27 novembre 2023

LA "CULTURA" DI GIORGIA




In questo suo primo anno di governo la destra italiana sembra assillata dalla preoccupazione di accreditarsi con una propria dignità culturale per sostituire l’egemonia culturale della sinistra”(parole del Ministro della Cultura Sangiuliano).Quest'ansia culturale si svolge sul solito discorso identitario del "patriottismo",e in questo contesto il   riferimento culturale della destra é stato individuato nello scrittore britannico J.R.R. Tolkien,autore de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit.

Perché questa specie di "appropriazione" di Tolkien da parte della destra?Le ragioni sono da ricercare nel fatto che "gli abitanti della "Terra di Mezzo" di Tolkien(detti anche Hobbit)sono quei piccoli uomini in continua lotta  contro creature leggendarie,proprio per la difesa di quella Terra e nella difesa di valori antichi e tradizioni millenarie.Il mito del patriottismo,dunque,così tanto caro alla destra.Ed infatti Giorgia Meloni,quand'era all'opposizione incitava la sua forza politica a combattere quel “nemico scaltro che Tolkien chiamerebbe gli anelli del potere”,riferendosi alle elite globalizzate della finanza,dell'industria e delle istituzioni internazionali .

Da questi riferimenti culturali nasce la mostra alla Galleria Nazionale di Roma dedicata proprio a Tolkien,a 50 anni dalla scomparsa dello scrittore inglese.

Il fascino della destra per il mondo immaginario di Tolkien cominciò per i giovani missini(tra i quali militava la giovane Meloni)negli anni '70,quando essi intendevano liberarsi dallo stereotipo del neofascista picchiatore e violento.Questo mondo fu portato anche nelle esperienze dei cosiddetti "Campi Hobbit",che erano raduni della destra giovanile missina.Il primo Campo Hobbit si tenne nel 1977 a Montesarchio,in provincia di Benevento dove il Msi raccoglieva molti voti e ad esso parteciparono futuri nomi di spicco di Alleanza Nazionale,come Gianfranco Fini e Marcello Veneziani.

Oggi,a quasi mezzo secolo di distanza da quei Campi Hobbit, Giorgia Meloni é al governo e deve confrontarsi proprio con quelli che lei definiva il "nemico scaltro che Tolkien chiamerebbe gli anelli del potere”,cioè industria,banche ed istituzioni europee,ma l’assalto della destra alle case matte della cultura non si ferma e continua a passare attraverso la riscoperta di Tolkien.

Ma per trovare “presentabilità culturale” ci vogliono idee,progetti e visioni di un presente e di un futuro adeguato ad una società e a un mondo evoluto ed in continua trasformazione,mentre questa destra ancora non riesce a liberarsi da un passato ingombrante e imbarazzante.

Così la costruzione di una nuova egemonia culturale sta avvenendo soltanto attraverso un uso rozzo e brutale del potere.Altro che immaginario di Tolkien.Da quando è al governo, la destra ha lanciato una vera e propria campagna di occupazione di ogni posto dell' "orbe terracqueo".Una occupazione affidata agli amici degli amici,nelle fondazioni culturali,nelle accademie,i teatri,i musei e ovviamente,la televisione pubblica.Ecco,appunto.La Rai sembra essere divenuta una sezione di Fratelli d’Italia:da Pino Insegno a Nunzia De Girolamo,i conduttori(mediocri)di destra non finiscono più,anche se poi i loro programmi sono sull'orlo di chiusura per paurosi cali degli ascolti.I TG,poi,sono diventati bollettini ufficiali dei partiti al governo.Se a ciò si aggiunge che Mediaset é saldamente nell’area di destra,siamo al(quasi)pensiero unico.

Ma nonostante l’enorme dispiegamento di risorse e mezzi, finora il risultato è stato un flop clamoroso.La cultura di destra viene tuttora percepita come estranea da ampi settori del Paese.Soprattutto viene percepita come imposta,non conquistata sul campo con idee e valori frutto di conoscenza,tolleranza e studio,come invece dovrebbe essere secondo la logica della tanto decantata meritocrazia.Una egemonia culturale per decreto,calata dall’alto,destinata a non attecchire perché fondata esclusivamente su un sentimento di rivalsa sulla sinistra.E su improbabili personaggi della serie generale Vannacci.

23 novembre 2023

OLTRE LA MEMORIA






Ed ecco un altro 23 novembre.Un giorno come un altro per molti.Non per noi,gente delle Terre del Sannio e dell'Irpinia che ogni 23 novembre ricordiamo QUEL 23 novembre,quello del 1980,quando un terremoto violentissimo sventrava la realtà di interi territori tra Sannio,Irpinia e Basilicata.E di quel terremoto anche l'ora ricordiamo:le 19.34,un'altra ora che segna un'altra delle tante morti di questo Sud.

Da quel giorno viviamo in una specie di rassegnata assuefazione al dramma che si tramanda di generazione in generazione e ci tiene legati insieme,come popolo del "Fate Presto"(questo fu il grido indignato che si levò dalle labbra  del Presidente della Repubblica Sandro Pertini,dopo la sua visita in Irpinia,nei giorni dopo il dramma).43 anni da allora son passati,eppure non si volta mai davvero la pagina di questa storia.Ma quando quella tragedia del 1980 che ci portiamo dentro sarà finita davvero?

Certo,la memoria è fondamentale,ci fa sentire vicini.Abbiamo l'obbligo morale di non dimenticare quelle 2.735 vittime,quelle case che diventarono tombe,quei paesi sbriciolati,in un immensa distesa di macerie.A questo servono gli anniversari:tenere insieme le nostre,mai rimosse,macerie emotive.Eppure proprio questo bisogna evitare:fermarsi al ricordo,alla celebrazione del giorno e dell'ora ma essere poi incapaci di elaborare quello che di noi potrà ancora essere.

Perché una domanda dobbiamo porci,noi che quel dramma abbiamo vissuto.Dobbiamo chiedercelo,senza aspettare,questa volta,risposte ed aiuti esterni come quelli che allora ci giunsero dalla solita,grande generosa Italia che sempre é presente in ogni tragedia.Dobbiamo,cioè,chiederci:siamo capaci di costruire qualcosa al di là della memoria della catastrofe?Se non rispondiamo a questa domanda rischiamo di far perdurare il terremoto per sempre e ci trascineremo dietro quel vittimismo tutto meridionale,quella logica assistenziale e quella retorica dell’ORMAI che non ci fa fare nemmeno un passo avanti, pensando che tanto tutto è ormai perduto.

L’abbiamo assorbita così tanto,quella logica dell'ORMAI,da non notare nemmeno più quelle case rimaste a com'erano alle 19,34 di quel 23 novembre,abbandonate e disabitate da anni e da anni supportate da quei grandi,eterni pali di legno.L'abbiamo assorbita  così tanto quella logica da vivere i centri storici spopolati,la vulnerabilità sismica delle scuole,i problemi occupazionali,i buchi neri delle ricostruzioni,a dir così,"improprie"(e delle corruzioni che dietro quelle ricostruzioni ci sono state)e le politiche di industrializzazione fallita,la dispersione del senso di comunità.

Negli anni sono arrivati in queste terre fiumi di danaro per la ricostruzione,che però hanno alimentato corruzione morale e malaffare,politico e camorristico.E ci sono state tonnellate e tonnellate di cemento per ricostruire case e comunità,ma c'è stato isolamento e desertificazione umana e civile.E ancora oggi,chi dovrebbe non ascolta o non sa/non vuole comprendere i reali bisogni,le necessità dei sopravvisuti,la voce delle nuove generazioni che la memoria del terremoto non possono avere e che crescono nelle terre del Sannio e dell'Irpinia  già sapendo di essere destinati a lasciarle.

Forse quel nostro abusato sentimento di autocommiserazione dovrebbe trovare la sua possibilità di essere definitivamente cambiato e superato.

Perciò,oltre il dovere della memoria di quel 23 novembre,dobbiamo imporci l'obbligo morale di cominciare finalmente a interpretare i mutamenti culturali,sociali ed etnici di queste Terre,per ripartire e ricostruire realmente:il nostro essere,la nostra dignità e finirla con le stanche celebrazioni.

Perché poi nei secoli gli abitanti di queste zone,prima dei saccheggi culturali politici ed economici,hanno avuto una propria grande Storia e dimensione culturale e di appartenenza e hanno espresso intelletti di livello assoluto.Le cose,perciò,volendo,le sappiamo fare già meglio della politica e delle istituzioni attuali,sempre affannate a dimostrare che qualcosa si muove.

La memoria di quel giorno non potremo mai più cacciarla via,eppure mentalmente dovremmo dimenticare il terremoto per darci una visione positiva,senza più piangerci addosso,uscendo una volta per tutte da discorsi ampollosi e vuoti.Ricordare il terremoto per poterlo dimenticare e immaginare un futuro per queste Terre nostre.

18 novembre 2023

LA DITTATURA DELLA MAGGIORANZA






Con l'ennesimo decreto sicurezza(é già il 4°!!!!)varato dal governo Meloni,l'esecutivo italiano più a destra di sempre,dimostra,una volta di più,di avere un'ossessione securitaria,con un ricorso continuo,quasi morboso,maniacale a una sorta di "populismo panpenalistico",che poi é il modo di dare la risposta più immediata a fatti di cronaca secondo logiche punitive e repressive in senso illiberale ed antigarantista solo per raccogliere consensi elettorali,senza riguardo alla reale idoneità delle misure adottate per ridurre veramente la criminalità.

Tutto si risolve,per questo Governo,nel creare nuovi reati e,per quelli già esistenti,nell'aumentarne le pene.C'è come una smania di galera e repressione a ogni costo,in un Paese dove pure i reati sono in calo da ormai 30 anni. Non è nemmeno giustizialismo,è come lo schiumare di una bava rabbiosa di bestia che non leva "la bocca dal fiero pasto".

Dal decreto sui rave party,che inaugurò la stagione meloniana, agli ultimi decreti sicurezza,passando per le norme anti ONG e contro le baby gang per i fatti di Caivano.Il tutto in una logica di "diritto penale del nemico":individuare,cioè,alcuni soggetti da indicare all’opinione pubblica come pericoli e costruire reati appositamente su di loro.

In particolare colpisce la ferocia e l'accanimento di aumenti di pena per chi promuove rivolte carcerarie.Anche prima questo reato era punito.Ma evidententemente non bastava:é come se ogni volta ci si debba mostrare più cattivi,punendo sempre di più.

Eppure si sa che 9 volte su 10 le rivolte in carcere scoppiano per le disastrose condizioni di vita:il sovraffollamento per cui in celle per due si dorme in sei,i cessi alla turca a fianco ai letti a castello, il freddo d’inverno e il caldo d’estate,le restrizioni a incontrare i familiari, le strutture fatiscenti, tutto in violazione della norma costituzionale sulla dignità della detenzione e la finalità rieducativa della pena.Per il governo,invece,quello che conta sono le norme repressive non quelle di tutela dei diritti dei detenuti.

Ma c'é un altro aspetto che colpisce e cioè le norme che mirano a far espiare la pena in carcere alle donne incinte e a quelle con figli di età minore di un anno.Il che significa che bambini di pochi anni vedranno negata la propria infanzia e cresceranno anche loro dietro le sbarre e lontano dai propri coetanei.L'obiettivo chiaramente va alle “borseggiatrici rom”: d’ora in poi il carcere è obbligatorio a meno che il giudice non abbia il coraggio di contraddire il governo disponendo misure alternative al carcere,ricorrendo all'istituto delle case famiglie per detenute con bimbi nell'interesse del benessere del minore.Sarebbe questa una risposta umana e civile al problema del bilanciamento tra esigenze di difesa sociale e i diritti alla maternità.Già,sarebbe.Senonchè si sa bene che questi istituti in Italia sono pochissimi e comunque mal funzionanti.

Risulta chiaro che nel mirino del trio Meloni-Salvini-Piantedosi ci sono i migranti, i detenuti, i giovani che creano disordine e la microcriminalità che andrebbe sì affrontata ma in modo mirato, non indistinto.Ma con questo uso simbolico del diritto penale, si fanno norme che rimangono sulla carta,essendo totalmente irragionevoli e sproporzionate producendo l’effetto già descritto da Beccaria: se punisci un reato più lieve come il reato più grave, il rischio è che la persona compia direttamente il reato più grave.

E non basta.Il nuovo decreto permette agli agenti fuori servizio e in abiti borghesi,di portare armi private senza licenza e non le pistole d’ordinanza.In questo modo si rischia il Far West con una giustizia fai da te,in violazione di ogni garanzia costituzionale e processuale.Si metteranno in giro centinaia di migliaia di armi che possono alimentare il "modello americano" con il rischio di far possedere armi a chi voglia fare vendette anche di tipo personale.Il tutto senza che il decreto preveda controlli medici o misure di controllo psicologico.

Nel porre in essere questi provvedimenti si ha l'impressione che chi governa si ritenga autorizzato,in nome di un’investitura elettorale,a disporre dello Stato,delle sue leggi (Costituzione compresa) e della sua organizzazione e relative articolazioni, in modo pieno e assoluto.E' una concezione predatoria e autoritaria di chi ritiene che, avendo la maggioranza elettorale,abbia anche la sovranità popolare.Si crede,cioé,che chiunque abbia ricevuto un momentaneo successo elettorale(che alle successive elezioni potrebbe non averlo più)possa modificare a suo piacimento leggi e Costituzione,ignorando i più elementari diritti dell'individuo.

Questo modo di pensare rappresenta lo scivolamento verso una nuova forma di dittattura,quella che già Alexis de Tocqueville,nella sua famosa opera "La Democrazia in America",definiva come la "dittatura della maggioranza".

L’impianto legislativo di uno Stato non è qualcosa che si plasma sulla base della volontà della maggioranza politica del momento. Codici civili e penali, codici di procedura, leggi in materia pensionistica, norme sugli appalti di opere e altre ancora,non sono disposizioni buone per un’unica stagione secondo la volontà di una sola parte politica,ma debbono garantire diritti e prerogative dei cittadini per periodi ben più lunghi di una o due legislature.è opportuno che tutte quelle circostanze trovino idonea rappresentanza, secondo i principi di democrazia e uguaglianza.

13 novembre 2023

PANNUNZIO E IL SUO "MONDO"









Ricorrono quest'anno i 55 anni dalla morte di Mario Pannunzio che forse oggi é ricordato soprattutto per la sua attività legata a "Il Mondo",il settimanale da lui fondato assieme ad altri intellettuali di grandissimo livello come Vittorio Gorresio,Ennio Flaiano,Corrado Alvaro e Vitaliano Brancati,e che diresse dall’inizio,nel febbraio 1949.E già quell'esperienza editoriale fu quasi una rivoluzione nel panorama editoriale italiano,per la svolta che egli subito sembrò dare al dibattito delle idee, alla polemica politica, allo stile giornalistico.
Le idee e le battaglie sostenute sulle pagine di quel settimanale erano del resto il riflesso del sentimento e del pensiero liberali cui Pannunzio s'era sempre ispirato.Il suo liberalismo da un punto di vista etico-morale si rifaceva a Benedetto Croce,ma si concretizzava poi nelle battaglie civili e culturali alle idee di Luigi Einaudi,di Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi,che affrontarono i più vari problemi di modernizzazione,liberalizzazione e avanzamento morale e materiale della società italiana.

In Pannunzio era forte la convinzione nella scelta occidentale ed europeista,e intransigente l'opposizione a ogni compromesso con le idee comuniste e a ogni forma post e neo fascista.In lui era anche decisa la difesa della causa laica,sia sul piano della cultura moderna,sia,più specificamente,come difesa della laicità dello Stato,anzitutto delle sue scuole,con l’occhio rivolto alla "libera Chiesa in libero Stato" di Cavour.

Ma al di là delle proprie convinzioni politiche,in Pannunzio,come in ogni vero liberale,prevaleva la sensibilità verso gli interessi generali del Paese.Un criterio difficile da perseguire in un Paese sempre aduso al clientelismo e al familismo amorale,ma reso concreto da quel principio liberale,in cui Pannunzio sempre credette,della "libertà liberatrice".La libertà,cioè,quale valore superiore e fonte di elevazione morale,culturale e politica,quando venga tradotta in prassi assidua e costante.

Queste idee vivevano sulle pagine del giornale nelle sue tante battaglie ideali,ma Pannunzio pensava che "Il Mondo" potesse essere non solo un grande organo di formazione ed opinione,ma anche il nucleo di una nuova e più forte presenza politica liberale in Italia,che si ponesse come terza forza nel duello fra "rossi" e "bianchi",che paralizzava culturalmente ed economicamente l’Italia.Perciò assecondò dapprima lo sviluppo degli "Amici del Mondo",promuovendo,fra il 1955 e il 1959 numerosi convegni,poi la formazione di un nuovo partito,quello Radicale,che però andò incontro a un cospicuo insuccesso.

Così,in quell'Italia che si avviava verso il centrosinistra, Pannunzio comprese il mutare dei tempi.In questo mutare, «Il Mondo», da giornale di avanguardia liberale in un’Italia che pure aveva bisogno di guide e di orientamento,divenne davvero sempre più quel giornale di ristrette élites che gli avversari avevano sempre imputato di essere.Esso appariva,cioé,meno proiettato verso il futuro e la ricerca del nuovo,e più volto a specchiarsi nel proprio patrimonio di idee,a sognare il suo sogno dell’ "Italia della ragione".Con gli anni il gruppo numeroso dei maggiori intellettuali e giornalisti italiani,raccoltisi intorno a Pannunzio s'era frammentato.Nel 1966 ci fu la chiusura del giornale e quasi contemporaneamente,due anni dopo,nel 1968,anche Pannunzio si spense.Quasi l’allegoria di un destino annunciato.Ma il significato e la forza delle battaglie del "Mondo" non potevano scomparire,ed infatti non sono scomparse nemmeno oggi,a 55 anni dalla morte di Pannunzio,quanto meno come memoria di un sogno che vale ancora la pena di sognare.

03 novembre 2023

NUOVI ANTISEMITISMI






Le manifestazioni e i cortei pacifisti  per una "Palestina Libera" che  in questi giorni si svolgono nelle città europee e americane,stanno diventando sempre più dimostrazioni(talora anche violente)contro Israele per i "massacri" di civili compiuti a Gaza e si avverte un crescere in tutto l'Occidente di un forte sentimento antisemita.

Queste manifestazioni c.d. "pacifiste",sembra che vogliano deliberatamente negare il carattere epocale della strage del 7 ottobre perpetrata da Hamas.Migliaia di esecuzioni di civili uccisi a sangue freddo o barbaramente trucidati,donne in cinta sventrate,bambini decapitati,intere famiglie bruciate vive.No,tutto questo non va considerato nella logica di quel sentimento antisemita.

Si manifestata invece e ancora una volta una tendenza tipica dell’Occidente:individuare nel popolo ebraico la sola e unica causa dei propri mali.L'ebreo come incarnazione del male,dello spirito perfido e predatorio del peggiore capitalismo.

Non risulta,però,che quella stessa gente che manifesta contro Israele sia mai scesa in piazza in questi mesi e in questi anni per protestare contro russi,cinesi,iraniani,per le stragi di Grozny e Aleppo,di Bucha o Mariupol perpetrate dai russi,o per le persecuzioni di cristiani o uiguri del regime cinese o per le feroci repressioni del regime degli ayatollah contro le giovani iraniane.In Occidente si protesta solo contro l’America e contro Israele,considerati quale stessa entità capitalista teleguidata dalle medesime lobby ebraiche.

Il problema quindi non è la mobilitazione contro i c.d. crimini di guerra commessi da Israele,ma é la mobilitazione a senso unico solo contro Israele.Il problema non è il diritto a indignarsi per le stragi compiute da "Tsaal" a Gaza,ma é il non manifestare contro i responsabili delle stragi islamiste,mai contro Hamas,mai contro l’Isis,contro Bin Laden,mai contro gli Ayatollah o Bashar Assad e il suo complice criminale Vladimir Putin.

Quello che é raccapricciante é che in queste manifestazioni antiebraiche si inneggi ad Hamas,come se Hamas quel 7 ottobre non avesse massacrato,violentato,bruciato,decapitato o sgozzato uomini,donne,bambini e anziani.Come se si pensasse che gli ebrei meritino di essere uccisi, torturati, stuprati,rapiti. 

E a quegli "indignati" che,mentre sfilano per la pace e la Palestina a Roma,dipingono la Stella di Davide sulle case degli ebrei o bruciano le pietre d’inciampo con i nomi dei deportati ebrei sterminati 80 anni fa nei campi di concentramento nazisti,andrebbe chiesto:perché profanare le vittime dell’Olocausto nazista mentre si marcia per la pace? La risposta a questa domanda è drammaticamente semplice:a muoverli è il drammatico ritorno nella nostra società di un forte sentimento antisemita,come ha detto lo stesso Papa Francesco.

Ma la condanna del Segretario dell'Onu,dei facoltosi studenti dell'Università di Harvard e di tutti i pacifisti d'Occidente é contro Israele,e l'appello  a cessare il fuoco é soltanto ed esclusivamente ad Israele senza richiedere ad Hamas e all’Iran il rilascio degli ostaggi e la fine del lancio di missili su Israele.

Ma chissà,forse i pacifisti,preferiscono rifiutare la società aperta,piantarla con i diritti civili e vivere in una dittatura teocratica e imperialista diversa da quella occidentale.Solo che lì per loro sarà un pò più difficile protestare,come sanno i ragazzi iraniani.