27 dicembre 2020
AUGURI ROBERTO
24 dicembre 2020
LA SPERANZA DELLA NATIVITA'
Dici Natale e pensi all'albero,alle luci,al panettone,al presepe così come lo pensò San Francesco.E vedi e pensi,in una società consumistica come questa,ai regali e ai pacchi che,nonostante tutto,nonostante la diversità di quest'anno che è stato,pure si corre a comprare,perchè,in fondo,con il pensiero di "fare" regali a qualcuno,si vuol scacciare l'angoscia di non avere qualcuno,amici o amori,cui fare regali.Ma Natale rimane comunque quel tempo dell'anno in cui si pensa(ci si illude?)che sì,ancora qualcosa può cambiare,che pure si riuscirà a nascere di nuovo,e mondi nuovi e nuove vite si riusciranno a vivere,soprattutto stavolta,soprattutto dopo che quest'anno così profondamente ci ha segnati.Nel corso dei secoli questi sentimenti,questi stati profondi dell'animo in questo tempo del Natale,non potevano non raccogliere le sensibilità e la capacità creativa di centinaia di artisti di tutto il mondo.E sono le "Natività" il centro delle opere di tutti questi artisti.
Giotto ha rappresentato la Natività di Gesù,sulla parete dell’incantevole Cappella degli Scrovegni a Padova.L’opera fa parte delle Storie di Gesù del registro centrale superiore e commuove per la sua delicata semplicità.Maria è distesa su un declivio roccioso,e adagia Gesù nella mangiatoia con delicatezza materna,mentre Giuseppe sta accovacciato,nell’atto di dormire perché,in conformità alla cultura della Chiesa cattolica dell'epoca,è l’uomo che riceve in sogno i comandi di Dio,per evitare che il popolo possa giungere a conclusioni inappropriate, ossia che sia lui il vero padre del Salvatore.E,preoccupati di non suscitare questa errata credenza,lo si rappresenta anche come un anziano,incapace,perciò,di generare e,in molti dipinti,viene raffigurato anche fisicamente distante da Maria:fra i due non vi è alcun contatto fisico.
14 dicembre 2020
LA PIU' DURA DELLE CONDANNE
09 dicembre 2020
PICCOLO MONDO ANTICO
"Passacaglia" di George Fridric Haendel
- François Couperin SARABANDA dal IV concerto dei Concerts
Pietro Domenico Paradisi TOCCATA da "Le sonate di gravicembalo"
30 novembre 2020
LA NOTTE DELLA DEMOCRAZIA
23 novembre 2020
QUEL GIORNO, 40 ANNI FA
Per noi,gente dell'Irpinia e del Sannio,sono questi i giorni di un ricordo.40 anni fa,il 23 novembre 1980,ci fu il terremoto dell'Irpinia.Era una domenica il 23 novembre di 40 anni fa.Rai Due trasmetteva il secondo tempo in differita della partita Juve-Inter,e nell’altra stanza le donne preparavano la cena,in attesa che tornassero i figli e i mariti,usciti per andare a Messa o al bar o al circolo a celebrare il "rito" dell'aggregazione domenicale,secondo gli accordi della mattinata("ci vediamo stasera al bar")E al bar o al circolo ci si vedeva per chiacchierare e fumare o per la partita a "tresette".I soliti discorsi.I giovani,la politica,le donne,le stagioni che non sono quelle di una volta e il lavoro da fare domani nei campi.Poi,improvviso,tremendo,spaventoso,alle 19,34 un boato sordo e profondo squarcia la quiete della sera.La terra trema,la casa sobbalza e poi oscilla.90 secondi che sembrano non finire più.Un minuto e mezzo di terrore.La paura che ti taglia le gambe.Il movimento che ti trascina insieme al resto della casa,insieme al divano sul quale sei seduto.Buio.La luce che se ne va.Urla e grida.Preghiere ai Santi e alla Madonna,rumore di assi che scricchiolano,di mura che si squarciano,di tetti che cedono,di fondamenta che si aprono,di qualcosa che crolla in strada.L’odore di zolfo,di gas.Il senso di impotenza assoluta.Poi,così come è iniziato,tutto si ferma.90 secondi,una vita.E giù di corsa tutti insieme in strada,nel buio della notte,quella notte ancora più buia.Ed è tutto un vocio,un pianto,un trambusto,grida di gente che cerca gente.Gente smarrita,angosciata,terrorizzata.Ma dov'eravamo dopo quei 90 secondi?Non si riconoscevano più i luoghi,le strade,le case,i posti della nostra normale vita di "prima".Niente luce,niente telefono.Strade bloccate.Nessuna possibilità di chiedere e ricevere soccorsi.Poi cominciano ad uscire le prime voci che chiedevano aiuto da sotto le macerie.Ma le altre scosse che seguivano obbligavano a smettere di scavare con le mani.E continuavano,strazianti e disperati,i pianti e le grida e le voci di là sotto.Per giorni si sentirono quelle voci.Sempre più flebili,poi nulla più.Le mani nude e i pochi attrezzi non riuscivano a superare il groviglio di assi,di legna,di travi di ferro contorti,di pietre e mattoni di tufo.Solo 5 giorni dopo quella scossa assassina cominciarono a vedersi le prime camionette degli alpini e i volontari partiti da tutte le parti d'Italia,che si inerpicavano su masse di detriti e macerie per arrivare a Teora e Balvano,a Laviano e Lioni e Sant'Angelo dei Lombardi,tutti paesi sconosciuti fino allora,fors'anche alle carte geografiche.E così,senza saperlo,alle 19,34 di quel 23 novembre un mondo finiva.Luoghi,storie,persone e parole scomparivano per sempre.I morti furono 2914.Novemila i feriti.Trecentomila i senzatetto.All'inizio,di fronte a tutto quel dolore,ci fu un'ondata di solidarietà sincera e generosa.In tanti accorsero in Irpinia.Arrivò l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini,che volle andare tra quelle macerie nonostante i suoi 84 anni.E arrivò anche Giovanni Paolo II e Lech Walesa,il capo di Solidarnosc,e Claudio Abbado e Nanni Moretti.Scrissero sull'Irpinia Alberto Moravia e Leonardo Sciascia.Pure Andy Warhol si unì al grido di quella gente con la gigantografia della prima pagina del "Mattino":"Fate presto".E i giornalisti Giovanni Russo e Corrado Stajano pubblicarono un libro:"Terremoto".Dopo,invece,arrivarono i finanziamenti per la ricostruzione:60.000 miliardi,praticamente più di 2 manovre finanziarie.E su quei soldi arrivò la camorra in combutta con la malapolitica per mettere le mani su lavori,appalti,progetti.Una provvidenziale manna per affaristi senza scrupoli,camorristi,politici corrotti,imprenditori.Un'infame e cinica strategia sulla pelle di chi aveva perso tutto:accordi tra i politici che distribuiscono gli appalti con gli imprenditori che vengono a lavorare,che pagano la "tangente" e assumano la gente giusta e cedano i subappalti.L'accordo con la camorra per pagare il pizzo;l'accordo,per la camorra,significa intimidire,minacciare,incendiare cantieri,mettere bombe.Oggi,a distanza di 40 anni,molti vorrebbero rimuovere quelle macerie,archiviare la memoria di quel giorno.Sarebbe un tragico errore, oltre che un insulto a chi è rimasto sepolto sotto quelle macerie.Nello scandalo del dopo terremoto,infatti,affondano le radici profonde di quella delle nuove “ecomafie”.Parte proprio da quel disegno criminale progettato e sperimentato sulle macerie del sisma,quel sistema economico-criminale che porterà fino ai nostri giorni allo sfruttamento sistematico e illegale del territorio e delle risorse ambientali della Campania e dell'intero Paese.In quegli accordi si salda quel patto scellerato tra politici e amministratori locali,imprese e boss camorristici che trasmetterà il virus dell’illegalità allo Stato,all’economia.Dopo 40 anni non dobbiamo perdere la memoria,le immagini di quei posti e di quella gente,le straordinarie prove di generosità,la solidarietà concreta, l'impegno di decine di migliaia di volontari.Una lezione ci lascia "quel" giorno.L'ambiente è una risorsa strategica dell’Italia,che non va lasciata impunemente in mano a chi la saccheggia,per trarne profitto. Approfittando persino di un’immane tragedia,come quella del 23 novembre 1980.
19 novembre 2020
DIVIETO DI CULTURA
13 novembre 2020
UN CAFFE' AL GAMBRINUS
Ci sono posti nei quali si riassume il significato di un tempo,la memoria e la cultura di un popolo.Uno di questi posti,ad esempio,è il "Gambrinus",il "Caffè" di Napoli famoso in tutto il mondo.Inizialmente chiamato “Gran Caffè”,fu poi ribattezzato “Gran Caffè Gambrinus”.Esso fu fondato nel 1860 dall'imprenditore napoletano Vincenzo Apuzzo.Nel 1890 i locali furono rinnovati dall'architetto Antonio Curri(celebre per aver realizzato la Galleria Umberto,nel cuore di Napoli)che creò un gioiello di arte Liberty con specchi,divani rossi e oltre 40 dipinti di artisti della scuola di Posillipo.Il Gambrinus è nel "salotto" della città,tra Piazza Plebiscito,il Teatro San Carlo e Castel dell'Ovo.Durante la Belle Epoque il Gambrinus ospitò le più grandi menti del periodo:letterati,artisti,musicisti.e anche dopo,nel corso dei suoi 160 anni,il Gambrinus ha rappresentato il cuore della vita mondana,culturale e letteraria della città:re e regine,politici, giornalisti,letterati e artisti di fama internazionale lo hanno eletto a luogo di incontro dove discutere di filosofia,politica,letteratura.In quel Caffè Letterario amava venire Benedetto Croce e più volte è stato ospite Oscar Wilde con il suo amante,nel loro periodo napoletano.Lì si decideva molto del futuro del Regno e della vita politica cittadina.Qui passava lungo tempo Gabriele D'Annunzio che ne amava i fasti e l'aria lussuosa.Agli stessi tavolini la scrittrice e giornalista Matilde Serao e il poeta Eduardo Scarfoglio progettarono "Il Mattino",ancor oggi il più diffuso quotidiano meridionale.Le stesse sale furono frequentate da Filippo Tommaso Marinetti,Hemingway,Sartre,Woody Allen,Totò,i fratelli De Filippo.Tanti uomini politici e cariche istituzionali italiane e straniere vi passarono:i Presidenti della Repubblica,Cossiga,Ciampi,Napolitano e Mattarella,la signora Merkel e da ultimo perfino Papa Francesco.Ma il Gambrinus è anche la memoria di tante tragedie di Napoli.La memoria delle bombe durante la seconda guerra mondiale e delle 4 giornate del settembre '43,le giornate dell'insurrezione contro i nazisti.La memoria dell’eruzione del Vesuvio del 1944,richiamata anche da Curzio Malaparte,nel suo libro "La pelle",nel quale lo scrittore racconta anche la fame del popolo napoletano subito dopo la guerra:il contrabbando,gli "sciuscià",i ragazzini lustrascarpe e le ragazzine "vendute" agli americani per qualche Am-lire per campare.E c'è la memoria del terremoto dell'Irpinia del 1980:2 minuti di distruzione che lasciarono un senso di precarietà per decenni.Di tutte queste memorie i napoletani hanno parlato e conversato e discusso,davanti a un caffè,al "Gambrinus".Per questo non è un caffè come gli altri,il Gambrinus.Per questo la notizia della sua chiusura a seguito delle difficoltà economiche causate dal covid e l’idea stessa di quella serranda abbassata,l’assenza dei tavolini in piazza non passano senza lasciare smarrimento in un popolo già smarrito.Per carità,questo triste destino è condiviso da centinaia di aziende,e non c’è provvidenza o ristoro che possa risolvere una crisi che minaccia di essere esiziale per un intero mondo commerciale.E tuttavia, esistono i simboli.Quelli che rappresentano un po’ tutto il resto,quelli che racchiudono in sé significati molto maggiori di quelli materiali.Il Gambrinus significa capacità di guardare oltre.Di pensare che la vita riprenderà,come dopo la guerra e il terremoto,quando il Gambrinus non chiuse.E invece questo virus,sterminatore di uomini e umanità,è riuscito dove non riuscirono le grandi catastrofi.È questo il motivo per cui,a leggere questa notizia in mezzo alle altre che raccontano le così grandi tragedie di questo tempo,all'angoscia generale si aggiunge altra angoscia,sapendo quello che nel Gambrinus è stato.