere riconosciuti ed accettati dai propri compagni anche attraverso scambi digitali,che occupano sempre più spazio a scapito dei rapporti reali.Su di loro agisce una pressione che li trasforma in soggetti costretti costantemente a cercare conferme di autostima cercando followers,per la precocità con cui si entra in contatto,solo tramite una tastiera,con il mondo violento dei grandi,con l’obbligo di crescere in fretta,di divorare il tempo,con la pesantezza di una società che trasferisce loro solo ansia amplificando a dismisura quel "male di vivere" che questi tempi assegnano agli uomini in generale,ai giovani ancora di più.
Le violenze dei minori chiama noi tutti a intervenire,a capire che essa è sintomo di un disagio giovanile più vasto, iscritto nelle contraddizioni e nei disvalori della nostra società e approfondito dalle conseguenze della pandemia nelle angosce anche da essa portate.Non possiamo ridurre il malessere dei giovani a un problema di ordine pubblico.Tutti noi adulti siamo chiamati ad agire, in primo luogo i genitori, il mondo della scuola, gli operatori del sociale.Bisogna anzitutto "esserci" come adulti. Ascoltare,occuparsi,non tanto preoccuparsi.Così si potrebbe pensare ad ampliare la presenza di educatori e operatori sociali nei territori, incrementare gli spazi protetti dove gli adolescenti possono incontrarsi e stare insieme, avvicinare la scuola alla vita che i giovani si trovano ogni giorno ad affrontare, là fuori.
13 ottobre 2024
IL GRANDE LIBERALE
Ed in fetti si rimaneva ammirati dalla sua cultura vasta,oltre che dalla straordinaria conoscenza economica maturata nel settore bancario nel quale,ancora giovanissimo,divenne direttore centrale della Banca Commerciale Italiana,quella di Raffaele Mattioli,svolgendo poi importanti incarichi internazionali,sia nel mondo dell'economia a New York,Londra,Berlino e Parigi,sia in quello dela diplomazia svolgendo ruoli di rilievo nell’Oece(Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea)e nella NATO.
Le sue capacità,del resto,le aveva già dimostrate nella tesi di laurea sulle ideologie politiche lodata da Benedetto Croce che la fece pubblicare da Laterza e che ne parlò sulla “Critica”.E poi venne la politica,con l'adesione al Partito Liberale,nel quale dopo soli due anni dall'ingresso,arrivò ai vertici anche qui a riprova delle sue capacità e della forza coinvolgente delle sue idee.Un partito che riorganizzò con strutturazione moderna superando la concezione di Croce,per il quale il liberalismo non poteva "rimpicciolirsi" in un partito,perchè la libertà è la premessa sana e morale di tutti i partiti e dunque il liberalismo può essere solo un "prepartito".
Nella sua veste di segretario del PLI(carica mantenuta per un ventennio)era un piacere ascoltarlo nei comizi elettorali,dopo i quali gli piaceva scendere tra la gente a stringere mani e ascoltare da vicino le voci della gente,e non si poteva non essere coinvolti da quella sua oratoria chiara,logica e stringente.La stessa logica che esprimeva nelle "Tribune Politiche" televisive,degli indimenticati Jader Jacobelli e Ugo Zatterin.Nelle risposte ai giornalisti si avvertiva con chiarezza come quella logica fosse del tutto priva di retorica,di ragionamenti ridondanti,di concetti nebulosi e incomprensibili(alla "democristiana" a farla breve).Nel suo eloquio stringente c'era tutta la sua vasta e profonda cultura umanistica e politica ed insieme la grande competenza ed esperienza in campo economico.
Erano gli anni '60.Gli anni in cui in Italia dominava un cattolicesimo politico non più degasperiano, ma incline alle suggestioni di Dossetti politicamente interpretate da Amintore Fanfani.Il leader della DC era sostenitore di un’economia pubblica allargata ed invasiva, convinto che per realizzare una società ispirata al pensiero sociale-cattolico,il potere pubblico doveva controllare l’economia mediante la programmazione dello sviluppo economico,e fu così che nacque il primo governo di centrosinistra,con l’ingresso nel Governo del Partito Socialista,anche con l'intento di staccare il PSI dal PCI.
Ovviamente non vi poteva essere nulla di più contrario alla concezione liberale dello Stato e dell’economia di mercato.Malagodi,così,alla guida di un piccolo partito com'era il PLI,ebbe il coraggio di sfidare il pachiderma della DC,ottenendo,alle elezioni politiche del 1963,uno storico 7% divenendo il quarto partito italiano dopo DC,PCI e PSI.Forte di quel risultato Malagodi iniziò un’opposizione dura e intransigente ma sempre leale e costruttiva contro la politica del centro-sinistra usando le armi della ragione,della competenza,e dell’autorevolezza e del rispetto che gli riconosceva tutto il Parlamento e gran parte dell’opinione pubblica,anche se di diverso orientamento politico.
Malagodi fu decisamente contro la nazionalizzazione delle imprese elettriche,la programmazione economica,la nuova disciplina dei patti agrari,l’introduzione delle Regioni,viste,con lungimiranza come moltiplicatrici di spesa e burocrazia.Malagodi,cioè,fu l'impersonificazione dei principi liberali contro l’invadenza dello Stato padrone nell’economia con funzioni di regolazione del mercato.Egli riteneva,secondo l’insegnamento einaudiano,che le libertà individuali anche nel campo economico contro monopoli pubblici e privati fossero capisaldi essenziali in un’economia di mercato,per l’elevamento delle condizioni di vita dei cittadini.I pubblici poteri dovevano limitarsi alle funzioni ad essi proprie per sostenere i deboli senza umiliare i capaci;astenersi dall’elargizione di sussidi e prebende in cambio di consensi elettorali.
Venne il tempo,però,nel quale anche dall'interno del Partito cominciarono a crescere i dissensi che,difronte ai continui risultati elettorali negativi,richiedevano una maggiore flessibilità politica che,senza derogare ai principi,consentisse al PLI di non isolarsi all'interno del nuovo quadro politico sorto con la formazione del centrosinistra.Malagodi,in realtà,non era pregiudizialmente contrario ad una collaborazione con i socialisti ma riteneva necessario un loro effettivo distacco dai comunisti,cosa della quale dubitava.
Alla fine,Malagodi perse la sua battaglia e, con essa, la segreteria del Partito,ma gli anticorpi liberali non riuscirono a scalfire lo statalismo assistenziale che avrebbe intossicato l’Italia nei decenni futuri.Continuò,però,ad alimentare il suo liberalismo sia nell’Internazionale Liberale, della quale fu presidente fino al 1989 sia dal seggio al Senato,del quale fu anche Presidente.
Alla luce dell’esperienza successiva,non si può non riconoscere preveggenza e intuito alla linea politica di Malagodi.Così,ad esempio,nell’introduzione delle Regioni il grande liberale paventava il rischio della messa in pericolo dell’unità dello Stato che la nuova e confusa articolazione di poteri e funzioni avrebbe comportato(come poi è avvenuto)e il pericolo, poi divenuto triste realtà, che la spesa regionale sarebbe esplosa perché gestita da una classe politica che non doveva darne conto ai cittadini.
Malagodi condusse,poi,una fiera battaglia contro la nazionalizzazione del settore elettrico.Fino ad allora,l’energia elettrica era prodotta e distribuita da aziende di piccole e medie dimensioni.Nel 1962 i politici intuirono che l’energia elettrica poteva essere un affare per un paese energivoro come il nostro e,la DC e il PSI la nazionalizzarono,creando Enel(Ente nazionale per l’energia elettrica)che rilevò, strapagandole, tutte le imprese elettriche nazionali. Di fatto si introduceva una sorta di governo dell’economia e Malagodi denunciò che con la nazionalizzazione si compiva un esproprio perché si colpiva il valore di Borsa delle azioni delle piccole aziende.E' curioso,poi,che proprio un esponente del vecchio PCI,PDS,come Bersani,avviò il percorso opposto,quello malagodiano,cioè,con l'inizio della privatizzazione energetica italiana.
L’invadenza dello Stato nell’economia fu criticata da Malagodi non già per insensibilità sociale,ma perché produceva corruzione della vita pubblica,volta com'era a procurare consenso mediante le risorse pubbliche,creando categorie privilegiate e consentendo ai partiti politici di accedere alla gestione dei fondi pubblici mediante la nomina di persone meno competenti ma fedeli.Ed infatti lo statalismo denunciato da Malagodi ha progressivamente deteriorato i rapporti economici creando collusione tra il mondo politico e quello dell’economia,con annessi fenomeni di assistenzialismo e di corruzione,privilegiando gli interessi settoriali forti con una pubblicizzazione dell’economia senza vera socialità.Così,mentre lievitavano gli enti pubblici e la spesa pubblica, declinava lo spirito e la moralità pubblica.
Malagodi fece invece parte di tutt'altra classe dirigente il cui codice morale contemplava devozione al bene comune,scrupolosa probità,decoro,grande apertura culturale,fede sincera e appassionata nella democrazia liberale.
Si prova un vero fastidio se non proprio un senso di repulsione nel comparare questi modelli di uomini con il paesaggio politico attuale, fatto di demagogia,dileggio della cultura quale privilegio castale,della orgogliosa rivendicazione dell’incompetenza,di appiattimento, trasformista e narcisista.Ecco forse è(anche)questo il motivo per ricordare Malagodi.Un esempio che serva da monito,un’eredità preziosa per tentare di riempire il vuoto di oggi.
08 ottobre 2024
VITA E LETTERATURA
Giovedì 10 ottobre sarà assegnato il Premio Nobel per la Letteratura per il 2024, il riconoscimento letterario più famoso al mondo. Come ogni anno negli ambienti editoriali e sui forum letterari sono iniziate le "scommesse" su chi vincerà.
Ogni anno circola questa battuta:il Nobel per la letteratura viene vinto da uno scrittore diverso ma viene sempre perso da Borges. La battuta è perfetta per designare una particolare categoria di scrittori,quella degli eterni candidati eterni perdenti. E se fino al 1986, anno della sua morte,il titolo spettava all'immenso genio letterario argentino,più di recente si è passati a designare lo scrittore americano Philip Roth nel ruolo di “ma com’è possibile che non glielo danno”.
Anche quest' anno, come ogni anno,all’inizio di ottobre,quando l’Accademia di Svezia annuncia il vincitore del Nobel, è partito il toto scommesse,con i bookmaker che dimostrano la loro superiorità sui critici letterari,Poi,come sempre,come tutti gli anni,ci saranno le recriminazioni come quelle che ci furono quando il Premio fu assegnato a Bob Dylan o Dario Fo.
Al momento sul World Literary Forum (uno dei più importanti forum letterari al mondo) c'è un grande dibattito sui possibili vincitori del Premio per il 2024.
La maggior parte delle previsioni,fondandosi sull'attuale drammatico scenario mediorientale,prevedono che potrebbe vincere un autore o un’autrice del mondo arabo(cosa che non succede dal 1988, quando vinse lo scrittore egiziano Nagib Mahfuz)e ancora una volta si fa il nome del poeta siriano Adonis, che a 94 anni, è considerato tra i più importanti scrittori arabi,segnalato tra i potenziali vincitori del Nobel già da diversi anni.Altri invece pensano che il Premio possa andare a un autore o un’autrice israeliana dalle posizioni pacifiste,come il 70enne David Grossman,oppure,per ragioni simili,alla scrittrice russa di origine ebraica Ludmila Ulitskaya, che ha 81 anni e ha espresso posizioni critiche sulla guerra in Ucraina; il suo ultimo libro uscito in Italia è Sinceramente vostro, Šurik.
Forse,però,il sistema più concreto per farsi un’idea dei favoriti di quest’anno è consultare le società che permettono di scommettere anche per il Nobel della letteratura e che in alcuni casi ci hanno azzeccato, come l’anno scorso quando il nome più quotato era quello del drammaturgo e scrittore norvegese Jon Fosse, che poi effettivamente vinse. Quest’anno le quotazioni sembrano favorire due nomi già circolati nel 2023, cioè quelli della scrittrice e poetessa cinese Can Xue e dello scrittore australiano Gerald Murnane.
Quella più favorita,però,sembra essere Can Xue
anche perché l’ultimo autore asiatico a ricevere il Nobel per la Letteratura fu lo scrittore giapponese naturalizzato britannico Kazuo Ishiguro nel 2017.Can Xue (si pronuncia più o meno “Tsan Sciue”) è lo pseudonimo di Deng Xiaohua, una scrittrice sperimentale e critica letteraria cinese di 71 anni. Suo padre era un giornalista e subì le persecuzioni contro la classe intellettuale portate avanti da Mao Zedong; anche lei non poté completare la sua istruzione e iniziò a lavorare molto giovane come operaia, insegnante e poi sarta. Cominciò a scrivere a metà degli anni Ottanta scegliendo uno pseudonimo che non aveva connotazioni di genere:per questo venne inizialmente scambiata per un uomo.Tra le sue opere pubblicate in Italia vanno ricordate:"Dialoghi in cielo" e La strada di fango giallo.
Gerald Murnane, l’altro favorito, ha 85 anni
Nel 2018 il New York Times Magazine lo definì "il più grande scrittore di lingua inglese di cui quasi nessuno ha mai sentito parlare", anche a causa del suo carattere eccentrico e della sua vita isolata(pare che così come Kant con la sua Konigsberg,non sia mai uscito da Victoria, lo stato australiano in cui vive). Molti di quelli che conoscono i suoi romanzi, però, lo considerano un “cult”, e tra loro anche J. M. Coetzee e Ben Lerner.Il suo libro più noto,pubblicato nel 1982, è Le pianure. Se effettivamente dovesse vincere, sarebbe il secondo scrittore australiano a ricevere il Nobel per la Letteratura dopo Patrick White, nel 1973.
Le società di scommesse suggeriscono anche Alexis Wright, una scrittrice aborigena australiana nata nel 1950 e autrice di quattro romanzi, una biografia e alcune altre opere. Il suo romanzo più noto è I cacciatori di stelle.
C’è poi Jamaica Kincaid, pseudonimo di Elaine Potter Richardson, una scrittrice e saggista 75enne nata ad Antigua e Barbuda nel 1949 e naturalizzata statunitense.I suoi romanzi, saggi e racconti affrontano il colonialismo,le tematiche di genere,i rapporti familiari e in particolare il legame madre e figlia.
Un’altra scrittrice indicata da anni tra i possibili vincitori è la canadese Anne Carson,
poeta e professoressa universitaria di lettere classiche di 74 anni. Le sue opere sono spesso sperimentali e difficili da inquadrare in un preciso genere e in tematiche specifiche. Tra i suoi ultimi libri ci sono La bellezza del marito e Decreazione.
Nei primi cinque favoriti della società di scommesse Ladbrokes c'è anche lo scrittore e traduttore argentino César Aira,di 75 anni ed autore di oltre 100 romanzi e saggi
e il rumeno Mircea Cărtărescu,di 68 anni,noto per la trilogia Abbacinante scritta in 14 anni.
Tra gli altri favoriti ci sono anche autori molto popolari che vengono indicati come possibili vincitori da anni: il giapponese Haruki Murakami,
la canadese Margaret Atwood,
lo statunitense Thomas Pynchon,
il francese Michel Houellebecq noto anche per le sue prese di posizione sull'Islam
e l’indiano naturalizzato statunitense Salman Rushdie,
che lo scorso aprile ha pubblicato il libro autobiografico Coltello,in cui racconta l’accoltellamento che subì nell’agosto del 2022 che lo rese cieco da un occhio.
A decidere il vincitore o la vincitrice sarà l’Accademia svedese, che,come sempre,è composta da scrittori, linguisti e studiosi svedesi, a partire da una selezione di cinque finalisti. Ogni anno la commissione dell’Accademia invita persone e organizzazioni competenti a inviare una preferenza tra scrittori, drammaturghi e poeti di tutto il mondo, e le riduce a cinque candidati sottoposti all’intera Accademia. I nomi dei candidati a ogni edizione vengono resi noti ufficialmente 50 anni dopo. Per esempio quest’anno sono stati diffusi quelli del 1973, in cui furono candidati 101 autori e in cui arrivarono in finale lo statunitense Saul Bellow (che poi vinse nel 1976), Anthony Burgess, l’inglese William Golding (che vinse nel 1983) ed Eugenio Montale (che vinse nel 1975).
A voler essere volgarmente materialistisi si può dire che l'importanza del Nobel per la Letteratura non è solo mediatica, ma anche economica: il premio vale infatti 11 milioni di corone svedesi, quasi 950 mila euro. Può quindi cambiare concretamente la vita di uno scrittore, che improvvisamente diventa ricco, famoso in tutto il mondo, e viene invitato a festival ed eventi letterari e a scrivere su giornali e riviste; soprattutto riesce a vendere più libri in paesi in cui non era ancora riuscito ad arrivare.
Il nostro è un Paese nel quale per una meschina e volgare classe politica vale la frase:"con la cultura non si mangia”.Ma in un Paese come l’Italia che dell’intreccio tra arte, bellezza, storia, paesaggio ha fatto da secoli un tratto della propria identità, la cultura può,deve invece essere un momento di crescita civile e democratica,un fattore di sviluppo economico e,dopo la pandemia e le sue conseguenze sanitarie e sociali,l'inizio per nuove prospettive di vita.
01 ottobre 2024
LIBERALE E GALANTUOMO
Il 1° ottobre del 1992 moriva a Roma Salvatore Valitutti;moriva lontano dalla sua Bellosguardo,in provincia di Salerno,dov'era nato giusto 85 anni prima,il 30 settembre 1907.
Non credo che oggi siano molti a conoscere o a ricordare Salvatore Valitutti.Del resto anche lui,con quel suo sguardo gentile e mite,con il suo fare da galantuomo,non potrebbe certo adattarsi a starci in questi tempi nostri,cattivi,amorali e avaloriali e in una politica sguaiata,volgare e incolta com'è quella italiana.
Ma di Salvatore Valitutti ce ne ricordiamo noi,liberali elettori del "suo" storico collegio elettorale Benevento-Avellino-Salerno;lo ricordiamo bene Salvatore Valitutti,per quella sua signorilità, per l'integrità morale,per la sua vasta cultura,per la sua profonda conoscenza e passione del mondo scolastico e universitario.
Sì,perchè Salvatore Valitutti fu grande intellettuale,Rettore in molte Università italiane e un'autorità nel mondo della scuola,Presidente della Società Dante Alighieri e non a caso anche Ministro della Pubblica Istruzione.Ma fu anche liberale vero.Nel 1953 venne sollecitato perchè accettasse la candidatura alla Camera nelle fila della Democrazia Cristiana,in qualsiasi collegio egli desiderasse.Sarebbe stato facile per lui accettare e avere porte aperte alla carriera politica e professionale.Ma lui rifiutò,per la sua ferma convinzione liberale.
Valitutti fu allievo e rimase sempre legato al grande filosofo Giovanni Gentile,che si accorse delle sue capacità e che lo definì uno dei «miei ragazzi» anche se,ricordò una volta Valitutti,«la mia formazione intellettuale è più crociana che gentiliana ma io sono tra quelli che più soffrirono del contrasto tra i due filosofi".
Valitutti,come accadde a molti altri intellettuali e politici dell'epoca,poi approdati in altre e anzi opposte sponde politiche,si iscrisse al Partito fascista.Ma quella fu un'adesione,a dir così, più intellettuale e culturale che politica.Egli infatti vedeva il fascismo come completamento dell’unificazione italiana e come la risposta all’incapacità delle classi dirigenti risorgimentali di dare dimensione popolare alla rivoluzione,innanzitutto morale,del Risorgimento.Furono poi le vicende successive a far riflettere Valitutti sulla drammatica inconsistenza della costruzione ideologica del fascismo.Fu allora che cominciò a partecipare alle iniziative della sezione locale dell'Istituto filosofico animato da Aldo Capitini,luogo di incontro del dissenso antifascista.Nel 1953 si iscrisse poi al PLI,quasi come naturale conseguenza della sua formazione crociana.
E fu in quella fase che Valitutti,sciolto dalla lettura nazionalistica del suo maestro Gentile,approfondì lo studio di Giuseppe Mazzini che divenne per lui antesignano della religione della libertà,connesso con il pensiero liberale di Francesco De Sanctis,Benedetto Croce,Giovanni Amendola e Luigi Einaudi,che divennero per lui i "maiores" del liberalismo italiano.
Fu liberale vero Salvatore Valitutti,e proprio perchè tale anche nel PLI sviluppò una posizione propria intellettualmente autonoma,libera,niente affatto irregimentata in qualche disciplina di partito,semmai ce ne fossero state.Così,pur non essendo legato alla sinistra interna del partito,esercitò una critica alla lunga segreteria di Giovanni Malagodi e all’isolamento nel quale il Partito si ritrovava da quando nel quadro politico italiano era sorto il centrosinistra. In questo senso è indicativo il suo intervento al Senato del 3 dicembre 1974 sulla fiducia al governo Moro-La Malfa, nel corso del quale sottolineò la novità di quell’esecutivo, definito un ponte per consentire alla democrazia italiana di raggiungere nuovi lidi. Ne colse il senso Ugo La Malfa, che lo giudicò un «ottimo discorso, pieno di idee e di pathos».
Come ovvio il suo impegno politico privilegiò i temi a lui cari della scuola, della pedagogia e del ruolo delle nuove generazioni quale antidoto alla degenerazione oligarchica.Anzi la sua opera più significativa fu “La Rivoluzione Giovanile”,considerata una vera introduzione all’analisi della società emergente e una previsione dei moti studenteschi del 1968.
Ma forse le parole che meglio descrivono l'opera e il pensiero di Salvatore Valitutti furono quelle di Valerio Zanone che di lui disse: “Valitutti fu, nei liberali,fra i primi a trarre dagli studi di scienza politica e di dottrina dello Stato la cognizione della esigenza ormai inderogabile di dare nuova forma allo stato,al governo, alle pubbliche istituzioni”.