Un altro anno è passato,un altro anno e un altro Capodanno è arrivato tra i rituali di sempre:notte della vigilia con cenone in famiglia,pacchi,pacchetti,regali,risate e tanti auguri a tutti.Eppure in questa notte c'è stata tanta altra gente che quel Capodanno e nessun altro Capodanno ha avuto,che con nessuno quella notte è stato,a cui nessuno mai pensa,figurarsi poi la notte di Capodanno.
E' quella la gente che,come tutte le altre notti dell'anno,anche nella notte di Capodanno ha avuto come materasso il pavimento di una piazza o la panchina di un parco,come coperta degli stracci o dei cartoni e come tetto un cielo trapuntato di stelle.E' questa la diversa ma sempre uguale notte di Capodanno per quei tanti,quei troppi che,ogni anno in numero sempre maggiore,vivono così.Senza più una famiglia una casa un lavoro.Perchè poi non ci vuol niente a cadere in quel mondo di povertà sempre più esteso,come i rapporti della Caritas o dell'Istat ogni anno ci raccontano.
Poi ogni tanto succede che quell'altro e diverso mondo esonda nel nostro e ci scuote e ci angoscia e ci fa salire dal profondo disagi,scrupoli,rimorsi.Succede quando in tv o sui giornali o sui social appare la notizia che uno di quelli che chiamiamo barboni o clochard,è morto dentro il buio della notte,sotto il freddo del gelo dell'inverno.
E ci si chiede allora,ma solo allora,come sia potuta accadere una cosa del genere proprio qui,proprio nella nostra "civilissima" Italia.Ci sono quelli che rispondono a questa domanda mescolando l’urbanistica con il sociale,puntando il dito sul degrado oppure accusando le ONG e Associazioni umanitarie perchè secondo alcuni su quel mondo fanno affari.
Certo,si sarebbe potuto fare di più,magari utilizzando i tanti stabili vuoti di proprietà dei preti o dello Stato,che però vuoti erano e vuoti resteranno.Si sarebbe potuto fare di più con il reddito di cittadinanza.E si sarebbe potuto fare di più con i bonus e con la cassintegrazione.Già.Si sarebbe potuto,ma non si è fatto.E forse ci vorrebbe un sistema di assistenza sanitaria e sociale più vicino ai fragili,ai deboli,agli ultimi,ma poi finisce sempre che quella gente comunque va a vivere su una panchina o tra le mura di una stazione ferroviaria e talora,appunto,muore.
Sono i tanti nuovi,vecchi poveri,diseredati,disadattati,e ti chiedi come è cominciata quella loro nuova vita,perchè poi molti di loro fino a qualche giorno prima aveva una vita "normale",magari non ricca ma almeno come quella che viviamo noi adesso.
Nei giorni di mercato si aggirano tra i banchi dei venditori.Magari "prima" erano normalissimi clienti.Adesso,dopo il mercato,rovistano nei cassonetti dell’immondizia,tra gli scarti e gli avanzi del nostro cenone della vigilia.Sono tutti uomini e donne ai margini della società.Le ricerche sociologiche li chiamano “invisibili” e con questa parola ci han già girato un mucchio di film,anche uno con Richard Gere.Si piange in quei film.Ci si commuove per un paio d'ore e poi finisce tutto lì.
(sopra il trailer del film "Gli Invisibili" con Richard Gere)
Qui da noi li chiamiamo i “senzatetto”, poi qualcuno ha pensato bene di ribattezzarli con il nome di “clochard”,come se con quel francesismo potessimo rendere meno cupa la vista,la loro esistenza e la nostra coscienza.Bisognerebbe invece chiamarli Barboni.Barboni,l'ultimo gradino di una scala sociale che non ha pietà.Barboni.Una parola dura,che fa gelare il sangue.Sono tanti e si moltiplicano giorno dopo giorno,anno dopo anno,sempre di più.
Gli "Invisibili".Forse perchè persone così non solo non vorremmo vederle,ma vorremmo che proprio non esistessero:perchè costituiscono un silenzioso interrogativo che inquieta la coscienza.Come se non vedendoli il problema fosse risolto.Ed invece no.I "poveri",i "barboni",dato che esistono,è bene che restino visibili e continuino a turbarci. Per evitarci di dimenticare che miseria e abbandono sono brutti e degradanti.Ed è solo incrociando lo sguardo di un povero o di un barbone buttato a terra o sentendone l’odore spesso sgradevole si può capire il carico di dolore e di solitudine che porta con sé.
Se invece pensiamo che quella gente "deve" restare invisibile e che "basta" fare un’offerta,non abbiamo capito niente,non abbiamo capito che in questo modo saremmo,più di quanto non siamo già,più cinici,più duri,più indifferenti,più chiusi di mente e di cuore.La storia ce lo insegna.Il primo passo per negare un problema è nasconderlo. Ci sono stati (e ci sono ancora) regimi in cui semplicemente essere zingari,ebrei,omosessuali o poveri era un problema.Non dimentichiamoci di come è finita,perché il meccanismo potrebbe ripetersi.
E la politica ? Figuriamoci.Dei “barboni” non c’è traccia in nessun programma elettorale.La politica non ha mai guardato là fuori e non ha mai visto quel signore qualunque,curvo a scrutare dentro un bidone dell’immondizia che è il suo banco del supermercato ed il suo menù.Lì dentro, tra i nostri scarti,c’è la sua colazione,pranzo e cena.
La povertà,oggi,è sempre più improvvisa,e sempre più estesa,anche se l’homeless è ancora considerata una condizione legata a specifiche categorie: i malati psichici, i tossicodipendenti o i clochard per scelta.La povertà,invece,può essere improvvisa e derivare dal fallimento di un progetto migratorio,un licenziamento,una separazione,una deriva psicologica,umana sociale o personale.E c'è una ostilità,una repulsione verso il povero.Ed è proprio alla paura del povero e degli "homeless" che viene da pensare in riferimento all’onda di appelli social che pongono al centro il tema della sicurezza.
Un po' ovunque, per fortuna, ci sono le mense della fraternità. Offrono il pranzo ma non solo,e le file ogni anno diventano più lunghe.Eppure sugli spalti degli stadi del tifo politico e dentro i Palazzi del potere,c'è chi punta il dito sulle coop,sui parroci e di nuovo sugli extracomunitari e su tutta quella gente che offende il "decoro urbano".
Tante sono le strutture e le progettualità a disposizione di chi ha perso tutto:ascolto,docce,dormitori,centri diurni e assistenza di strada,raccolta indumenti e molto altro. Ma è ancora lontana una visione più compiuta che guardi all’homelessness non solo come ad una questione emergenziale a cui guardare con pietà, ma come una questione reale a cui porre rimedio in termini di politiche dell’abitare.Perchè si dovrebbe pensare che chi è povero oggi non lo deve essere per sempre e che la povertà non è una colpa. È semplicemente qualcosa che può accadere a chiunque,all’improvviso.
La verità è che questa nostra società consumistica, cannibalesca, divora e digerisce tutto,anche la capacità di indignarci.Una società povera di valori, eticamente vuota. La paura dell'altro ci incattivisce,ci rende indifferenti.Oggi più che mai, in questo momento di crisi si ha bisogno di significati veri e di valori alti: la cultura della partecipazione contro l’ignoranza,l'indifferenza e la noncuranza.E' questo che manca,è questo che ci vorrebbe.
Qualche anno fa lo "street artist" più famoso del mondo,Banksy girò un video a Birmingham,in Inghilterra,con un’opera che accarezza i più deboli.Il protagonista è Ryan, un senzatetto che, complice o ignaro non si sa, si prepara per affrontare la notte.Beve a una bottiglietta d’acqua, sistema le sue sacche a mo’ di cuscino mentre le macchine sfrecciano a pochi metri da lui e i passanti camminano del tutto indifferenti. E lui, cappuccio in testa per ripararsi dal freddo, si stende sulla panchina: il suo letto.Quando,però,la macchina da presa allarga l’inquadratura, sul muro accanto spuntano le due renne di Babbo Natale, che trasformano la panchina di Ryan in una slitta.E' un invito alla solidarietà, a non girare lo sguardo dall’altro lato con indifferenza.
Banksy in questo modo vuole porre l’attenzione su un problema che ha una rilevanza globale: le condizioni dei clochard che, specialmente nei mesi più freddi dell’anno, si trovano soli e privi di un luogo caldo dove poter trascorrere la notte. A dare una nota ancora più malinconica, è il natalizio sottofondo musicale di I’ll be home for Christmas cantato da Joy Williams.
(Sopra la foto e il video di Banksy tratti da internet)