15 dicembre 2023

BISOGNA AVER VISTO






La condizione del sistema carcerario di ogni Paese democratico e le situazioni del vivere quotidiano dei detenuti sono(dovrebbero essere)un elemento basilare per uno Stato di diritto perchè é (anche)da lì che passa la tutela dell'individuo e il rispetto delle garanzie costituzionali.

Queste cose le sapeva bene Voltaire quando diceva:"Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri,poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”.E le sapeva bene Piero Calamandrei che già nel 1949,proponendo una commissione d’inchiesta sulle carceri e la tortura, scriveva:"Bisogna aver visto",cioé bisogna "entrare" nelle carceri italiane per rendersi conto davvero della realtà che esse rappresentano.Il non (voler)guardare è invece il buio della Ragione e la scomparsa di ogni umana solidarietà.

Già,entrare nel carcere.Visitare un carcere.Ma a farlo veramente sono solo poche associazioni che agiscono per il rispetto del Diritto e dei diritti dei carcerati,come "Nessuno tocchi Caino" e "Antigone" per esempio.

Il carcere è un cunicolo sconfinato di sofferenze.È luogo di patimenti dove espiare la pena.Diceva Filippo Maria Turati  in un discorso memorabile,che poi fu pubblicato in opuscolo sotto il titolo “Il cimitero dei vivi”:"La detenzione non é solo privazione della libertà.Essa è una punizione corporale e psichica".

Ed infatti il carcere si abbatte su corpi costretti in spazi angusti,dove coabitano sovraffollamento e solitudine.Privati di sessualità,distesi in cella a fissare perennemente il soffitto o la tv,col tempo,da uomini che erano,i detenuti si trasformano in larve.Rimangono in carcere anche persone malate la cui condizione sanitaria è incompatibile con il carcere,eppure,inspiegabilmente,lì restano reclusi.Fino all’acuzie di corpi sopraffatti che si danno la morte(già 39 i suicidi in carcere ad agosto 2023).

Se si anagramma,la parola "reo" si ricompone in ero.Ed é proprio questa la sensazione del detenuto del proprio essere:la perdita di ogni forma di vita e di dignità.Questa ricomposizione della parola inchioda per sempre il detenuto al reato commesso.L'art. 27 della Costituzione prevede che:"le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità".Ma quell'articolo nelle carceri italiane viene applicato senza il NON,secondo un'opposta,agghiacciante realtà:"Le pene POSSONO consistere in trattamenti contrari al senso di umanità".

Sempre Filippo Turati scriveva già nel 1904:"Noi ci vantiamo di aver cancellato la pena di morte dal codice penale,ma la pena di morte che ammaniscono a goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice?.Noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli,e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti,o scuole di perfezionamento dei malfattori…".

Non è che basta cancellare la pena di morte,così come si è fatto,se non si supera anche l'ergastolo che è una pena fino alla morte(perché tale é l’ergastolo,sia esso comune od ostativo).In realtà è il carcere che andrebbe abolito,perché laddove c’è strage di ogni dignità e legalità c’è anche strage di vite umane(85 suicidi nel 2022, mai così tanti).

Ma in un Paese culturalmente conservatore e per certi versi addirittura reazionario come l'Italia,l'abolizione del carcere non é certo nell'agenda politica dei partiti politici di qui ai prossimi 100 anni.Epperò il carcere può già da subito diventare più "umano",se lo si ascrive ad una categoria concettuale di "residualità",come "extrema ratio",proprio come chiedeva uno dei grandi Padri del Garantismo,Cesare Beccaria.

Così la condizione carceraria può trovare una tollerabilità anzitutto abbandonando ogni automatismo nel ricorso alla leva penale e attuando una politica di radicale depenalizzazione.Proprio l'opposto,cioè,di quella logica panpenalistica che ispira l'azione illiberale dell'attuale governo italiano.

E una umanità della condizione carceraria può essere recuperata anche facendo ricorso a strumenti di clemenza collettiva come l'amnistia.Come pure si dovrebbe sostituire per quanto possibile,la detenzione con pene alternative.Tutto ciò non è di certo presente nel programma del governo repressivo Melonian-salviniano che si professa garantista nel processo,ma giustizialista nell’esecuzione della pena.E così mediocri politici come Salvini continuano a utilizzare espressioni tribali come "buttare la chiave".

Intanto anche per questa cultura repressiva instillata nell'opinione pubblica,oggi il carcere è sinonimo di giustizia,sicchè più il carcere è duro,più si ritiene che giustizia è fatta:così la feroce legislazione carceraria del 41- bis(che doveva essere limitata nel tempo,ma oggi applicata di prassi)è il risultato di questa equazione.

La pena consiste nella privazione della libertà in uno spazio ristretto chiamato carcere,ma le carceri italiane sono molto di più,una discarica sociale dove si è costretti a vivere chiusi in celle umide,sovraffollate e in condizioni igieniche disumane.

Ed invece la vita in carcere deve somigliare il più possibile alla vita esterna diversa solo per un elemento di spazio,connesso alla condizione di detenzione.Per tutto il resto non deve esserci differenza tra cittadino libero e cittadino detenuto.Perchè non ci sono Uomini e no.

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