29 settembre 2024

IL SOGNO SVANITO





Viviamo tempi senza precedenti nella storia umana.Tempi caratterizzati da cambiamenti profondi e potenti che si sommano insieme e contemporaneamente,alcuni casualmente, in parte dettati da precisi interessi,e ognuno di loro desta in noi stupore, meraviglia,ma anche tanta paura.

C'è stato,per esempio,l'espandersi sempre più ampio e inarrestabile della civiltà digitale e dell'intelligenza artificiale che sono strettamente correlati con un elemento fondamentale di una democrazia e cioè la stampa(finora in modalità cartacea)che è poi uno dei principi basilari attraverso cui viene assicurata,in una società liberaldemocratica,una delle manifestazioni più importanti della libertà,quella di espressione e del pensare.

Sempre più frequentemente,poi,assistiamo a formidabili eventi naturali che testimoniano quanto ormai i cambiamenti climatici stanno trasformando le nostre vite:alluvioni,siccità,caldo in ogni periodo dell'anno sono tutti fenomeni che impongono ai governi di tutto il mondo scelte e decisioni radicali.Tanto per rimanere alla sola Italia(ma il fenomeno è globale e mondiale)stiamo appena uscendo da un’estate con temperature elevatissime,maggiori di quelle dell’estate precedente e dell'altra ancora,mentre,contemporaneamente nel giro di un anno,abbiamo visto per 3 volte le terre dell'Emilia Romagna allagate e devastate in maniera impressionante.I cambiamenti climatici spiegano anche il perchè delle sempre più poderose migrazioni di popoli non più dovute solo alla fuga dalle guerre e dai regimi tirannici,ma anche perchè molte zone del pianeta sono inabitabili per calore e siccità.

Mutamenti profondi e drammatici sono anche quelli intervenuti negli equilibri geopolitici mondiali che avevano retto il pianeta dalla fine della 2° Guerra Mondiale fino a oggi. Nuovi attori sono entrati in gioco (innanzitutto la Cina) cambiando struttura, alleanze e pesi degli interessi globali. Tutto questo non poteva non avere effetti sulla politica,anzi solo le inquietudini e gli affanni del vivere quotidiano impediscono di vederli.

Di fronte a cambiamenti di tale portata e in assenza di certezze, la gente reagisce con sgomento e timore per il futuro.Lo sgomento e la paura spingono questa stessa gente a cercare soluzioni ritenute facili e immediate verso destra,alla ricerca di un protettore,di qualcuno che ponga riparo e rimetta le cose "a posto".In fondo in Italia è sempre andata così,con la gente che è andata sempre alla ricerca dell'uomo(o della donna nella versione aggiornata)forte che promette castelli e faccia sfracelli.Lo raccontava,ad esempio,già Piero Gobetti nella sua opera "Elogio della ghigliottina" quando parlava della "servitù volontaria" degli italiani,della loro "infanzia" civile e politica grazie alla quale Mussolini avrebbe potuto durare nel tempo non perchè avesse la stoffa del tiranno,ma perchè gli italiani avevano "l'animo degli schiavi".

Il risultato del  concorrere di questi molteplici eventi epocali è l'indebolimento della forma democratica degli Stati.I Parlamenti,massimo organo di partecipazione popolare,sono svuotati di poteri e in questo vuoto si espandono società private con immensi capitali,sostituendosi alla loro azione con la velocità e la forza del denaro.I riti della democrazia,sono lenti,macchinosi,richiedono tempo,dovendo conciliare interessi diversi per la ricerca del pubblico interesse.Le autocrazie,invece,non rispettano leggi,procedure o regolamenti e anzi a molti questo piace,e non in molti avvertono il pericolo sotteso.Questo pericolo si racchiude in certe società che pure si definiscono democratiche ma che invece sono l'esatto opposto della democrazia.E' il caso del regime politico ungherese e del suo discutibilissimo leader(così caro al populismo italiano)Viktor Orbán che ha formulato una assurda teoria di "democrazia illiberale".Un tale ossimoro non ha senso.Una democrazia o è liberale o non lo è.

Ed invece quella formula è stata "esportata" anche fuori dell’Ungheria,perfino negli Stati Uniti, la più grande democrazia occidentale, dove appena qualche anno fa si è consumata la più grande violenza che ad una democrazia possa essere portata e cioè l'assalto al Parlamento americano.
E' questo che spiega la rinascita politica ed elettorale di movimenti e partiti europei di impronta neofascista e neonazista.E' la paura di un presente così carico di incognite e incertezze che spiega il ritorno sulla scena pubblica degli eredi di epoche vergognose per la Storia dell'Umanità.  

Ma,appunto,non tutti si rendono conto che la messsa in discussione della forma democratica,vuol dire in definitiva mettere in gioco l’idea stessa di libertà. La libertà decade quando l’abitudine a viverla rende evanescente lo spettro della sua mancanza.Sembra dimenticata la lezione di Piero Calamandrei:"la libertà è come l’aria.Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia".

Sono proprio quelli i momenti nei quali molti,senza nemmeno accorgersene,barattano la propria libertà con la sicurezza, la rassicurante lentezza della democrazia con la sbrigativa velocità dei regimi autoritari. Nel terribile secolo XX che ci siamo lasciati alle spalle ci sono stati gli orrori di due guerre civili europee,di tre regimi tirannici(fascismo,nazismo e comunismo)e dell'immane tragedia della Shoah.Eppure l'Europa è stata capace di rialzarsi e ricostruire quei valori e quegli ideali che sono stati alla base del suo progetto civile e culturale.

Ma le ultime generazioni sembrano non avere idea della fatica e del sangue che sono stati necessari per costruire quel sogno europeo.E' per questo che oggi quel sogno appare oggi in parte svanito e il cammino dell’Europa messo in pericolo.Un regime tirannico o illiberale vive del pugno di ferro di chi lo regge,ma una democrazia vive solo se sorretta dalla convinta adesione dei suoi cittadini.80 anni di pace e il dare per scontato quella libertà e quei diritti che tanti sacrifici son costati ai nostri padri e ai nostri nonni hanno spento questa consapevolezza.

25 settembre 2024

LE ALI DELLA LIBERTA'





Non ricordo quante volte avrò visto questo film.Ma ogni volta è come se fosse la prima volta e ogni volta sembra di scoprire qualcosa di nuovo e di sorprendente.Perchè anche dopo 30 anni(tanti ne son passati dalla sua prima uscita nelle sale cinematografiche nel settembre 1994)"Le Ali della Libertà" rimane uno dei film più coinvolgenti degli anni '90,capaci di suscitare una marea di emozioni.

Eppure nemmeno Stephen King,autore del romanzo dal quale il film è tratto,pensava che "Le Ali della Libertà" sarebbe diventato un grandissimo film,nel quale,invece il regista Frank Darabont vi aveva visto la possibilità di raccontare da un lato la durezza e l'ingiustizia della condizione carceraria e dall'altra l'eterna aspirazione umana al sentimento più grande,cioè la libertà cercata anche attraverso l'immensa potenza della cultura e del conoscere.

Il tema del film,come noto,è incentrato sulla vicenda di Andy Dufresne (Tim Robbins), vice-direttore di Banca ingiustamente condannato per la morte della moglie e del suo amante è costretto da subito ad adattarsi alla terribile realtà del carcere.A prima vista il film può apparire solo come denuncia della condizione carceraria sulla scia di altri precedenti perle cinematografiche come L’Uomo di Alcatraz e Fuga da Alcatraz. Invece la grandezza del film di Darabont sta nell'esser andato oltre il crudo realismo della vita del carcere,dando spazio alla fantasia,al sentimento della ricerca della felicità e della libertà in senso universale.Alla fine ne vien fuori un film fiume di oltre 2 ore,con uno fenomenale Tim Robbins e un Morgan Freeman stratosferico.

C'è un principio base ne "Le Ali della Libertà":i veri criminali non sono i detenuti.O meglio,essi non sono i peggiori rispetto ad esempio al sadico direttore Samuel Norton o al tirannico Capitano capo delle guardie. In quella prigione, i due hanno creato un regno fatto di violenza,tortura,corruzione e terrore.Poi un giorno,in cui assieme ad altri detenuti come "Red" Redding(Morgan Freeman),sta sistemando il tetto,Andy offre,lui che in banca lavorava,la consulenza finanziaria proprio al capo delle guardie facendogli risparmiare 35mila dollari,chiedendo,in cambio,di far avere delle birre agli altri detenuti. Da quel momento Andy è sempre più legato a Red e guaagna il rispetto degli altri detenuti,ma viene anche utilizzato dal sadico Direttore che lo fà diventare suo contabile, in cambio di una migliore condizione carceraria.

Ma proprio nel momento in cui migliora la sua posizione,Andy si rende conto che il sistema carcerario è una via senza uscita per i detenuti.Non esiste alcun principio di redenzione e reinserimento, si viene “istituzionalizzati”,al punto che, usciti di prigione alla fine della pena non si sa che fare.Questo sarà proprio il destino, per esempio,di Brooks Hatlen (James Whitmore)responsabile della biblioteca del carcere.Quando esce dalla prigione si vede fuori dal mondo,solo,umiliato,emarginato dalle persone "normali" ed infine si suicida.E' a questo punto che vien fuori la "filosofia" del film:“C'è qualcosa, dentro di te, che nessuno ti può toccare... né togliere, se tu non vuoi”,dice un giorno Andy a Red,parlando quindi di speranza,di ricerca della felicità,contro un mondo crudele,ingiusto,dove la legge è oppressione,lo Stato è il nemico,il “Sistema” è fatto apposta per far sì che nulla cambi mai.Il carcere è solo ladro di vite.

C'è un altro elemento fondamentale del film:Andy fa studiare gli altri detenuti per far conseguire loro un diploma e la possibilità di avere un futuro diverso.La libertà,cioè,si raggiunge anche attraverso la forza della cultura e della conoscenza.Le Ali della Libertà risulta quindi anche una metafora del "sogno americano", fatta di quella speranza per una felicità, per un sogno che è sempre dietro l'angolo, per un domani migliore,per l’idea che alla fine il bene trionfa sempre.

Il colpo di scena del film è nella parte finale quando si scopre che Andy per 20 anni ha fregato tutti, scavando un tunnel nella sua cella per poi fuggire da quel tempio del terrore.Quel tunnel, coperto da un poster, è quello che porta fuori ad uscire come dalla Caverna del mito di Platone.Andy con i soldi del direttore aguzzino (che si suicida per evitare l’arresto)va a vivere nel posto sempre sognato quand'era in carcere.

Le Ali della Libertà dopo 30 anni rimane un grande racconto sulla ricerca della felicità,capace di rendere ottimisti pur sapendo che la realtà della vita è difficile, amara e piena di ingiustizie.Forse è per questo che riguardiamo "Le Ali della Libertà":perché spesso ci sentiamo come Andy: vittime di un mondo in cui la verità è distorta o negata,ma proprio perciò bisogna trovare dentro di sé la chiave per la felicità,mantenendo fermi valori e principi come la dignità,la coerenza e il coraggio di far valere le proprie idee,anche rinunciando a favori e blandizie.

20 settembre 2024

GRAZIE TOTO'









Non è arrivata inattesa la notizia.Si sapeva ormai da tempo che era gravemente malato di quella maledetta malattia che ti assale,ti azzanna e non ti dà scampo.E la notizia era che Salvatore Schillaci,che di "mestiere" faceva il calciatore,ci aveva lasciati.Lo chiamavano tutti Totò,per quella istintiva simpatia che suscitava,per quella sua semplicità e umiltà.
Totò era un ragazzo di Sicilia e di Palermo;dall'officina di gommista nella quale lavorava,aveva visto partire tanti amici e tanti ragazzi siciliani per Torino per andare a lavorare nella Fiat.La Fiat di Gianni Agnelli.Anche Totò un giorno partì per andare a lavorare a Torino.Solo che lui andava a lavorare in un'altra fabbrica della Fiat,che sempre di Gianni Agnelli era e che si chiamava Juventus.
Quelli della Juve,infatti,avevano visto giocare quel ragazzo prima nel Messina e poi nel Palermo e si dissero che certo un fuoriclasse Schillaci non era,ma che quel ragazzo comunque nella Juve ci sarebbe stato davvero bene.
E già al primo anno fece faville alla Juve,vincendo una Coppa Uefa e una Coppa Italia,e subito entrò nel cuore dei tifosi che lo accostarono a un altro ragazzo del Sud,un altro ragazzo anche lui siciliano,che pure nella Juve venne a giocare,Pietro Anastasi si chiamava quell'altro ragazzo ed era di Catania.

Si può dire che successe tutto (o quasi) in una stagione.Il grosso della storia di Salvatore Schillaci alla Juventus si condensa nella stagione 1989-90.La chiamata della Juve rappresentava per lui l'occasione della vita, del riscatto dopo le difficoltà, del salto in alto nel grande calcio. Era l'opportunità di giocare per la squadra di cui era tifoso fin da bambino,quando giocava con gli amici nel quartiere Cep(Coordinamento Edilizia Popolare)di Palermo.
Totò realizzò così il suo sogno perchè giocare a pallone era la cosa più importante."Da quando ero ragazzino,diceva Totò,l’unica cosa che contava per me era segnare.Ma da noi, per emergere, devi avere la fortuna che qualcuno venga a scovarti. Non ci sono scuole calcio, i club investono poco nel settore giovanile.Fu per questo che quando smise di giocare, ricordandosi chi era stato e da dove veniva,aprì una scuola calcio per i ragazzini di Palermo,dove faceva giocare anche i migranti,perchè poi nella vita ci sono anche quelli che tra tutti sono più in difficoltà degli altri.

E poi fu il tempo di quella maglia azzurra,la maglia dell'Italia ai Mondiali di calcio del '90 che proprio in Italia si giocavano.Nemmeno lui s'aspettava di essere convocato in Nazionale.Partì come riserva di Vialli e Carnevale,poi fu sempre titolare:6 reti, alla fine, capocannoniere e Scarpa d’oro,secondo nel Pallone d’oro dietro al tedesco campione del mondo Lothar Matthäus.E furono notti magiche per Schillaci le notti delle partite di quel Mondiale '90."Notti magiche",il titolo della canzone composta e cantata proprio per quel Mondiale da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato. 

Ma oggi Totò ci ha lasciati,presto,troppo presto ci ha lasciati,a soli 59 anni.Eppure di lui ci rimarrà per sempre il ricordo di quel suo sorriso,di quella sua esultanza braccia al cielo e di quegli occhi spiritati dell'esultanza dopo un gol.Perchè non era un giocatore qualsiasi e banale Schillaci,uno dei tanti che passano sui campi di gioco.Perchè lui sul campo trasfondeva tutta quella sua grande passione per il pallone,la stessa di quando giocava nella squadretta del Cep di Palermo.E tra lui e i tifosi si stabilì subito un rapporto stretto e speciale.  
Perchè c’è un momento in cui,certe volte è come se si stabilisse un patto tra un protagonista e un’intera generazione. È un fatto di sentimenti,di emozioni e di passione. Qualcosa che appartiene solo a quel tempo e a chi c’era:cosa vuoi che possano capire di quei sentimenti,di quelle emozioni e passioni i ragazzi d'oggi;cosa vuoi che possano capire di Schillaci e di cosa abbia rappresentato per noi ragazzi del Mondiale '90.E' un'emozione tutta speciale che resta in fondo al cuore per tutto la vita e che torna in superficie quando un suono,una figura,una canzone o un sapore riporta a galla quell’immagine.Come la "madaleine" di Proust,per dire.

Per coloro per i quali il calcio non è e non sarà mai solo un gioco ma un'emozione e un meraviglioso sentimento, Totò Schillaci è tutt’altro che un calciatore qualsiasi che ha attraversato per un pò le nostre vite.Sarà piuttosto una specie di eroe popolare,lui che dai quartieri popolari di Palermo veniva.

Se i ragazzi d'oggi che danno importanza solo alle statistiche e guardano gli highlights,ci chiedessero chi era Schillaci,forse avremmo difficoltà a spiegarlo,perchè i sentimenti e le emozioni vivono dentro e non sono facili da raccontarsi.E Schillaci era un sentimento,un'emozione perchè erano quelle le cose che lui ci regalava.Era l’eroe di un Mondiale anche se perso;l’autore di gol quasi mai famosi come invece quello indimenticabile di Rivera del 4 a 3 alla Germania nell'epica partita dello Stadio Azteca di Città del Messico.Certo,Schillaci non era  famoso e appariscente come i suoi compagni di Nazionale Baggio,Vialli o Mancini.Ma noi lo ricordiamo e continueremo a ricordarlo per quel suo sorriso,le braccia al cielo e gli occhi spiritati dopo un gol.Perchè Schillaci ci ha dato notti magiche in quell'estate del '90.
Schillaci rimane nel cuore degli italiani proprio perché veniva da umili origini e aveva faticato per imporsi.Di soldi in famiglia ce ne erano pochi,eppure il padre muratore fece di tutto per aiutarlo.Totò non mollò mai,anche quando lavorava come gommista,in pasticceria o da ambulante.Ecco perchè ricordiamo Totò Schillaci:perchè con fatica e sacrificio aveva realizzato un sogno;i sogni,come per Totò,a volte si realizzano,se ci crediamo veramente,se davvero vogliamo e ci impegniamo,possiamo realizzarli i nostri,di sogni.
Ciao Totò e grazie.Anche se l'Italia quel Mondiale del '90 non vinse,tu resti comunque Campione del Mondo negli occhi degli italiani.In questo tempo di fuoriclasse di plastica strapagati e senza passione,tu sei sempe vivo in chi ti ha amato per quelle emozioni che in quelle notti magiche ci hai date.Grazie Totò.

17 settembre 2024

MUNCH,IL GRIDO INTERIORE







In occasione dell’80 anniversario della sua morte,avvenuta ad Oslo nel 1944,è stata organizzata al Palazzo Reale di Milano,da settembre 2024 a gennaio 2025,una grande mostra dedicata a Edvard Munch,uno degli artisti più iconici e amati del ventesimo secolo, dal titolo:"Munch. Il grido interiore".

Edvard Munch è stato uno dei più importanti artisti tra Otto e Novecento perché assieme ad altri pittori suoi coetanei ha segnato un punto di svolta nella storia dell’arte. Ogni qual volta in cui in un libro o in una mostra si parla di lui,il suo nome è sempre affiancato da quello di altri due grandi artisti:Paul Gauguin e Vincent van Gogh.Ciò che accomuna i tre artisti è la forza comunicativa delle loro opere e non a caso Munch, Gauguin e Van Gogh sono considerati anticipatori dell’espressionismo, quella corrente artistica che mira a esaltare il lato emotivo della realtà che ci circonda.

Ma nelle opere di Munch c'è anche tutta l'angoscia della sua vita che fu tormentata e dolorosa,con molteplici drammi familiari,come la morte prima della madre e della sorella maggiore Johanne Sophie(ritratta in un suo famoso dipinto).Più tardi,poi,il padre di Edvard in seguito a questi tragici fatti subì un crollo mentale.Ed anche Edvard fu segnato da questi drammatici eventi cedendo all'alcolismo,alla nevrosi e alla solitudine.

Edvard Munch soggiornò per qualche tempo a Parigi,dove lesse le opere del filosofo Kierkegaard.Quest’ultimo,come si sa,teorizza diversi modi di concepire l’esistenza; tra questi quella che si basa sul collegamento tra arte e vita,e che Munch reinterpretò in chiave personale come arte e dolore.Ma soprattutto il soggiorno francese gli diede modo di entrare in contatto con molti altri artisti,ed in particolare con Vincent Van Gogh e di Paul Gauguin, che lo stimolarono a ricercare uno stile personale che lo contraddistinguesse.

A causa di tutte le sue tragiche esperienze di vita,l'artista scelse deliberatamente di vivere in solitudine,sprofondando in uno stato mentale instabile ed esasperato, aggravato dall’abuso di alcolici. L’artista,però,comprese da solo che non era più possibile continuare a vivere in questo stato e decise di ricoverarsi, seppur con la possibilità di continuare a dipingere. Dopo il ricovero, Edvard riuscì a condurre uno stile di vita più sano, ma sempre in solitudine.

Le opere del primo periodo di Edvard Munch sono molto diverse da quelle della sua maturità: le tinte sono tenui e controllate, i personaggi sono calmi e rilassati e risentono ancora dell’arte del pittore e scultore francese impressionista Degas,un artista per lui importante nei primi anni della sua carriera. Un momento di svolta è chiaramente percepibile nell’opera La bambina malata.L’opera riflette un evento personale, ovvero quello della morte della sorella, che sembra raffigurata sul letto di morte accanto alla zia Karen.

A partire da quella dolorosa esperienza, il maestro norvegese trasse ispirazione per dar vita a un’opera che rappresentasse l’angoscia e il dolore provato da ogni persona almeno una volta nella vita.Così,da questo momento,i toni della sua pittura si incupiscono e il sentimento dell'angoscia e del dolore viene trasmesso anche con la scelta di colori ed atmosfere.

La stessa tecnica si ritrova in un’altra famosa opera: Sera sul viale Karl Johan. Il dipinto rappresenta il tipico rituale borghese della passeggiata serale nella città di Christiania. Munch non si sofferma sulla raffigurazione dei dettagli anatomici dei singoli passanti, ma li rappresenta come un unico blocco di automi dallo sguardo vuoto, che procede nella stessa direzione.C'è solo un uomo che si stacca da questa massa informe ed è quello col cilindro(vedi sopra)che cammina lungo la strada nella direzione opposta: si tratta dello stesso Munch, che si sentì sempre emarginato e lontano dalla società.

Con il passare degli anni le opere dell’artista norvegese riflettono le emozioni e i sentimenti provati dal pittore al momento dell’esecuzione:si tratta di emozioni forti e terrificanti: la gelosia, l’angoscia, la malinconia, la disperazione,che stanno alla base di numerose opere cariche di significati simbolici che alludono a sentimenti e vicende personali.

L'opera più celebre di tutta la pittura di Edvard Munch rimane comunque "l’Urlo". L’opera nota in tutto il mondo è ancora una volta la trasposizione in pittura di un’esperienza vissuta in prima persona dall’artista, di cui è possibile leggerne una testimonianza scritta: “mi fermai a guardare al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’urlo”. Nel dipinto viene raffigurato un fiordo di Oslo,meta per le passeggiate domenicali. Ancora una volta Munch rompe con la tradizione e trasforma un luogo familiare in un inferno terrestre: il cielo si tinge di rosso sangue e l’uomo in primo piano, lontano dalle altre due figure sulla sinistra, si dimena in un urlo doloroso e terrificante, in risposta alla distorsione della natura intorno a lui. L’opera non può che creare ansia e un senso di turbamento nell’animo dello spettatore, che rimane pietrificato dinanzi a quel grido che esprime un’ansia e un'angoscia esistenziale.

Anche le relazioni sentimentali ed affettive furono vissute tra tormenti,emozioni e gelosie distruttive, lasciando l'artista anche qui con un profondo senso di solitudine.

Edvard Munch morì dunque 80 anni fa,nel gennaio 1944,ad Oslo.Ma la sua opera è viva ed attuale ancora oggi,essendo divenuta come il simbolo di un'umanità schiacciata,soffocata e sofferente,l'icona di una società che sembra aver perso ogni senso di orientamento.Il suo grido silenzioso ci ricorda che siamo circondati da una moltitudine di individui, ognuno con il proprio carico di sofferenza,nel vuoto di qualsiasi sentimento e del tutto soli,pur in mezzo a milioni di volti distratti che passano senza vedere noi negli altri e gli altri in noi chi veramente siamo.

L'uomo contemporaneo è smarrito,un individuo senza radici. Viviamo freneticamente ma in modo superficiale,alla continua ricerca di successo e di apparenze.Ma in questa frenesia, in questo mondo di maschere pirandelliane,l'uomo perde la propria essenza.E' solo un'ombra,una figura anonima che dietro alle apparenze e alle finzioni con le quali ci mostriamo agli altri,c'è solo un'anima vulnerabile e sensibile, desiderosa di trovare la sua voce e il suo posto nel mondo.

07 settembre 2024

"NOI" E "LORO"

 






Dopo circa un mese è stato arrestato dai carabinieri il presunto assassino di Sharon Verzeni,la barista di un paese della bergamasca.L'uomo,un trentunenne nato a Milano da una famiglia di origini del Mali,ha dichiarato ai magistrati:"Non c'è un motivo per cui l'ho uccisa,nemmeno conoscevo quella donna.Ma in quel momento è scattato irrefrenabile un raptus di uccidere qualcuno,purchessia".

Parole che lasciano esterrefatti oltretutto per la freddezza con la quale vengono dette.E figuriamoci.Non è sembrato vero a gente come Salvini usare questo caso per scatenare una campagna d'odio razzista contro il presunto assassino(presunto,sì:perchè,nonostante Salvini,ancora si dovrebbe usare questa parola in un "presunto" Stato di diritto).Per Salvini la cosa grave è che quell'uomo,pur di cittadinanza italiana,è di origini africane.E non è un caso che Salvini abbia sottolineato che l'assassino era "cittadino italiano".In quel modo Salvini ha voluto chiudere a qualsiasi ipotesi di "ius scholae",cioè alla concessione della cittadinanza ai bambini nati in Italia o che qui giungano da piccini e che completino un ciclo di studi anche se figli di genitori stranieri.
Ma,al di là della drammaticità del caso specifico,c’è un qualcos’altro che va oltre il miserabile calcolo di un lucro elettorale che si può trarre da un delitto come fa Salvini per raccattare qualche voto nella spazzatura e nel ciarpame dell'Italia più becera e razzista.

Stiamo vivendo un pò in tutta Europa(come le elezioni regionali tedesche testimoniano nelle quali ha ha trionfato il partito xenofobo e neonazista Adf)un sentimento di timore e di paura verso i cambiamenti epocali che stanno avvenendo,dei quali la migrazione dal Sud al Nord del mondo è solo il più appariscente segnale.Guardiamo al futuro con gli occhi del passato e non sappiamo dare il giusto nome a questi fenomeni.Così usiamo frasi e parole ambivalenti a seconda delle circostanze e non capiamo(non vogliamo capire)che il razzismo sta proprio nel fatto di sottolineare l’etnia o la nazionalità di qualcuno quando fa comodo,e non considerare razzismo quando questi termini non giovano alla propria causa,quando,ad esempio,gli stessi fatti accadono ma a parti invertite nel caso dei due italiani che uccisero il ragazzo di colore Willy Montero a Colleferro(Roma).

Dietro le speculazioni della destra sovranista ci sono le paure della parte più fragile della popolazione,soprattutto delle periferie delle città,e la precisa volontà da parte della stessa destra, di non fare niente per emanciparla da questa angoscia che fa vedere la modernità non come opportunità e possibilità ma come un incubo,qualcosa da cui difendersi invece di viverla.

Questa concezione di sovranità e nazionalità non è basata sui diritti, la cittadinanza, la Costituzione e la libertà, ma ancora e sempre sull’identità biologica originaria da conservare e proteggere.Sono del resto proprio queste le idee care a quel tal generale Vannacci.Per lui gli esseri umani si devono classificare non in quanto esseri umani ma per categorie,comunque altre e diverse.Così i gay "non sono normali" e i disabili vanno messi in classi separate.E perchè "quelli" che hanno un diverso colore della pelle rispetto a "noi","non hanno le caratteristiche somatiche italiane".Come se poi il popolo italiano non fosse quello etnicamente più eterogeneo con tutte le migrazioni avvenute nei secoli e per i contatti multietnici e culturali avvenuti sulle nostre terre.

La presunzione per le destre è dunque quella secondo cui noi,italiani ed europei,all'interno del fenomeno migratorio rappresentiamo la “normalità” ed è per questo che saremmo autorizzati a distinguere tra un “noi” e un “loro”. La politica di destra intravvede un mercato elettorale nel cittadino solo, spaesato, che dopo non essere mai uscito dai confini del Paese si trova improvvisamente globalizzato a casa sua, e lo incoraggia a trasformare “loro” in un pericolo permanente. I migranti sono l’avversario,il nemico:e se da irregolari diventano regolari "loro" possono lavorare in Italia,potendo(giustamente)rivendicare aspettative di diritti, del welfare, della cittadinanza. Qui nasce il conflitto, perché "loro", gli "intrusi" diventerebbero addirittura come "noi" ed è qui che esplodono fomentate insicurezze che negano il diritto ad avere diritti dei "nuovi" italiani,ricacciandoli in ghetti sociali e culturali.Di conseguenza i "veri" italiani vivono i diritti come cosa propria ed esclusiva,come privilegio, rifiutando condivisioni e solidarieta'.

Ma spacciando paure si finisce col vivere proprio nella paura e nell'angoscia.Abbiamo così quelle narrazioni del ministro Lollobrigida per il quale sarebbe in corso addirittura "una sostituzione etnica" e l’impegno epico-etico della Premier Meloni di "difendere Dio,la Patria e la nostra civiltà".

Ecco quindi che ne vien fuori quell'idea identitaria di comunità nazionale  chiusa nella tutela biologica della discendenza,basata su una presunta superiorità etnica,che cerca garanzie nei suoi valori sacri,Dio, Patria, famiglia.È un'idea cieca e ottusa che non vede i cambiamenti epocali culturali ed economici che vengono da una società sempre più multietnica,come anche quella italiana è già diventata e che invece è come angosciata da questi mutamenti e dal rischio della perdita dell'identità nazionale in un mondo globalizzato che là fuori,oltre i nostri confini,comunque esiste e con la quale comunque bisogna fare i conti.

03 settembre 2024

SCIREA, UN ESEMPIO CHE NON MUORE

No.Sarò forse nostalgico,ma il "mio" calcio non è quello che oggi siamo abituati a vedere.Il "mio" calcio,l'idea che ho del calcio,non è quella di uno sport che,come oggi succede,si aggira nei meandri di un mondo di presidenti-affaristi e intrallazzatori,di società dai bilanci,per usare un eufemismo,poco trasparenti,da procuratori speculatori e senza scrupoli e dagli stessi ragazzi che corrono dietro a quel pallone ricoperti dalla cima dei capelli alle punta delle scarpette da sponsor a non finire.

Il calcio io l'ho imparato "studiando" sugli album delle figurine Panini,sui quali c'attaccavo le figurine adesive dei calciatori.E quelle figurine le scambiavamo con gli altri bambini,se dalle bustine t'usciva un calciatore "a doppione",che cioè avevi già.Erano figurine con calciatori con i baffi(indimenticabile quella di Albertosi)sguardi arcigni e sopracciglia folte.Ma di qualcuna di quelle figurine,ti veniva naturale metterla da parte,perché sapevi che l’avresti conservata.E perchè un bambino dovrebbe conservare una figurina?La risposta è semplice.Perchè "sentivi",perchè avevi per quella figurina,per quel calciatore una specie di rispetto,anche se non era della squadra per la quale tenevi tu.Come per Mazzola,ad esempio;o Rivera o Riva.O come Gaetano Scirea.

Gaetano Scirea vestiva la maglia della Juve,quella più detestata, per tutti quelli che non sono juventini.Non certo da me che juventino sono.Eppure,lo sapevo,me ne accorgevo,che quelle strisce bianconere,addosso a lui destavano nei miei amici bambini e ancor oggi in tutti destano,rispetto ed ammirazione,per quel suo modo di giocare,ma soprattutto per quel suo modo di essere Uomo vero.Il 3 settembre 2024 di anni ne fanno 35 anni dalla sua morte così casuale,così orrenda.Avvenne in Polonia,dove Scirea era andato per "visionare" come si diceva una volta,una squadra polacca,prossima avversaria della sua Juve,perchè lui aveva lasciato il calcio giocato e cominciava quella di osservatore sempre per la sua Juve.35 anni son tanti,eppure più passa il tempo più ti sorprendi nell'accorgerti di quanto sia vitale il ricordo e dell’importanza di Scirea. Più passa il tempo e più ci si rende conto che l’esempio che ha lasciato sconfigge giorno dopo giorno la sua assenza.Forse perché Scirea,era un atleta consapevole,con quel suo modo di giocare e di stare al mondo,dei valori dello sport.Fors'anche perchè sapeva il significato della parola "sacrificio",avendoli visti fare ai suoi genitori.

L’educazione e la gentilezza i suo tratti distintivi e la capacità di ricordare, per ognuna delle sue tante vittorie,che vincere non vuol dire mai sentirsi superiori. Di conseguenza, nessuno mai dovette insegnargli a saper perdere, perché Scirea sapeva che nello sport,come nella vita,qualche volta si può perdere ma bisogna sempre imparare dagli errori.

Perché Scirea era uomo vero.Perchè era uno che sapeva tenere i piedi per terra,al contrario di quei tanti ragazzini di oggi che per un gol che fanno si atteggiano a campioni ineguagliabili.Perchè Scirea non dimenticava mai che i suoi genitori avevano lavorato in fabbrica,per un millesimo del suo stipendio e che perciò meritavano più ammirazione e rispetto più di quello che tanti nutrivano per lui,che era diventato ricco giocando a pallone.

L'Uomo e il grande calciatore.Perchè,oltre a quelle qualità umane Scirea era un grande calciatore, precursore di un calcio moderno.A quel tempo si chiamava “libero” il ruolo che ricopriva,quello che oggi definiremmo difensore centrale,con strepitose capacità di lettura, anticipo e marcatura e capacità di  avanzare come una mezzala,il ruolo che,del resto,aveva avuto nelle giovanili dell'Atalanta.Insomma.giocatore universale, dotato di intelligenza calcistica superiore e una tecnica di base eccellente, grazie alla quale non gli mancava nessun fondamentale.E lui c'era in quella finale del Mondiale '82,in quell'Italia del mitico Bearzot che vinse la Coppa contro la Germania Ovest.La finale dell'ormai indimenticabile urlo di Tardelli al suo gol.

Vinse praticamente tutto Scirea:Coppa Uefa,Coppa delle Coppe,Supercoppa,Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.Un primato mondiale.E,così,tanto per gradire,anche 7 scudetti e 2 Coppe Italia.E forse ancora avrebbe continuato a vincere quando cominciò una nuova vita da tecnico,ma in Polonia una vampa di fuoco se l’è portato via, lasciando tutti allibiti.Tutti.Juventini e non.

E forse,se ancora oggi continuiamo ad amare il calcio pur così cambiato in peggio,è perchè ci sono stati uomini che hanno dato a questo gioco un senso che va oltre i risultati.Perchè ci sono stati giocatori come Gaetano Scirea,che con il loro essere uomini e campioni,hanno reso migliore il loro tempo e ci hanno aiutato a sognare che forse un'altra vita si può.

01 settembre 2024

E SI VA A RICOMINCIARE


SETTEMBRE.....E (RI)COMINCIAMO





E' speciale settembre...come se finisse qualcosa,
come se qualcosa ricominciasse

Ed è arrivato anche Settembre.E' mese speciale settembre:è un mese che sembra portatore di nuove e grandi opportunità.Il mese che traccia il limite tra il declinare di un tempo di vita e un altro appena iniziato.Un nuovo inizio,verso un futuro senza certezze,come l'inoltrarsi verso il buio dell' inverno, lasciando dietro di sé la luce e il sole caldo dell' estate.

Settembre è il mese dell'inizio o del principiare di vita nuova.I bambini tornano a scuola,la sveglia suona presto quando fuori è ancora buio,le strade delle città tornano a riempirsi di voci ed è lontano il ricordo dei desolanti deserti d’agosto.

E' una la parola che ci chiede e che chiediamo al mese di settembre:ricominciare.Non è più tempo di fermarsi, rallentare, riposare, le vacanze sono terminate. Il sole non indugia più sui volti invitando all’ozio delle lunghe giornate estive, ora è un vento incalzante a spingerci in avanti.

Sono belle le giornate di settembre perché il clima è mite, l’oscurità ancora tarda ad arrivare e una segreta frenesia anima di riflesso ogni cosa: c’è desiderio di fare, realizzare,magari realizzare quei sogni e quelle promesse che ci si era fatti mentre ancora eravamo in vacanza.

Eppure questo mese racchiude anche un suo lato ombroso, irrequieto, un aspetto nostalgico.L’estate è troppo chiassosa,come una persona che urla o parla a sproposito; ora invece il principio dell’autunno allunga i silenzi, ci invita alla riflessione,al raccoglimento interiore. Settembre è promessa e nostalgia, ci mantiene in bilico tra i due estremi dell’azione e del sogno, a un passo dal verificarsi di ogni cosa con il senso di aspettativa che è proprio dei desideri non ancora realizzati.