28 giugno 2023

LA VITA MENO DI UN LIKE





Ha destato enorme scalpore nella pubblica opinione la vicenda dell'incidente a Casal Palocco a Roma.Un Suv,guidato dal gruppo di youtuber The Borderline,si è schiantato contro una Smart su cui viaggiavano una mamma e i due figli.Manuel,uno dei due bambini di soli 5 anni,ha perso la vita.I ragazzi sul SUV stavano partecipando ad una sfida sui social:stare 50 ore in auto senza mai scendere,alternandosi alla guida.Una ‘challenge’(una "sfida")effettuata per raccogliere più clic dai loro follower e riuscire a ‘monetizzare’ le loro performance,ottenendo visibilità e di conseguenza dei guadagni.

E' questo il tempo che stiamo vivendo.Un tempo di vuoto esistenziale,nel quale non parliamo più con gli altri,chiusi nelle nostre vite virtuali sempre col capo chino sui cellulari.

La morte di quel bambino pone molte domande.E se fosse venuto il tempo di ritrovare le parole per ricostruire rapporti reali con gli altri?Se alzassimo la testa dal cellulare per guardare dentro di noi?Nel video postato dai ragazzi prima dell’incidente in cui é morto Manuel,c'é tutta l'evidenza di cervelli mandati al macero con una serie di banalità e volgarità. 

Oramai i social ci hanno trasformato in merce.Si mostrano i corpi,i posti dove andiamo,ciò che mangiamo e indossiamo.E non pensiamo che così consegniamo le nostre vite  agli oscuri archivi del web,dove esse saranno analizzate ed esaminate per influire in maniera più o meno subdola sulle nostre scelte.E non soltanto sulle scelte commerciali per l'acquisto di un prodotto.La cosa più preoccupante é che i "big data" cercano ogni giorno di direzionare anche le nostre idee.

Oggi i ragazzi non cercano più il mondo reale fuori del mondo dei social,nelle relazioni umane,nei viaggi,nella scoperta dell’amicizia e dell'amore,nella natura.Il loro mondo finisce lì:nel conteggio dei follower.E' questa la misura della loro autostima:il giudizio degli altri su di te.Per i più spregiudicati,poi,i follower sono fonte di guadagno facile.Come é successo nella vicenda che ha causato la morte del piccolo Manuel.Esporre il proprio corpo o produrre delle performance oltre i confini conosciuti per acchiappare quanti più "like",e con i like le offerte di diventare testimonial,influencer e fare soldi.

Sul web tutto è gratis,o almeno così ci sembra.In realtà il prezzo che paghiamo siamo noi stessi.Il web appare come il regno sconfinato della libertà ed invece é proprio lungo le strade di internet che cediamo le nostre libertà e ci assoggettiamo al controllo di ogni aspetto della nostra esistenza.

Ci siamo piegati alla negazione delle competenze(lo scrittore americano Tom Nichols ne parla nel suo libro:"La conoscenza e i suoi nemici.L'era dell'incompetenza").Accettiamo la violenza del linguaggio(del resto usata anche da esponenti di governo che non a caso fanno molto uso dei social,come Meloni e Salvini).Ci siamo piegati alla dittatura delle minoranze,anche solo virtuali,come questo fantomatico "popolo della rete" che quasi vorrebbe imporre mode di fare e pensare.Nel frattempo abbiamo rimosso i valori,sostituendoli col culto e l'idolatria per se stessi.

Certo,con l'avvento di internet e dell'Intelligenza Artificiale la nostra vita si é fatta più facile(diffusione della conoscenza,abbattimento dei confini e dello spazio,relazioni commerciali e industriali più veloci).Ma sono gli stessi inventori dell’intelligenza artificiale a mettere in guardia sui pericoli che essa può avere sulla democrazia,la privacy e la diminuzione dell'occupazione in molti settori.

La scienza deve essere libera di cercare sempre nuove conoscenze,e la democrazia libera di regolare i rapporti sociali ed economici tutelando l'individuo evitando abusi o distorsioni.Ci sono infatti momenti in cui la democrazia deve "regolare" la scienza.Si pensi,ad esempio,al ciclista investito e ucciso negli Stati Uniti da una delle auto senza conducente di Uber.Il sistema di guida della vettura non era riuscito a classificare correttamente come “persona in bicicletta” la vittima:probabilmente aveva "scambiato" quell'ostacolo per un qualcosa di "innocuo" e quindi consapevolmente travolta.Un errore di programmazione dunque,che avrebbe potuto essere evitato con facilità.Ma chi verifica l’effettiva sicurezza dei sistemi di guida autonoma?Chi si deve prendere la responsabilità di dare la patente ai robot?Ecco perché viene fuori la necessità di regolare la materia.

Ma nel caso del piccolo Manuel c'é un qualcosa che ci dice che abbiamo già superato il limite.È la legge dei follower che sceglie,anche se non ce ne accorgiamo.La vita di Manuel è stata considerata meno importante di un like.

22 giugno 2023

LA PANCHINA DI FREDRICK






C'é stata la storia di di quei 600 migranti,600 poveracci che non ce l'hanno fatta,morendo affogati nelle acque del Mar Egeo.E ci sono poi storie di altri migranti che ce la fanno a salvarsi dalle acque del Mediterraneo,per i quali,una volta a terra,comincia il "dopo",comincia tutta un'altra vita in un Paese nuovo,tra gente sconosciuta.
Era questa la storia di Fredrick,ad esempio.Fredrick era ghanese,aveva fatto quasi 3000 km fino alla Libia,e lì era stato "normalmente" rinchiuso nei lager di "accoglienza" e derubato e spogliato di tutto.Aveva poi preso la solita carretta del mare,effettuando una pericolosa traversata del Mediterraneo.Tutto questo calvario infinito nella speranza di una nuova vita,per fuggire dagli orrori e dalla miseria della sua terra.
In Italia Friederick era già da qualche anno.Sembrava felice,forse già solo per essere sopravvissuto alle acque del Mediterraneo.

Viveva a Pomigliano d'Arco,un grosso centro del napoletano,e aveva anche preso la licenza media e lì lavorava:si svegliava alle cinque del mattino e caricava frutta al mercato.Lavoro duro,ma lui era sempre contento e ben voluto da tutti.
Ultimamente,però,era caduto nella rete del disagio,non stava bene e beveva.Fredrikin,così,aveva cominciato una vita da clochard.Un clochard,un mendicante,un senzatetto dalla pelle nera.Aveva fatto di una panchina di pietra(la chiamavano ormai la "panchina di Fredrikin")di fronte a un supermercato il suo giaciglio di fortuna,sotto un albero che lo riparava dal sole.Qui passava le sue giornate,aiutando i clienti del supermarket a portare la spesa in cambio di qualche spicciolo.La città lo aveva adottato,perché era una persona mite,conosciuta per la sua gentilezza e affabilità.

Volevano tutti bene a Fredrikin.O quasi tutti.Perché qualche notte fa due giovani si sono avvicinati alla sua panchina,lo hanno svegliato e,senza un motivo,hanno cominciato a prenderlo a botte.Tante botte.Violente.Selvagge.Pugni e calci a non finire;e ridevano e riprendevano tutto col telefonino,mentre lo massacravano di botte.Fredrick é morto qualche ora dopo in ospedale.Chissà perché lo hanno fatto quei due bastardi.Forse  chissà,per una scommessa o uno scherzo o solo per divertirsi.Perché i poveri,gli ultimi,i fragili spesso servono per ridere ed é facile perché non possono difendersi.

Fredrikin era venuto in Italia per fuggire dalla fame e dalla guerra.Era un uomo solo,povero,lontano dalla sua terra,dalla sua gente.I due ragazzi avevano il problema di come poter trascorrere una serata di divertimento;Fredrikin aveva il problema di dover affrontare la  fatica e la durezza della vita.

Ma per quei 2 ragazzi in fondo che differenza fa?La vita,la morte,é tutto come in un videogame,dove manca il tasto “play again”,che permette di resuscitare i morti e ricominciare il "gioco".

La morte di Fredkrin avviene solo qualche giorno dopo la tragedia dell'Egeo con quei morti che l'Europa porta sulla coscienza per non averli soccorsi.Quei morti erano persone che,come Fredkrin,scappavano da fame,guerre e carestie.Quei 600 migranti sono morti senza l'aiuto dell'Europa,negli stessi giorni in cui quattro nazioni mettevano a disposizione qualsiasi mezzo per salvare quattro miliardari,che hanno “giocato” in fondo al mare per andare a visitare i resti del Titanic con un lussuoso sommergibile.

Per gli immigrati nessuno mette a disposizione niente.Non l’Europa dove si alzano muri e grida razziste.Non l'Italia,di certo,con un governo di destra sovranista,nel quale c'é gente che dovrebbe vergognarsi per aver contribuito alla narrazione di un odio cieco contro i migranti che passa anche attraverso parole come:"sostituzione etnica".

Una mano pietosa ha lasciato sulla "panchina di Fredkrin" un cartello con su scritto:"Un innocente ucciso da una società che sta fallendo".Sì,è vero.La morte di  Fredkrin é anche il segnale di questa nostra società decadente e degradata.Non ci accorgiamo nemmeno più dei tanti,dei troppi atti di violenza biechi,vergognosi,devastanti che ci sono ogni giorno in Italia.Tutti senza un motivo,senza un perché.O forse sì.Il motivo c'é.Questa società,così come l'abbiamo costruita,a nostra immagine e somiglianza,non si pone più alcun perché,non si pone più domande sul proprio essere,non ha più motivazioni esistenziali,valori e principi fondanti.Conta l'apparire e non l'essere.E' questo il tempo dei "like".Sono i “mi piace” i nuovi valori,sono il numero di visualizzazioni a far credere a questa "generazione digitale",di poter fare qualsiasi cosa,pur di essere notati.

Non ci sentiamo invece in obbligo di dare dignità di uomo a un immigrato,un povero,un  senzatetto.Non ci sentiamo in obbligo di  inginocchiarci presso quelle panchine per capire,per "sentire" il dolore del mondo.Sappiamo solo piegarci ai potenti di turno,per ricevere favori e qualche ritorno personale.

Frederick è morto su quella panchina,sotto i nostri occhi e per colpa dei "like".E noi non siamo stati capaci di difenderlo.Adesso noi che viviamo nella parte fortunata del mondo dovremmo avere almeno la decenza di chiederci che cosa possiamo fare.Continueremo a far finta di non vedere cosa accade sulle tante panchine italiane o siamo ancora in tempo per dare un nuovo senso e altri valori alla nostra vita ?

20 giugno 2023

SE MUORE ANCHE LA PIETA'





Lampedusa nel 2013,e poi il canale di Sicilia nel 2015 e poi Cutro,nel febbraio di quest'anno.E adesso quest'immane tragedia avvenuta nelle acque di Pytos,nelle isole del Peloponneso dove c'é stato un naufragio di un peschereccio nel Mar Egeo con a bordo più di 700 persone :600 i morti e tra loro circa 100 bambini che erano nella stiva del peschereccio.Posti diversi e lontani tra loro,eppure così vicini ed eguali.E' come se una invisibile linea rossa legasse tutti insieme quei posti.Una linea al di là della quale sembra che ogni sentimento di umanità e solidarietà,comprensione e compassione(dal latino "patire con",condividere il dolore,la sofferenza)siano mai arrivati.

Ma forse la notizia più mostruosa di quest'enorme sciagura é che essa non fa più notizia,per quanto siamo quasi come abituati ed indifferenti al fatto che migliaia di esseri umani muoiano ogni anno a pochi chilometri dalle nostre coste o per le strade della civilissima Europa.Forse perché,se non sappiamo respingere la falsa narrazione populista dei Meloni,Salvini e Piantedosi,non riusciamo più a intendere quanto grave sia quello che sta accadendo.Ed il problema comunque rimarrà,perché questi disgraziati sono così disperati che continueranno ad arrivare,preferendo rischiare la vita in questi terribili viaggi della speranza,piuttosto che vivere gli orrori delle proprie terre.

Ed invece queste sono cose che ci riguardano da vicino,visto che guerre,crisi ambientali,persecuzioni e violenze,sono tutti fattori che determinano esodi di massa sempre più massicci dal sud al nord del mondo.Uomini,donne,bambini che scappano per mettersi in salvo che quasi mai trovano rifugio e assistenza in Europa.Ed infatti i governi europei,di fronte a tragedie come quella di Cutro e l’ecatombe nel Peloponneso,dopo qualche ipocrita lacrime da coccodrillo,non sanno o non vogliono trovare un terreno comune d'intesa se non quello di vietare approdi, violando trattati internazionali e ogni principio di umanità.

Da anni,ormai,l'Europa soccombe al nazionalismo e alle campagne di odio della destra xenofoba.Non ci sono vere discussioni su come governare la mobilità delle persone,sull'individuazione di soluzioni praticabili e la previsione di modelli di integrazione.E nemmeno la creazione di un programma europeo di ricerca e salvataggio che impedisca queste stragi.

L’obiettivo di risolvere l'epocale problema dei flussi migratori rimandando indietro i migranti illegali verso paesi di partenza o di transito é dunque solo un miraggio,agitato dai governi solo a fini elettorali e di politica interna.Il fatto é che in questo momento non ci sono leader europei del livello di un De Gasperi,un Adenauer o uno Schumann,in grado di uscire da egoismi e immobilismi,per pensare in maniera lungimirante ad un continente vicino che tra 20 anni avrà due miliardi e mezzo di abitanti.Il sostegno all’Africa è nostro interesse,oltre che un obbligo storico e morale.

Questa nuova strage al largo della Grecia,dimostra infatti che occorrebbe fare di tutto per evitare nuove tragedie del mare, proteggendo donne,bambini e famiglie,ed in questo modo anche l’onore del continente europeo.Questa tragedia ci impone l'obbligo di tenere a mente che la parola “Solidarietà”,oltre che una parola citata nella Costituzione e nella Carta dei diritti dell’UE,dovrebbe essere un sentimento etico ed umano,invece oramai scomparso dal nostro patrimonio morale.

L’Europa è diventata sempre più inospitale,chiusa di fronte a gente che fugge da altre terre a cercare sopravvivenza e pane.In questo atteggiamento si coglie la decadenza e il disfacimento dell'originario,comune patrimonio culturale europeo come sognato da tante grandi,da Victor Hugo  ad Altiero Spinelli.

Erano proprio queste,invece,le caratterisitiche della cultura e della civiltà europea ed italiana:l'accoglimento e lo scambio con altri e diversi mondi,da quello giudaico a quello arabo e bizantino.Ed invece oggi siamo qui,a guardare con indifferenza,quasi con fastidio,quelle immagini che ci arrivano dal Peloponneso.Ma quei(tanti)morti non sono salme,non sono statistiche sull’ammontare dei cadaveri:sono uomini,donne e bambini con una vita spezzata per sempre.Per questi altri 600 morti non ci sono state braccia tese,braccia che li salvassero e permettessero loro di sbarcare sulla terraferma.

Ma quando finirà tutto questo?Sembra che perfino Dio taccia,sembra che abbia abbandonato quei suoi figli che ancora di più Lo invocavano.E intanto l’ingiustizia continua a trionfare.E non ci ribelliamo nemmeno più di fronte a queste immani stragi di migranti.Troppe sofferenze,troppe morti.Nell’Egeo sembra essere morta anche la pietà.

11 giugno 2023

40 GIORNI DI SOLITUDINE



Oggi di anni ne hanno davvero pochi questi quattro bambini colombiani:Lesly,13 anni,la sorellina Solerny 9,il fratellino Ariel 4 e la più piccola,Cristin addirittura nemmeno 1.Ma tra 20 anni,quando tutti e quattro saranno dei papà e delle mamme chissà cosa racconteranno ai loro figli.Forse consiglieranno loro di leggere il libro Cent’anni di solitudine del grande scrittore loro connazionale e Premio Nobel per Letteratura,Gabriel Garcia Marquez.Ma prima,forse,racconteranno una favola,una favola che potrebbe chiamarsi:"40 giorni di solitudine".Una favola che poi favola non é,perché é stata la storia vera di quei 4 bambini.Comincia così quella storia:c'era una volta un aereo con una mamma e 4 bambini a bordo,che stavano andando dal loro papà.A un certo punto,però,l'aereo precipitò nella grande foresta oscura e la loro mamma morì.Ma i quattro fratellini sopravvissero e girarono tra tanti pericoli per 40 giorni nella  grande foresta,fino a quando l'esercito e "gli indios" li trovarono,tornarono dal loro papà e vissero felici e contenti.

Ecco,sì.Questa davvero é stata la storia di quei 4 bambini:di Lesly,Solerny,Ariel e Cristin,già miracolati nell'essere sopravvissuti dopo che l'aereo sul quale viaggiavano con la mamma era precipitato nel folto della grande foresta amazzonica.In una foresta che Dante avrebbe chiamato la grande selva "selvaggia e aspra e forte".Ed in quella foresta i fratellini si sono fatti forza e hanno iniziato a camminare,mettendo a prova tutta quanto avevano imparato dalla cultura ancestrale della loro comunità indigena.Perché é stato proprio questo a salvarli.Quei 4 bambini hanno sempre vissuti nella giungla,perché facevano parte di una comunità di indigeni chiamati Huitoto nella quale ai bambini sin da piccoli si insegna a cacciare,pescare e raccogliere frutta e bacche.Gli alberi,le piante,il verde nel quale sono cresciuti erano conosciuti a quei bambini,per un sapere quasi istintivo,di quelli che che non  è scritto in nessun volume,ma che si tramanda tra le generazioni e e che loro hanno ereditato da una nonna esperta della giungla.Insegnamenti di vita di un popolo abituato a vivere nella selva,e a rispettarne le leggi non scritte.
Sono riusciti a farsi strada in mezzo alla vegetazione fittissima che non permette di vedere a 20 metri di distanza,tra alberi alti fino a 45 metri,proteggendosi da mille insidie come quelle dei grandi felini,degli scorpioni,dai ragni,gli insetti velenosi,i serpenti.Lesly,la più grade,ha saputo proteggere Cristin,di soli 10 mesi,cibandosi con bacche e arbusti.Finalmente,dopo 40 giorni appunto,li hanno trovati stremati,sotto un albero,disidratati,pieni di punture di insetti,ma vivi.

Apprendendo di questa storia,vien fatto di pensare che no,che i nostri ragazzini,quelli che vivono nel mondo "di qua",non se la sarebbero cavata nella giungla.Perché loro fanno già tanta fatica a muoversi in quest'altra giungla,quella delle vie delle nostre città,vie deserte d'anima,di cuore e di passioni,prive della segnaletica stradale che li indirizzi verso valori e principi.Ma quella segnaletica avremmo dovuto metterla noi "grandi",come ha fatto la nonna dei 4 ragazzini colombiani.E invece non l'abbiamo fatto,persi nella vacuità dei nostri egoismi,degli arrivismi,dei carrierismi ma anche di una profonda noia esistenziale.

I nostri ragazzi,se restano anche per poche ore senza un telefonino,o un navigatore,o il collegamento perenne ad internet,non hanno più connessione con la durezza del mondo della realtà,ma nemmeno con la bellezza del sogno e del magico,del quale,appunto parla Gabriel Garcia Marquez;quel sogno e quel magico attraverso i quali porsi l'obiettivo,anche attraverso sacrifici e rinunce,di  raggiungere altri luoghi e territori del pensare e del conoscere.

Così,su un versante del mondo ci sono 4 ragazzi che sanno prendersi cura l’uno dell’altro,anche del più piccino(un neonato) e che hanno messo in pratica tradizioni e conoscenze antiche.Qui da noi abbiamo bambini e preadolescenti la cui vita è sempre più senza conoscenza:di sé,degli altri,di tutto il mondo intorno.E anche di conoscenze culturali.Noi "grandi",noi adulti e genitori crediamo che tramite il cellulare possiamo conoscere i loro spostamenti,geolocalizzarli,ci illudiamo di sapere dove sono e cosa fanno,salvo poi ricevere brutte sorprese su tutta quell'altra vita che mai avremmo pensato che facessero.

Si resta così senza consapevolezza del significato da dare a quella sottile "linea d’ombra"



raccontata da Joseph Conrad,che separa il territorio dell’infanzia da quello della pubertà e poi dell’età adulta.Quando poi la si supera si resta atterriti perché impreparati ad affrontare il mondo reale,dopo che per tanto tempo i nostri ragazzini e noi con loro siamo restati "straniati" nei nostri mondi virtuali.In altre società tradizionali ,invece,come quelle dei bambini colombiani,i ragazzini vengono effettivamente sottoposti a questo rituale di iniziazione:saper ritrovare la strada di casa,orientarsi in un luogo sconosciuto e sopravvivere alla solitudine esistenziale,al buio della notte e del giorno .




La vicenda dei 4 bambini nella foresta colombiana ci impone l'obbligo di rispondere anche ad altre domande:quella sul rapporto tra Uomo e Natura,con l'uomo che brutalizza quest'ultima,sfregiandola con orrendi scempi edilizi,sorprendendosi,poi difronte a fenomeni come le alluvioni che lui stesso ha causato.O sul conflitto tra Bene e Male,o l'organizzazione consumistica ed edonistica della nostra società.Queste domande se le era gia poste Rudyard Kipling,in verità,nella storia di Mowgli,il ragazzino cresciuto nella foresta.Forse rileggendo quella storia capiremmo le tante cose che sbagliamo in questa nostra vita così come l'abbiamo voluta.

09 giugno 2023

E' STATO LO STATO











Pensavamo che gli orrori del caso Cucchi,morto in un Comando dei carabinieri a Roma per le violenze,le percosse e i pestaggi brutali ricevuti dai militari dell'Arma,fossero un caso gravissimo ma comunque isolato.Ma poi ci sono stati i pestaggi e le violenze della polizia carceraria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere,dove i detenuti venivano costretti a mettersi in ginocchio,le mani dietro la testa,la faccia rivolta al muro e giù manganellate e calci e pugni ed umiliazioni anche contro un uomo in sedia a rotelle.

E non c'eravamo ancora tolti dagli occhi le immagini brutali del video della trans già bloccata a terra e pestata a sangue dagli agenti della Polizia Municipale di Milano che solo qualche giorno dopo un altro video ha mostrato due carabinieri che sferrano pugni e calci ad un giovane bloccato e fermato a terra.

Insomma,é sembrato di rivedere anche in Italia le brutali scene di violenza della polizia americana contro la gente di colore,come quelle che portarono alla morte di George Floyd.



E in questi giorni ancora una volta la legge si é fermata fuori un Palazzo dello Stato,proprio uno di quelli nei quali il cittadino ancor di più si aspetterebbe di veder tutelati i propri diritti.E' accaduto a Verona.E' accaduto nella Questura di Verona,dove un’umanità dolente ritenuta di serie B(tossici,ladruncoli,senza tetto,piccoli spacciatori,migranti di varie etnie)é stata per mesi trattata con sadismo,violenza,disumanità e con umiliazioni da una ventina di agenti(tra cui alcune donne)che lì prestano servizio.Questo fecciume di gente(loro sì che sono del ciarpame subumano)hanno inflitto alle loro vittime ogni possibile variante di violenza fisica e psicologica.Percosse,bagni nell’urina,spray urticante negli occhi e nel retto,atti spesso alimentati da “odio razziale”.Delle assolute carogne che hanno abusato del loro potere e delle loro divise.Per quegli agenti quella povera gente portata in Questura era solo carne da macello che prima,però,era da offrire al ludibrio degli altri lestofanti loro colleghi.Come quando obbligavano un povero cristo,un clohard,un povero senza tetto a urinare in un angolo e poi a farsi straccio per asciugare con la sua pelle e i suoi vestiti la propria urina.Tutti soprusi e vessazioni contro i più fragili,affetti da dipendenze,come alcool o stupefacentie o stranieri senza permesso per colpa delle leggi del trio Meloni-Salvini-Piantedosi.

Nella Questura di Verona si torturava.Ma evidentemente parecchi erano anche affetti da malattia del sonno o da sordomutismo.Perché in tutti questi mesi,ad esempio,di nulla si accorgevano di quello che stava succedendo il questore  o tutti gli altri colleghi dei carnefici di Verona.

Ora sarà un giudice che accerterà i fatti e le responsabilità.Perché,grazie a Dio,siamo ancora in uno Stato di diritto.Ma uno Stato di diritto doveva far rispettare anche i diritti di quei poveri cristi e così,invece,non é stato.E non basta affidarsi alla solita retorica che é colpa solo di alcune “mele marce” che infangano le migliaia di agenti che servono il Paese con lealtà.

In realtà il tema che questa vicenda pone è di natura politico-culturale.Certo,in Italia non c'é alcun allarme democratico da parte delle forze dell’ordine;é però altrettanto vero che in Italia c'é un rapporto stretto tra una cultura autoritaria,xenofoba,refrattaria ai diritti,che percorre il Paese e gli uomini(e le donne)chiamati a difendere l’autorevolezzza e l'integrità delle istituzioni e dell'ordinamento democratico.Un esempio ?.In questi giorni la destra di governo sta per approvare una legge che abolisce il reato di tortura,e questo nonostante che da quasi 40 anni l'ONU abbia adottato la Convenzione internazionale contro la tortura e abbia indetto per il 26 giugno di ogni anno la Giornata internazionale per le vittime della tortura.E questo nonostante che l'art. 13 della nostra Costituzione stabilisca:"E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà".Ed invece questo governo oscurantista e repressivo,guidato dal duo Meloni-Salvini,dopo aver criminalizzato i rave parties  e qualificato per legge la gestazione per altri come crimine  universale,adesso vuole abolire il reato di tortura,in nome di una concezione etica del diritto penale.

E pensare che anche Papa Francesco ha chiesto che la comunità internazionale si impegni nell'abolizione della tortura."Come é possibile-si chiede Bergoglio-che la capacità di crudeltà dell'uomo sia così grande?".Perché,egli aggiunge,la tortura "non é storia di ieri,ma anche di oggi".Queste cose Papa Francesco le aveva dette già anni fa,in un discorso del 2014 alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale,quando sottolineò che “questi abusi si potranno fermare unicamente con il riconoscere il principio del primato pro homine,vale a dire della dignità della persona umana sopra ogni cosa”. 

E dunque i fatti di Verona segnalano la necessità di una cultura della legalità,da parte delle forze dell'ordine,volta a mantenere il rispetto dei diritti di ogni individuo,anche se e soprattutto se questi sia in stato di limitazione della propria libertà,con tolleranza zero contro ogni forma di abuso di autorità.Ma occorre anche che anche le forze politiche che oggi governano il Paese abbiano il senso di una sacralità per i principi dello stato di diritto e per i valori e i principi della Costituzione smettendo finalmente di adoperare scomposte parole d’ordine identitarie,talvolta oscene,che denotano piuttosto una forma di cultura autoritaria e intollerante.Altrimenti al prossimo episodio come quello di Verona non si potrà certo dire che é stata solo colpa di qualche "mela marcia":si dovrà dire che é stato lo Stato a violare la legge.

03 giugno 2023

QUEL LIBERALE SANNITA




Il 3 giugno moriva un liberale nato in terra di Sannio e che il Sannio tanto profondamente amò.Moriva Raffaele De Caro.In un tempo di politica ululata,in un'epoca senza idee,valori e passioni,forse il nome di De Caro ai più non dirà molto.E forse De Caro non sarà presente nel Pantheon delle immense intellettualità liberali italiane,come Gobetti o Einaudi o Croce.Ma Raffaele De Caro rimane comunque uno dei massimi portavoce del pensiero liberale.Non a caso fu proprio Benedetto Croce a manifestare una grandissima considerazione verso quel liberale sannita,esprimendo per lui alte parole di ammirazione e riguardo:

"Ho chiesto che(....)si assegnasse al De Caro,autorevolissimo capo nell’Italia meridionale del partito liberale-democratico(poi fuso col nostro)un alto commissariato;e abbiamo domandato ai presenti se alcuno faceva obiezioni alla persona,e nessuna obiezione si è fatta e nessuna poteva farsi,perché il De Caro è stato fermissimo antifascista nei ventidue anni passati e compagno fino all’ultimo di Giovanni Amendola”.

Del resto per tutti i liberali italiani e ancor più per noi liberali sanniti,Raffaele De Caro é figura fondamentale e di imprescindibile riferimento morale e politico.
De Caro morì il 3 giugno 1961 a Torino,in quella che idealmente può essere considerata la "capitale" storica e politica di un liberale italiano.Era andato a Torino per partecipare alle celebrazioni del centenario della morte di Camillo Benso di Cavour.De Caro,che allora del Partito Liberale era presidente,succedendo proprio a Benedetto Croce,non doveva mancare,soprattutto non voleva mancare a quell'appuntamento che sentiva essere come il senso della sua vita liberale,anche se già da un pò le sue condizioni di salute non erano più ottimali.

Le letture su De Caro ma soprattutto il racconto e gli aneddoti che di lui ce ne hanno lasciati i nostri familiari che con lui militarono nel PLI,restituiscono di lui una figura di assoluta integrità morale,di alto senso dei doveri civici e grande umanità.

De Caro nacque a Benevento nel 1883,fu bersagliere nella Grande Guerra(custodiva gelosamente il suo cappello a piume)fu poi avvocato,deputato costituente e più volte ministro.
Ma forse,al di là delle pur autorevolissime cariche ricoperte,si comprende lo spessore morale di De Caro se si confronta il suo livello etico e il suo modo di fare e pensare la politica,con tutto il sistema di pratiche di potere degli ultimi 30 anni,con la morte delle ideologie e la scomparsa di ogni senso dello Stato.
Ed invece proprio nelle istituzioni,beneventane prima(fu consigliere provinciale)nazionali poi,De Caro dimostrò la sacralità che per lui avevano le regole dello Stato di diritto,mostrando la "bellezza" della lotta politica,fatta di valori e ideali ed anche di immensa umanità.

"Don Raffaele",come la gente era abituata semplicemente a chiamarlo,era sposato ma senza figli,eppure di "figli" ne aveva tanti,perché aveva saputo costruirsi una grande famiglia tramite l’affetto e la stima dei tantissimi conoscenti ed elettori di tutta la provincia.Perchè lui partecipava a tutti i momenti,belli e brutti;era di casa in tutte le case;di tutti si interessava,a tutti faceva sentire la sua vicinanza e ognuno,perciò,lo vedeva come uno di loro,il naturale punto di riferimento al quale ricorrere per ogni difficoltà,al quale richiedere un “favore”,che nulla ha a che vedere,però,con le odierne pratiche clientelari che umiliano la dignità e libertà individuale.Era piuttosto un "aiuto",che lui dava anche direttamente ed in prima persona,derivante da quella capacità di "comprendere",di "sentire" le difficoltà e i bisogni della gente(e di bisogni ce n'erano tanti in quei tempi,nelle terre del Sud).Questo,anzi,dovrebbe essere ancor'oggi il naturale modo di fare politica davvero nell'interesse della gente,laddove,invece,accade che gli "interessamenti" dei politici sono fatti con l’elargizione di piaceri a carico delle casse dello Stato e solo per costituirsi una salda cerchia di "clientes" per successivi ritorni elettorali.

E' anche per questo che Raffaele De Caro si fa ricordare:per il complesso di valori,di ideali e principi che in lui si personificavano.Impossibile trovar paragone con i politici d’oggi,considerato lo squallido grigiore degli uomini e la desertificazione ideale  che sostanzia lo scenario politico italiano.E se anche oggi invece che "pigmei",ci fossero uomini prima ancora che politici capaci di guardare la luna al di là del proprio dito,dovrebbero avere in De Caro l'esempio di un vero servitore dello Stato,di quello Stato che per quel liberale sannita veniva prima e innanzi a tutto.

Oggi l'impegno civico é ridotto a ottusa partigianeria,a tifoseria calcistica di Tizio contro Caio,dove gli stessi uomini politici,anziché stimolare la formazione e la crescita di una coscienza civile e culturale,"aizzano" le masse a una feroce lotta non contro un avversario,ma contro un nemico da abbattere.

Raffaele De Caro,invece,non ebbe avversari ma antagonisti di idee,come del resto allora era normale per tutti gli uomini di partito,in quel diverso e migliore modo di far politica.

Oggi "Don Raffaele",con i suoi principi morali,si sentirebbe non solo a disagio,ma disgustato nel constatare come,a 60 anni dalla sua morte,il livello della politica sia scaduto nel marciume della corruzione e della malapolitica.
A volte mi piace pensare che forse chissà,"Don Raffaele" aveva avuto il presentimento dei tempi nuovi che stavano arrivando.Tempi nuovi fatti di giochi di potere e interessi opachi da tutelare,del tutto incompatibili con i suoi principi e le sue idee,decidendo perciò di andarsene proprio a Torino,proprio in un'assemblea del suo amato PLI,proprio nel giorno del ricordo di un grande liberale,come Camillo Benso di Cavour.

Per ogni liberale,ed in ispecie per ogni liberale sannita,valgano le sue parole,scritte nel suo testamento spirituale scrito 3 anni prima di morire:

 “Morrò nella fede democratica nella quale sono nato,orgoglioso di aver servito fedelmente il mio Paese in campo nazionale,provinciale e nella mia città.Lascio ai miei elettori(....)la bandiera del Partito Liberale Italiano nel quale ho militato con inalterata fede per tutta la mia vita(....).Anelante alla pace, auguro alla mia Patria e alla mia Benevento ogni progresso nella democrazia e nella libertà”.