27 dicembre 2020

AUGURI ROBERTO

 








Avevo circa 9-10 anni quando la Juve mi "prese",come ancora oggi mi prende.A differenza di tante altre Juventus di tante altre epoche,non era una grande Juve quella Juve della fine degli anni '60.Un periodo grigio,senza vittorie,a differenza dell'Inter di Helenio Herrera e del Milan di Nereo Rocco,che in quegli anni dominavano la scena calcistica italiana ed internazionale.Eppure io "scelsi" la Juve,quella Juve non vincente,della quale ricordo ancora i nomi dei giocatori.Da Anzolin a Leoncini,da Favalli a Del Sol e Menichelli.Fu per questo che la famiglia Agnelli,che della Juve era proprietaria,decise di cambiare,di creare una nuova Juve tutta al futuro,chiamando sotto la Mole molti giovani calciatori da tutta Italia come Causio,Capello e Anastasi o lanciando ragazzi della propria squadra "Primavera",come Furino e Bettega.Roberto Bettega,appunto.Torinese purosangue,figlio di un operaio della Fiat,proprio in questi giorni ha compiuto 70 anni.Roberto Bettega o "Bobby-gol",come presto sarebbe stato chiamato dai tifosi per quel suo "vizio" di segnare spesso e volentieri.Indossava la maglia numero 11,secondo la numerazione classica,in tempi dove si "recitava" il calcio come poesia,un calcio meno ricco ma più vero e che faceva sentire gli idoli della domenica vicini alla gente comune.Bettega,in quel calcio,recitò,per noi juventini,una gran bella poesia calcistica.Lo fece segnando 178 reti,terzo marcatore di ogni tempo nella storia della Juve,dopo Del Piero e Boniperti,contribuendo alla "causa" bianconera  prima sul campo e poi da dirigente.Entrò nelle squadre giovanili della Juve a 11 anni e nella Juve rimase fino alla fine della carriera in Italia("non potrei giocare in nessuna altra squadra in Italia",disse una volta)con quella "11" bianca e nera sempre addosso,come tatuata sulla pelle.Alla Juve presto si accorsero che era bravo quel Robertino lì.Così lo mandarono in "prestito" al Varese,per "farsi le ossa",come si diceva allora.Al Varese trovò come allenatore,quel gran signore nordeuropeo,lo svedese Nils Liedholm,che,insomma,"qualcosa" di importante pure ha lasciato nel calcio italiano,quand'era calciatore del Milan.Bettega,grazie anche a lui,presto s'affermò con tanti gol.Gol con il marchio di fabbrica:di testa,tuffandosi col coraggio dell’incoscienza,e di piede,soprattutto quell o destro,dando alla sfera traiettorie uniche.E allora non tardarono a richiamarlo a "casa",alla Juve,dove intanto erano arrivati uomini nuovi con idee nuove.Come Giampiero Boniperti,tornato anche lui alla Juve come Presidente,dopo essere stato grande giocatore della Juve.E c'era Italo Allodi come direttore generale,con il giovane Armando Picchi come allenatore,che nell'altra vita da calciatore era stato capitano e bandiera dell'Inter.Fu l’inizio di una rivoluzione tecnica che non si arresta neanche quando un destino maledetto si accanisce contro l’ex campione livornese.Picchi se ne va da questo mondo,trascinato via ad appena 36 anni da un male incurabile,e al suo posto arrivò Cestmír Vycpálek,per continuare il viaggio.È la stagione 1970-71;c'era già,in bozza,una Juventus da grande ciclo.Erano appunto arrivati giovani talenti prossimi a farsi gruppo vincente:giovani come Capello,Causio, Spinosi,e “grandi vecchi” come Salvadore e Haller,dispensatori d’esperienza.E c’è lui,il giovane Bettega.Debuttò con gol-vittoria alla prima di campionato,a Catania.Alla fine furono 13 le reti al primo anno di Serie A,dietro gente del calibro di Boninsegna,Prati e Savoldi.L'anno dopo la Juve infilano una serie d’oro,e lui suggella quella stagione con quel gol di tacco a San Siro contro il Milan di Nereo Rocco,un gol che per sempre rimarrà nella memoria di noi ragazzi e tifosi di allora.E proprio Rocco lo elogiò,dicendo che addirittura era più forte di John Charles,il centravanti gallese che era stato compagno di squadra con Boniperti e Sivori.I nostri cuori bianconeri impazzivano di gioia dopo quel gol:sembrava la consacrazione,ma un pomeriggio di pioggia e gelo,dopo la vittoria e una sua rete alla Fiorentina,la vita di Roberto cambia all’improvviso.Gli piomba addosso una tosse fastidiosa,insistente.Entra in clinica il 1° gennaio del 1972,brutto modo di iniziare l’anno.La diagnosi è impietosa:affezione infiammatoria all’apparato respiratorio.È pleurite,per capirci:stagione finita.Tristezza infinita,anche se quell'anno,la Juve poi vince lo scudetto.Bettega torna dopo 8 mesi,che per un ragazzo di 20 anni e ancor più per un atleta,sono tanti,tantissimi,lunghi a passare.Torna l'anno appresso a Bologna,accolto dagli applausi.Ha vinto una partita difficile,uscendone più forte dentro.Lo dimostra in campo,trascinando,con i suoi gol,la Juve al secondo scudetto consecutivo.Diventa,per noi ragazzi juventini di allora,una bandiera,anche per quel suo carattere schivo,per la discrezione e la finezza dei modi e dei comportamenti,dentro e fuori del campo.Intanto le Juve cambiano e cambiano i compagni di "viaggio" e di reparto,ma lui c'è sempre.Dopo Anastasi e Haller,dopo l’Altafini part-time di fine carriera,ecco Roberto “Bonimba” Boninsegna.La Juve si muove,si evolve,intorno al figlio del carrozziere della Fiat,diventato idolo della curva.E lui,tatticamente versatile,sapeva adattarsi a ogni situazione e a qualsiasi compagno di viaggio.Del resto a lui,oltre che fare i gol,piaceva giocare,in ogni parte del campo.Con la maglia bianconera Bettega si ebbe tante soddisfazioni.Nel 1977 la Juve rivince il campionato con un giovane allenatore,voluto da Boniperti:Giovanni Trapattoni.Ed è anche una Juve finalmente europea,che vince il suo primo trofeo internazionale,la Coppa Uefa,battendo in finale,l’Athletic Bilbao,con una rete decisiva,manco a dirlo,di Roberto Bettega.Arrivò poi anche la Nazionale.Lo chiamò prima Fulvio Bernardini e poi Enzo Bearzot,che del Bettega azzurro fu il vero mentore.Ai Mondiali del '78 in Argentina,Bettega disputa l’unico Mondiale della sua carriera:brillante dal punto di vista del gioco.La squadra gira intorno a lui,sembra costruita apposta per lui.È bella e sfortunata.Bettega ebbe tante soddisfazioni,ma anche tante amarezze e rimpianti.Vinse la Coppa Uefa 1977,sette scudetti,1 Coppa Italia.Ma ci fu la finale di Coppa dei Campioni del 1983 persa contro l’Amburgo ad Atene,forse il suo più grande rimpianto assieme a quel grave infortunio ai legamenti  riportato in Coppa dei Campioni che gli negò un posto al Mondiale del 1982 con la maglia azzurra,proprio l'anno della vittoria dell'Italia del Campionato del Mondo in Spagna.Alla fine Roberto Bettega consegna la sua maglia alla storia bianconera,e a quella storia e a tutti noi tifosi si consegna.Questione di numeri,di grandi numeri:in 13 anni,quella maglia l’ha indossata in 481 occasioni ufficiali,trovando la strada della rete in 178 occasioni.Da 70 anni vive con la maglia bianconera stampata addosso come una seconda pelle,indelebile,o come un tatuaggio,questo sì,altro che i tatuaggi obbrobriosi di ragazzotti mercenari,che vanno in giro con tanto di procuratori.E' per questo che non abbiamo dimenticato Roberto Bettega.E adesso che di anni ne fai 70 ti ringraziamo e ti facciamo gli auguri,Roberto.

24 dicembre 2020

LA SPERANZA DELLA NATIVITA'


Dici Natale e pensi all'albero,alle luci,al panettone,al presepe così come lo pensò San Francesco.E vedi e pensi,in una società consumistica come questa,ai regali e ai pacchi che,nonostante tutto,nonostante la diversità di quest'anno che è stato,pure si corre a comprare,perchè,in fondo,con il pensiero di "fare" regali a qualcuno,si vuol scacciare l'angoscia di non avere qualcuno,amici o amori,cui fare regali.Ma Natale rimane comunque quel tempo dell'anno in cui si pensa(ci si illude?)che sì,ancora qualcosa può cambiare,che pure si riuscirà a nascere di nuovo,e mondi nuovi e nuove vite si riusciranno a vivere,soprattutto stavolta,soprattutto dopo che quest'anno così profondamente ci ha segnati.Nel corso dei secoli questi sentimenti,questi stati profondi dell'animo in questo tempo del Natale,non potevano non raccogliere le sensibilità e la capacità creativa di centinaia di artisti di tutto il mondo.E sono le "Natività" il centro delle opere di tutti questi artisti.

Giotto ha rappresentato la Natività di Gesù,sulla parete dell’incantevole Cappella degli Scrovegni a Padova.L’opera fa parte delle Storie di Gesù del registro centrale superiore e commuove per la sua delicata semplicità.Maria è distesa su un declivio roccioso,e adagia Gesù nella mangiatoia con delicatezza materna,mentre Giuseppe sta accovacciato,nell’atto di dormire perché,in conformità alla cultura della Chiesa cattolica dell'epoca,è l’uomo che riceve in sogno i comandi di Dio,per evitare che il popolo possa giungere a conclusioni inappropriate, ossia che sia lui il vero padre del Salvatore.E,preoccupati di non suscitare questa errata credenza,lo si rappresenta anche come un anziano,incapace,perciò,di generare e,in molti dipinti,viene raffigurato anche fisicamente distante da Maria:fra i due non vi è alcun contatto fisico.


Lorenzo Lotto,ebbe con Raffaello un legame artistico nella decorazione delle Stanze Vaticane(poi dette Stanze di Raffaello,in onore del grande artista,nelle quali,tra le altre meraviglie,è soprattutto da ammirare La Scuola di Atene ).Il Lotto dipinge nel 1523 una piccola tavola raffigurante la Natività,conservata alla National Gallery di Washington.Un’immagine classica,che,per la prima volta,al contrario del dipinto di Giotto,mostra Giuseppe non in disparte,né assonnato,ma realmente emozionato dal suo essere padre.



Caravaggio, sempre in fuga dal mondo nella sua tormentata esistenza,dipinse una natività che,al suo tempo,diventò un mito.Si tratta dell’opera "Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi".Trafugata,non è mai stata ritrovata,ma se ne ha questa copia



Domenico il "Ghirlandaio" dipinse,invece l'"Adorazione dei pastori"(è da notare che il primo pastore vicino al Bambino,con il capo rivolto all'indietro)è l'autoritratto dell'artista fiorentino.



Pure Andrea Mantegna  dipinse una "Adorazione dei pastori".Anche qui,come in Giotto,Giuseppe è rappresentato dormiente.

Giorgio(o Zorzi)da Castelfranco,detto Giorgione,dipinse l' "Adorazione dei pastori o "Adorazione Beaumont",o "Allendale" perchè il dipinto dapprima passò nella collezione di Sir George Beaumont,a Londra,poi nella raccolta del visconte Allendale(dal quale prese il titolo).L’adorazione dei pastori,è un dipinto autografo del Giorgione,custodito nella National Gallery di Washington


Anche Rubens espresse la sua arte in una "Adorazione dei pastori".I chiaroscuri e la forte luce concentrati sul Bambinello,sono un omaggio a Caravaggio che il pittore belga aveva avuto modo di conoscere artisticamente a Roma nei suoi dieci anni di studio in Italia.



Botticelli nella sua "Natività Mistica",esposto alla "National Gallery" di Londra,forse l’opera più devozionale di Botticelli,in quanto la scena è pervasa da un senso d’inquietudine,quell'inquietudine che lo stesso artista fiorentino visse a seguito della morte del Savonarola.Al centro della scena,Maria e Giuseppe,sono in adorazione del Bambino, protetti da una tettoia di paglia, retta da tronchi.



Nel Novecento fu Marc Chagall a dipingere un'altra "Natività".Essa fu realizzata agli inizi del secolo scorso dall'arista bielorusso.È a Parigi che Chagall scopre il repertorio di immagini cristiane,che vedeva in gran copia nei musei e nelle chiese.Da qui anche questo dipinto.




Molto particolare è il dipinto di Paul Gauguin "Te tamari no atua"(Nascita di Cristo figlio di Dio)dipinto dopo il suo definitivo trasferimento a Tahiti.Maria è ritratta appena dopo il parto,sdraiata su un letto giallo con lo sguardo rivolto a una donna che sembra una balia che tiene in braccio il Bambin Gesù.In lontananza si vede il bue,ma senza l'asinello.



A ben vedere nel Novecento non sono stati molti i pittori che hanno dipinto temi sulla "Natività".In questo secolo l'attenzione degli artisti sembra spostata su altre iconografie cristiane,e l'evento della nascita del figlio di Dio è stato offuscato da immagini legate all'episodio conclusivo della vita terrena del Figlio di Dio,cioè la Passione e la Crocifissione di Gesù.Il tema della Natività,che aveva visto i suoi momenti più alti nel Medioevo e nel Rinascimento,è accantonato,probabilmente perché é proprio questo il tempo nel quale l'Uomo più ferocemente vive il sentimento del Dolore e dell'angoscia esistenziale.Perchè è proprio il  Novecento il secolo delle più grandi tragedie dell'Umanità.Le due Guerre Mondiali e poi la Shoah,e poi Hiroshima e Nagasaki,e poi il Ruanda e poi la "pulizia" etnica di Sarajevo.Una specie di "globalizzazione del Dolore".E' allora il sentimento della Morte e non quello della Nascita che più l'Uomo vive.Il Calvario,piuttosto che Betlemme.



14 dicembre 2020

LA PIU' DURA DELLE CONDANNE



In principio era la DAD (Didattica a Distanza)ora è la DID (Didattica Integrata Digitale).Ma in realtà non è cambiato niente.E’ sempre lei,la scuola fatta allo schermo di un computer.E’ sempre lei,la DAD,la videolezione:quella che i ragazzi fanno seduti davanti al computer nella loro cameretta(quando questo è possibile,perchè se la casa è di 50 metri quadri e hai un solo computer che serve anche a papà e mamma che sono a casa in smart-working che didattica puoi fare?).D'accordo,siamo difronte a un virus che ci causa angoscia e incertezza di vita e che non accenna a diminuire.Ma di tutto quello che era doveroso fare alla fine del primo lockdown,cosa ha fatto questo governo per le scuole?Che si è fatto,nel settore trasporti,per il tragitto casa-scuola dei ragazzi?E qualcuno si è preoccupato di organizzare orari differenziati di accesso in classe o ci si è preoccupati solo di quella tragicomica sceneggiata sui banchi a rotelle,come se il problema fosse il distanziamento all'interno della classe?Eppure,dopo un'estate piena di niente,e dopo tanti  sforzi sopportati da ragazzi e famiglie durante il lockdown,ecco che ci si ritrova daccapo,con il virus riesploso nuovamente.E la colpa,nella narrazione del governo,è dei ragazzi che hanno fatto "movida".E invece no.E' il governo che doveva fare e non ha fatto in previsione della seconda "ondata".Ma adesso è ancora peggio della prima ondata.Nell'ennesimo DPCM di novembre l'Italia è stata divisa in tre colori e con regole diverse a seconda del livello di allerta rilevato sul territorio. Tra le restrizioni la scuola è di nuovo la più colpita.Di nuovo DAD ad eccezione dei bambini dell’infanzia,delle elementari e della prima media.Certo,meglio la DAD che niente.Ma essa doveva essere breve e del tutto provvisoria.Come in Francia e Germania dove le scuole sono restate sempre aperte.Anche per gli insegnanti,davvero dediti al loro lavoro,la DAD è stata uno stress.Perchè poi tanti di quegli insegnanti sono anche madri o padri di famiglia.Così è facile immaginare l' "ordinaria" giornata di una mamma-insegnante:fare l’appello o interrogare dal computer,mentre il proprio figlio è alla scrivania in camera da letto e si barcamena tra codici di accesso che non trova,microfono da attivare,avvio di Meet e connessione scarsa.Quello che fa soffrire,ora,è proprio il veder dis-integrare tutti quei sacrifici di ragazzi e docenti fatti in attesa di riprendersi la loro vita di prima.Ma davvero non c’era altra soluzione che quella di chiudere di nuovo le scuole?Lo stesso Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità,Professor Brusaferro,aveva detto che la “didattica a distanza deve essere solo di breve periodo”.E i componenti del CTS,Professori Villani e Richeldi avevano preteso che,in una riunione del Comitato,si mettesse a verbale che esistono rischi psicologici per i ragazzi dai 12 ai 19 anni legati alla chiusura delle scuole e alla sua gestione.E lo vediamo.I nostri ragazzi stanno perdendo tempo,contatti,occasioni di vita.Perdono la bellezza di una relazione,anche con il "Prof."Perché è proprio il Prof. il medium di ogni apprendimento serio e duraturo.L’intelletto non funziona sospeso ad una connessione,quando pure questa c'è.Servono rapporti umani.Servono confini,luoghi e ritmi quotidiani.La DAD penalizza anche i bambini con difficoltà di apprendimento e quelli le cui famiglie sono in una situazione di svantaggio economico e culturale.E’ evidente che il bene della salute è prioritario a tutela della vita.Ma la vita nemmeno la si può annullare chiudendola o comprimendola,senza prima aver tentato una mediazione.E' come se ai ragazzi fosse stato imposto con Dpcm un Fenomeno hikikomori cioè un ritiro dalla vita sociale.E invece se il relazionamento è proprio degli esseri umani,figuriamoci che cosa esso debba rappresentare per i ragazzi.Perdere giorni di formazione provoca un danno economico nel lungo periodo e le diseguaglianze economiche e culturali tenderanno ad accentuarsi,con un ascensore sociale ancor più bloccato di quanto non lo sia già adesso.I ragazzi di oggi già stanno pagando le politiche sbagliate dei decenni scorsi sulla scuola.Una scuola ingessata in una asfissiante burocrazia,con assurdi criteri di formazione e assunzione del corpo insegnanti e la totale assenza di vera meritocrazia.Negli anni futuri questi ragazzi dovranno sopportare le conseguenze economiche di un pesante debito pubblico causato dalle sciagurate scelte delle classi politiche dell'ultimo cinquantennio.Se adesso togliamo loro anche il presente,non potremo più sfuggire al loro dito accusatorio.Che sarebbe la più dura delle condanne.

09 dicembre 2020

PICCOLO MONDO ANTICO




Della tv di quegli anni '60,degli anni nei quali ero ancora un ragazzino,mi restano sempre impresse le immagini di alcune trasmissioni.Le immagini di alcuni sceneggiati,per esempio,cioè di quelle opere letterarie adattate a rappresentazioni televisive a puntate.Le immagini della "Freccia nera",per esempio,tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson ,con la regia di Anton Giulio Majano e con due giovanissimi Loretta Goggi e Aldo Reggiani come attori protagonisti.E "I Promessi Sposi" con la regia di Sandro Bolchi e con lo scrittore Riccardo Bacchelli come sceneggiatore.E ancora "Il Mulino del Po" tratto dal romanzo proprio di Riccardo Bacchelli.E "La Cittadella" dal romanzo di Cronin,con un grande Alberto Lupo nei panni del dottor Manson.E poi "Giamburrasca",con Rita Pavone,o "Nero Wolfe" con un formidabile Tino Buazzelli sempre preso dalla cura delle sue orchidee.E ancora "Il Conte di Montecristo",dal romanzo di Alexandre Dumas padre.E,insieme agli sceneggiati,è "Carosello",ovviamente,che mi rimarrà per sempre nella memoria.Carosello rientrava nella logica di incentivare la propensione ai consumi,in un'Italia ancora in piena ubriacatura di boom economico(anche se già allora cominciavano ad emergere voci di contestazione verso il consumismo,come quelle di Pasolini e Bianciardi ne "La vita agra").Eppure quei 2 brevissimi minuti di cartoni animati e pupazzi(Calimero,Topo Gigio,l'Omino coi baffi,Capitan Trinchetto)riuscivano a dare un sorriso e qualche volta a far sognare noi bambini di allora.E c'erano in "Carosello" anche quelle piccole scenette,quei piccoli capolavori fatti da attori tra i più grandi.Più di 30.000 le scenette andate in onda negli anni,nelle quali comparvero tanti attori del teatro e del cinema,italiano e straniero.Solo per citare qualche nome Ubaldo Lay,Ernesto Calindri,Peppino De Filippo,Aldo Fabrizi, TotòUgo TognazziVittorio GassmanNino ManfrediRaffaella CarràGiorgio Albertazzi,Renzo ArboreGianni BoncompagniAbbe Lane .Ma,chissà come,chissà perchè,m'è tornato alla mente,tra i ricordi di quegli anni anche un altro piccolo pezzo di quella televisione,di quei programmi.Era "Intervallo",che veniva utilizzato in attesa che iniziasse il programma successivo o in presenza di problemi tecnici di trasmissione.Era un piccolo "giro d'Italia" che ci faceva "viaggiare" con il treno della fantasia dall'Etna alle Alpi,da Milano a Palermo,senza che su un treno nella realtà fossimo mai saliti.Apparivano sullo schermo le immagini in bianco e nero di scorci paesaggistici,di monumenti e delle città grandi e piccole d'Italia con il nome del luogo,del particolare o del monumento visualizzato.E quelle immagini erano accompagnate,come sottofondo musicale,da pezzi di musica classica,che pur apparendo ai più come un'unica composizione classica per arpa era invece formato dalla sapiente unione di estratti che erano:

"Passacaglia" di George Fridric Haendel


    • François Couperin SARABANDA dal IV concerto dei Concerts 

    Pietro Domenico Paradisi  TOCCATA da "Le sonate di gravicembalo"



Sì,era proprio un "piccolo mondo antico" quella "nostra" Tv degli anni '60,un mondo di piccoli,semplici sentimenti per noi ragazzi di quegli anni.Niente di chè,certo,ma era una tv di qualità,fatta della letteratura proposta negli sceneggiati,della lavagna del Maestro Manzi,con "Non è mai troppo tardi" che si proponeva una alfabetizzazione di massa,anche delle classi sociali ed economiche più svantaggiate,e fatta anche dai sorrisi delle scenette e dei pupazzi di "Carosello".Poi,più tardi,è arrivata un'altra tv,"questa" tv,la tv del "Grande Fratello" o dell' "Isola dei Famosi"...ma questa è un'altra storia,meglio lasciar perdere.Meglio restare con la memoria di quell'altra tv,la tv degli anni '60.

30 novembre 2020

LA NOTTE DELLA DEMOCRAZIA



In quest'ultimo,diverso,inaspettato anno ci siamo trovati difronte a nuove angosce e fragilità del fisico e dell'anima.Ci siamo trovati ad avere una pandemia come indesiderata compagna di vita,e,a causa sua,siamo stati costretti e ristretti in nuove solitudini materiali ed esistenziali.Se non altro,però,abbiamo trovato tempo,chiusi nelle nostre case,per tornare a leggere,a riscoprire opere letterarie di autori che altre epidemie hanno descritto e raccontato.Abbiamo letto il racconto della peste di Firenze,fatto da Boccaccio nel "Decamerone".O,quello,forse il più celebre di tutti,della peste a Milano del 1630,nelle pagine dei "Promessi Sposi" e della "Storia della Colonna infame" di Alessandro Manzoni.Abbiamo sfogliato l'opera di fantasia del premio Nobel Albert Camus "La peste",con i simbolici significati esistenziali che ad essa conferisce l'autore.Ed ancora abbiamo letto "Cecità" dell'altro Premio Nobel,José Alberto Saramago,o Jack London("La peste scarlatta")e Thomas Mann("Morte a Venezia")Ma siamo stati in pochi,però,a leggere il Trattato sulla peste del 1714,dello storico e filosofo illuminista Ludovico Antonio Muratori:" Delgoverno della peste e delle maniere di guardarsene .Epperciò,seguendo un amicale suggerimento,sono andato a leggere il testo del Muratori.E' stata una sorpresa leggere quelle pagine.Sembra di leggere un quotidiano di oggi piuttosto che un testo del 1714:sembra di ritrovarsi nell'Italia di oggi,nell'Italia pervasa da questo oscuro male,davanti agli stessi problemi sanitari,di governo e di uso politico dell’epidemia e alla proposizione delle stesse soluzioni.Ad esempio in esso si parla del modo di bloccare i commerci e i contatti fra le persone;di chiudere i confini;di evitare quelli che oggi chiamiamo “assembramenti”;di isolamento domestico(“distanziamento sociale”)dei malati;di norme igieniche come l'uso di fazzoletti bagnati nell’aceto a copertura di nasi e bocche(le nostre “mascherine”);della classificazione dei contagiati in sani,infetti,sospetti,guariti(sembra quasi di ascoltare i bollettini quotidiani dell'Istituto Superiore di Sanità).Nel "Governo della peste" si parla ancora di gestione degli orari di uscita da casa e di apertura delle osterie;di tenere sotto controllo le dicerie(le odierne “fake news”).E,quando il filosofo avverte di diffidare del “narcisismo” degli scienziati,si pensa,sorridendo,a quei tanti virologi,infettati dal virus da telecamera,che ogni giorno pontificano in tv.Per Muratori,la politica dell’emergenza va gestita su tre basi:’“oro,fuoco,forca”.Oro,cioè rimborsi,ristori e altri istitui come le odierne casse integrazioni come obbligo dei governi di venire incontro alle difficoltà di chi non può lavorare."Fuoco e Purificazione",cioè misure sanitarie come disinfestazione e sanificazione continua degli ambienti e degli abiti.Ed infine "forca".Per lo storico e filosofo emiliano,i governanti devono saper alternare "con somma sapienza",la necessità dei provvedimenti con un “salutare terrore”,con un atteggiamento,cioè,utile a far comprendere,con pene giuste ed equilibrate,ai trasgressori dei provvedimenti sanitari,la necessità dei provvedimenti adottati.Senonchè,in questa pandemia dei giorni nostri,in questa nuova "normalità" che stiamo vivendo,il "salutare terrore" di cui parla Muratori,si presenta piuttosto come una specie di silenzioso,strisciante regime sanitario,giustificato da norme anticontagio.In questi mesi,nel nome della salute sono state revocate libertà,sospesi diritti elementari e sono state imposte norme restrittive,fino al coprifuoco.È stato possibile mettere un paese agli arresti domiciliari,isolare gli individui,impedire ogni possibile riunione di persone.Qui non si vuole discutere della necessità di misure di prevenzione,ma non si può certo tacere sul contenuto di certi provvedimenti,su tempi,modi e aree di applicazione.Tutti abbiamo accettato queste restrizioni col sottinteso che si sarebbe trattato di un periodo breve,transitorio,uno stato provvisorio "d’eccezione",come dice Carl Schmitt.Ma adesso che il rischio sanitario si sta protraendo,il timore è che si possa protrarre anche la quarantena e con essa ulteriori restrizioni di diritti e libertà di un popolo.Per questo senso di "oppressione" autoritaria,molti hanno sentito la necessità di leggere altri libri su altri temi che alla pandemia si collegano.Il tema del potere,per esempio.Il potere che si regge sulla paura:lo diceva Hobbes quando disegnava la figura del "Leviatano",e lo diceva,in modo diverso,Machiavelli.E la paura è sempre,alla fine,paura di morire.Perchè la vita,per tutti è il tutto,la vita è l’assoluto e per lei siamo disposti a tutto.Siamo in balia di chiunque possa minacciarla o,al contrario,proteggerla.Di conseguenza davanti al terrore di contaminarsi e al rischio di morire,non c’è diritto,libertà,voto od opinione che tenga.Prima di tutto la salute che diventa una priorità assoluta.Sono questi i temi della "biopolitica" di cui parla Michael Foucalt.E' per questi motivi che,nel mezzo di questa Notte delle Libertà,abbiamo riletto i romanzi distopici "1984" di George Orwell o "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley.In quei libri c'erano un "Grande Fratello" o un "Henry Ford" come titolari di poteri assoluti che sopprimevano qualsiasi volontà dell'individuo.Se quei libri fossero scritti oggi,si potrebbe ben immaginare un potere totalitario che usa la sanità e la protezione dal contagio come arma di dominazione assoluta.Certo,stiamo parlando di letteratura.Però la letteratura a volte esprime alcune latenti ma reali preoccupazioni della gente.Pensiamoci un attimo.Fino al primo lockdown vivevamo questa tremenda situazione come riscoperta di alcuni principi:l’ordine e la disciplina,il senso della casa e della famiglia,l'orgoglio nazionale con i canti sui balconi.Ora ci accorgiamo delle "controindicazioni" di questa "medicina",dei suoi effetti collaterali e "indesiderati" propri di un terrore sanitario collettivo.Ognuno di noi,anche attraverso la lettura di quei testi letterari,patisce interminate prove tecniche di fine umanità:metropoli assordate da angoscianti,insostenibili silenzi.Tempi e Templi del Sapere,dello spirito e del fisico,come Scuola,Teatri,Cinema,Stadi e arene,chiusi a doppia mandata.Quella semplice passeggiata che facevamo nella vita di prima,oggi ci appare quasi come una "colpa",costretti come siamo a giustificare quei pochi passi che facciamo con carte di identità e autocertificazioni,sapendo poi di essere controllati da silenziosi droni,nuovi occhi di questo Nuovo Grande Fratello.Ma troppo lungo sta diventando questo regime di vigilanza e controllo,questa persistente dimensione emergenziale,questa sospensione di libertà e diritti che sta stancando gli italiani.Non si tratta di respingere le necessarie norme sanitarie,ma di contestare questo modello ideologico,etico e politico,di gestire il diritto alla salute.La paura di morire non può impedirci di vivere.E di vivere da uomini liberi.

23 novembre 2020

QUEL GIORNO, 40 ANNI FA





Per noi,gente dell'Irpinia e del Sannio,sono questi i giorni di un ricordo.40 anni fa,il 23 novembre 1980,ci fu il terremoto dell'Irpinia.Era una domenica il 23 novembre di 40 anni fa.Rai Due trasmetteva il secondo tempo in differita della partita Juve-Inter,e nell’altra stanza le donne preparavano la cena,in attesa che tornassero i figli e i mariti,usciti per andare a Messa o al bar o al circolo a celebrare il "rito" dell'aggregazione domenicale,secondo gli accordi della mattinata("ci vediamo stasera al bar")E al bar o al circolo ci si vedeva per chiacchierare e fumare o per la partita a "tresette".I soliti discorsi.I giovani,la politica,le donne,le stagioni che non sono quelle di una volta e il lavoro da fare domani nei campi.Poi,improvviso,tremendo,spaventoso,alle 19,34 un boato sordo e profondo squarcia la quiete della sera.La terra trema,la casa sobbalza e poi oscilla.90 secondi che sembrano non finire più.Un minuto e mezzo di terrore.La paura che ti taglia le gambe.Il movimento che ti trascina insieme al resto della casa,insieme al divano sul quale sei seduto.Buio.La luce che se ne va.Urla e grida.Preghiere ai Santi e alla Madonna,rumore di assi che scricchiolano,di mura che si squarciano,di tetti che cedono,di fondamenta che si aprono,di qualcosa che crolla in strada.L’odore di zolfo,di gas.Il senso di impotenza assoluta.Poi,così come è iniziato,tutto si ferma.90 secondi,una vita.E giù di corsa tutti insieme in strada,nel buio della notte,quella notte ancora più buia.Ed è tutto un vocio,un pianto,un trambusto,grida di gente che cerca gente.Gente smarrita,angosciata,terrorizzata.Ma dov'eravamo dopo quei 90 secondi?Non si riconoscevano più i luoghi,le strade,le case,i posti della nostra normale vita di "prima".Niente luce,niente telefono.Strade bloccate.Nessuna possibilità di chiedere e ricevere soccorsi.Poi cominciano ad uscire le prime voci che chiedevano aiuto da sotto le macerie.Ma le altre scosse che seguivano obbligavano a smettere di scavare con le mani.E continuavano,strazianti e disperati,i pianti e le grida e le voci di là sotto.Per giorni si sentirono quelle voci.Sempre più flebili,poi nulla più.Le mani nude e i pochi attrezzi non riuscivano a superare il groviglio di assi,di legna,di travi di ferro contorti,di pietre e mattoni di tufo.Solo 5 giorni dopo quella scossa assassina cominciarono a vedersi le prime camionette degli alpini e i volontari partiti da tutte le parti d'Italia,che si inerpicavano su masse di detriti e macerie per arrivare a Teora e Balvano,a Laviano e Lioni e Sant'Angelo dei Lombardi,tutti paesi sconosciuti fino allora,fors'anche alle carte geografiche.E così,senza saperlo,alle 19,34 di quel 23 novembre un mondo finiva.Luoghi,storie,persone e parole scomparivano per sempre.I morti furono 2914.Novemila i feriti.Trecentomila i senzatetto.All'inizio,di fronte a tutto quel dolore,ci fu un'ondata di solidarietà sincera e generosa.In tanti accorsero in Irpinia.Arrivò l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini,che volle andare tra quelle macerie nonostante i suoi 84 anni.E arrivò anche Giovanni Paolo II e Lech Walesa,il capo di Solidarnosc,e Claudio Abbado e Nanni Moretti.Scrissero sull'Irpinia Alberto Moravia e Leonardo Sciascia.Pure Andy Warhol si unì al grido di quella gente con la gigantografia della prima pagina del "Mattino":"Fate presto".E i giornalisti Giovanni Russo e Corrado Stajano pubblicarono un libro:"Terremoto".Dopo,invece,arrivarono i finanziamenti per la ricostruzione:60.000 miliardi,praticamente più di 2 manovre finanziarie.E  su quei soldi arrivò la camorra in combutta con la malapolitica per mettere le mani su lavori,appalti,progetti.Una provvidenziale manna per affaristi senza scrupoli,camorristi,politici corrotti,imprenditori.Un'infame e cinica strategia sulla pelle di chi aveva perso tutto:accordi tra i politici che distribuiscono gli appalti con gli imprenditori che vengono a lavorare,che pagano la "tangente" e assumano la gente giusta e cedano i subappalti.L'accordo con la camorra per pagare il pizzo;l'accordo,per la camorra,significa intimidire,minacciare,incendiare cantieri,mettere bombe.Oggi,a distanza di 40 anni,molti vorrebbero rimuovere quelle macerie,archiviare la memoria di quel giorno.Sarebbe un tragico errore, oltre che un insulto a chi è rimasto sepolto sotto quelle macerie.Nello scandalo del dopo terremoto,infatti,affondano le radici profonde di quella delle nuove “ecomafie”.Parte proprio da quel disegno criminale progettato e sperimentato sulle macerie del sisma,quel sistema economico-criminale che porterà fino ai nostri giorni allo sfruttamento sistematico e illegale del territorio e delle risorse ambientali della Campania e dell'intero Paese.In quegli accordi si salda quel patto scellerato tra politici e amministratori locali,imprese e boss camorristici che trasmetterà il virus dell’illegalità allo Stato,all’economia.Dopo 40 anni non dobbiamo perdere la memoria,le immagini di quei posti e di quella gente,le straordinarie prove di generosità,la solidarietà concreta, l'impegno di decine di migliaia di volontari.Una lezione ci lascia "quel" giorno.L'ambiente è una risorsa strategica dell’Italia,che non va lasciata impunemente in mano a chi la saccheggia,per trarne profitto. Approfittando persino di un’immane tragedia,come quella del 23 novembre 1980.

19 novembre 2020

DIVIETO DI CULTURA





Con la seconda ondata del virus è ricominciata l'alluvione dei Dpcm.Nuove regole,altri divieti e obblighi.Obbligo,per esempio,di chiudere i servizi non essenziali.E "non essenziali",per il premier Conte,sono i luoghi della cultura:musei,teatri,biblioteche.Tutto chiuso,a tempo indeterminato.Questi luoghi,per questo governo rozzo ed incapace,sono considerati solo come un "numero",per il numero,cioè, di visitatori,potenziali contagiatori per eventuali assembramenti:un numero,niente più,come se questo fosse l'unico criterio da seguire per evitare contatti e contagi.Oltretutto non si capisce come mai cinque persone in una stanza di museo rischino il contagio più di cinque persone in un negozio di alimentari di identica superficie.E così bisogna accontentarsi di visite "virtuali",almeno per quanto riguarda i musei.La chiusura di teatri,biblioteche e musei conferma così quale sia il "sentimento" di questo governo nei confronti della cultura:essenziale è(con tutto il rispetto)il negozio di giocattoli per bambini,non i musei,i teatri e le biblioteche.Invece il teatro e i musei e le biblioteche sono altro e di più,ed anzi dobbiamo prepararci a un diverso modo di fare cultura,di avere bellezza,di coltivare memoria,di mantenere sensibilità di cui c'è sempre bisogno.Ed è in questo nuovo,inaspettato tempo che tale bisogno si fa sentire ancora più necessario.La memoria culturale ci ricorda quel che eravamo e ci proietta verso il futuro.Ci dona ricchezza interiore,alimenta speranza.E ci cura l'anima.Diceva il pittore Lucien Freud,nipote del padre della Psicoanalisi,Sigmund:"Vado alla National Gallery come si va dal medico".Nell’art. 9 della Costituzione c'è scritto che:"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".E' qui il senso di tutto.È nel nostro patrimonio artistico,nella nostra cultura che risiede il cuore della nostra identità nazionale.Anzi.Mi piace immaginare la cultura italiana come un'immensa agorà senza Tempo nella quale,ad esempio,Seneca passeggia con Leopardi riflettendo sull'ineluttabilità del dolore;più in là Dante e Manzoni discutono del senso religioso della vita,mentre Pasolini e Caravaggio si raccontano le loro vite travagliate;e poi ancora Verdi e Vivaldi e Mascagni e Paganini e Donizetti e Puccini,si dicono di quanto avesse ragione Platone nel dire che:"La musica fa bene al cuore".E Croce e Gentile ragionano di Platone e Aristotele,guardando la "Scuola di Atene" di Raffaello.E poi ancora Leonardo e Michelangelo,discutono della Creazione dell'Umanità,come loro l'hanno concepita nel "Vitruviano" e nell' "indice" della Cappella Sistina.E poi Pirandello,Montale e Ungaretti che si chiedono quale sia il significato esistenziale dell'Uomo.Ecco,questa Italia è dentro ciascuno di noi,espressa nella cultura umanistica,dall’arte figurativa,dalla musica,dall’architettura,dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo.Non a caso quell'articolo 9 si trova nella sezione "Principi fondamentali" della Costituzione."Principi fondamentali",altro che servizi non essenziali.E allora fatelo quest'altro Dpcm:che tutti i musei e i teatri e le biblioteche siano aperti.Sarebbe un segnale di vita e di speranza.L’affermazione che arte e cultura sono necessarie,anche e soprattutto in un momento come questo.Sarebbe la consapevolezza che la ripartenza richiede memoria della nostra cultura,storia e bellezza.Che il museo,il teatro,le biblioteche sono macchine del pensiero,il simbolo di una società che non si limita a sopravvivere a se stessa.Un modo per prepararci al mondo nuovo che verrà.La pandemia ci obbliga alla consapevolezza della nostra fragilità.Ma anche alla consapevolezza della nostra forza che è la nostra immensa cultura.




13 novembre 2020

UN CAFFE' AL GAMBRINUS

Ci sono posti nei quali si riassume il significato di un tempo,la memoria e la cultura di un popolo.Uno di questi posti,ad esempio,è il "Gambrinus",il "Caffè" di Napoli famoso in tutto il mondo.Inizialmente chiamato “Gran Caffè”,fu poi ribattezzato “Gran Caffè Gambrinus”.Esso fu fondato nel 1860 dall'imprenditore napoletano Vincenzo Apuzzo.Nel 1890 i locali furono rinnovati dall'architetto Antonio Curri(celebre per aver realizzato la Galleria Umberto,nel cuore di Napoli)che creò un gioiello di arte Liberty con specchi,divani rossi e oltre 40 dipinti di artisti della scuola di Posillipo.Il Gambrinus è nel "salotto" della città,tra Piazza Plebiscito,il Teatro San Carlo e Castel dell'Ovo.Durante la Belle Epoque il Gambrinus ospitò le più grandi menti del periodo:letterati,artisti,musicisti.e anche dopo,nel corso dei suoi 160 anni,il Gambrinus ha rappresentato il cuore della vita mondana,culturale e letteraria della città:re e regine,politici, giornalisti,letterati e artisti di fama internazionale lo hanno eletto a luogo di incontro dove discutere di filosofia,politica,letteratura.In quel Caffè Letterario amava venire Benedetto Croce e più volte è stato ospite Oscar Wilde con il suo amante,nel loro periodo napoletano.Lì si decideva molto del futuro del Regno e della vita politica cittadina.Qui passava lungo tempo Gabriele D'Annunzio che ne amava i fasti e l'aria lussuosa.Agli stessi tavolini la scrittrice e giornalista Matilde Serao e il poeta Eduardo Scarfoglio progettarono "Il Mattino",ancor oggi il più diffuso quotidiano meridionale.Le stesse sale furono frequentate da Filippo Tommaso Marinetti,Hemingway,Sartre,Woody Allen,Totò,i fratelli De Filippo.Tanti uomini politici e cariche istituzionali italiane e straniere vi passarono:i Presidenti della Repubblica,Cossiga,Ciampi,Napolitano e Mattarella,la signora Merkel e da ultimo perfino Papa Francesco.Ma il Gambrinus è anche la memoria di tante tragedie di Napoli.La memoria delle bombe durante la seconda guerra mondiale e delle 4 giornate del settembre '43,le giornate dell'insurrezione contro i nazisti.La memoria dell’eruzione del Vesuvio del 1944,richiamata anche da Curzio Malaparte,nel suo libro "La pelle",nel quale lo scrittore racconta anche la fame del popolo napoletano subito dopo la guerra:il contrabbando,gli "sciuscià",i ragazzini lustrascarpe e le ragazzine "vendute" agli americani per qualche Am-lire per campare.E c'è la memoria del terremoto dell'Irpinia del 1980:2 minuti di distruzione che lasciarono un senso di precarietà per decenni.Di tutte queste memorie i napoletani hanno parlato e conversato e discusso,davanti a un caffè,al "Gambrinus".Per questo non è un caffè come gli altri,il Gambrinus.Per questo la notizia della sua chiusura a seguito delle difficoltà economiche causate dal covid e l’idea stessa di quella serranda abbassata,l’assenza dei tavolini in piazza non passano senza lasciare smarrimento in un popolo già smarrito.Per carità,questo triste destino è condiviso da centinaia di aziende,e non c’è provvidenza o ristoro che possa risolvere una crisi che minaccia di essere esiziale per un intero mondo commerciale.E tuttavia, esistono i simboli.Quelli che rappresentano un po’ tutto il resto,quelli che racchiudono in sé significati molto maggiori di quelli materiali.Il Gambrinus significa capacità di guardare oltre.Di pensare che la vita riprenderà,come dopo la guerra e il terremoto,quando il Gambrinus non chiuse.E invece questo virus,sterminatore di uomini e umanità,è riuscito dove non riuscirono le grandi catastrofi.È questo il motivo per cui,a leggere questa notizia in mezzo alle altre che raccontano le così grandi tragedie di questo tempo,all'angoscia generale si aggiunge altra angoscia,sapendo quello che nel Gambrinus è stato.