30 dicembre 2022

ADDIO PELE'




Purtroppo era una notizia che il Brasile e il mondo intero aspettavano  da giorni,e che è arrivata proprio a ridosso del Capodanno.Edson Arantes do Nascimento,"O Rey"(il Re) in arte Pelé,se ne é andato dopo un’agonia durata un mese presso il reparto oncologico dell’ospedale dove era entrato alla fine di novembre,per un tumore al colon che gli era stato asportato due anni fa.La morte di un personaggio dello spettacolo o dello sport colpisce sempre,per quella popolarità e notorietà che i palcoscenici conferiscono sempre a chi in essi agisce.Ma qui si tratta di Pelè,non di un campione qualsiasi e quindi logicamente tutto in Brasile si è fermato.I canali televisivi hanno interrotto la programmazione,molti conduttori in studio non hanno trattenuto le lacrime e sono partite tante dirette fiume dirette a raccontare la sua vita di uomo e di campione.Un lungo omaggio che ha viaggiato nei vari luoghi simboli della vita del Re,ad iniziare da Santos,la sua città e il suo club di sempre.

Quando il mondo cominciò ad accorgersi di Pelè,il calcio in tv era agli albori.Qualcosa si era cominciato a intravedere ai Mondiali svizzeri del ’54, qualcosa in più sbucò dai teleschermi in bianco e nero quattro anni più tardi,quelli che trasmettevano il Mondiale di calcio in Svezia ’58.E finì per coinvolgere tutti quanti,perché da quelle riprese d’antan,da quelle immagini sfocate e tremolanti,sbucò qualcosa di mai visto prima,di mai immaginato.Era lui,appunto.Era Edson Arantes do Nascimento,più semplicemente Pelé.E ancora gli mancavano 4 mesi a compiere diciott’anni.Certo,a quei tempi,che non erano i tempi del calcio di oggi,quelli del calcio in tv "on demand",trasmesso h24 a prezzi stratosferici,e tanto meno i tempi di internet,non era facile capire che sotto quelle fattezze di ragazzino stava germogliando il campione e il fuoriclasse.Epperò già in quei tempi dell’immediato dopoguerra c'era un qualcuno che i campioni in erba li aveva pur ammirati,segnalati e raccontati,con la sua alta professionalità giornalistica.Da Meazza a Di Stefano e Schiaffino.Era il grandissimo Gianni Brera,fuoriclasse del giornalismo,che di quel ragazzino brasiliano,di quel Pelè,così scriveva:"Ce ne vogliono molti di assi che conoscete per fare quel mostro di coordinazione,velocità, potenza,ritmo,sincronismo,scioltezza e precisione".

All'epoca Pelè era un’alternativa e una speranza,in quel formidabile Brasile degli anni '50.Era partito come riserva di Josè Altafini,a sua volta ventenne,a sua volta gran campione e che avrebbe poi deliziato gli occhi dei tifosi italiani quando venne a giocare in Italia con le maglie di Milan,Napoli e Juventus.Ma una volta entrato in campo,non ancora diciottenne,non ci furono occhi che per lui,per Pelè.Per la perfezione nella corsa,nello stacco,nel governo del pallone,nella battuta.Per un’armonia calcistica che era la cifra assoluta della sua unicità,del suo saper tradurre il calcio in arte,un arte popolare alla quale tutti potevano accedere.Già a quell’età appariva di un’altra categoria e non sfigurava accanto a due fuoriclasse come Didì e Garrincha insieme ai quali giocava nella "Selecao" brasilera.Si,perché di "O’Rey",come presto fu chiamato,non si poteva che ammirare quella stupefacente naturalezza che gli consentiva di camminare e muoversi con leggerezza su tutti  i campi di calcio che calcò.A 17 anni aveva già vinto il titolo di capocannoniere del campionato brasiliano:a nemmeno 18 trascinò per l’appunto il Brasile al primo Mondiale della sua storia.Il governo lo dichiarò "patrimonio nazionale" per impedirne il trasferimento all’estero.E forse fu questo ad impedire la creazione di una gerarchia per sempre tra i tre,tra i più grandi di tutti i tempi:perché gli altri due,Di Stefano e Maradona,in Europa vennero e con il calcio europeo si misurarono.Pelè no.Il quale dovette poi saltare quasi per intero i campionati del mondo in Cile nel '62 ed in Inghilterra nel '66,per le "attenzioni" dedicate alle sue gambe da 2-3 macellai del pallone di altre nazionali  che ne limitarono l'utilizzo in entrambe le competizioni.Ma Pelé tornò e rivinse il suo 3° mondiale a Mexico ’70,segnando 4 gol nella fase eliminatoria prima dell’indimenticabile testata in sospensione nella finale con l'Italia,quella finale che,dopo l'epica partita del 4 a 3 vinta contro la Germania ci aveva fatti sognare,ma in fondo soltanto illusi.Segnò di testa contro l'Italia,in quella finale del '70 in Messico.E per colpire di testa quel pallone,Pelé staccò a centroarea sul traversone volante di Rivelino e restò in aria prima di schiacciare in rete nonostante la marcatura del nostro Burnich.

L’anno dopo chiuse la sua epopea in Nazionale con 77 gol in 92 partite.Ha vinto tre Mondiali,come nessun altro nella storia del calcio.Ha segnato 1281 gol in 1363 partite,il 1000° su rigore,e poco importa quale fu il risultato finale di quella partita.Perchè tutti,i suoi compagni di squadra abbracciati a centrocampo ad aspettare che tirasse il rigore e gli spettatori sugli spalti e poi in una pacifica invasione di campo,erano in attesa di quella cifra tonda per esaltarne ancor di più la grandezza.Ma nemmeno i suoi primati,tutti questi suoi numeri stratosferici,rendono l’idea della felicità che ha regalato agli innamorati del gioco più bello del mondo.Ed é triste pensare che "o'Rey" se ne é andato qualche giorno dopo la conclusione degli ultimi campionati del mondo di calcio in Qatar.Perchè in Qatar di gioia di vivere il calcio proprio non ce n'era.Solo danaro,tanto danaro,sporco,oltretutto,di sangue e di diritti negati.

26 dicembre 2022

LA FORZA DELLE SOCIETA' APERTE





A guardare indietro,nei mesi e nei giorni di questo 2022 appena finito,ci si rende conto di come l’umanità sia del tutto incapace di evitare le tragedie da essa stessa causate.Siamo nel mezzo di una guerra scoppiata nel centro della civilissima Europa,con il carico delle infinite barbarie e degli inauditi crimini che Putin sta facendo.In Iran la ribellione popolare,divenuta ormai rivoluzione,vede le donne,protagoniste di quella rivoluzione,stuprate e uccise in nome di un velo liberticida.Venti di guerra tornano a soffiare tra Serbia e Kosovo e tra le due Coree,mentre la Cina volteggia come un avvoltoio su Taiwan.E se questi sono i conflitti aperti o latenti dei giorni nostri,forse ci siamo quasi dimenticati di altre immagini e altre tragedie.In Siria si combatte da 12 anni con 30 mila bambini uccisi in un genocidio senza fine.Altri 11mila bambini massacrati nello Yemen.Ed ancora dalla Nigeria al Maghreb,dal Medio Oriente al Pakistan è un susseguirsi di roghi,stupri,mutilazioni.Ed é anche il clima a pensarci(ma anche qui,ovviamente,la colpa é dell'uomo).In Somalia,per esempio,dove la siccità mette a rischio la vita di 8 milioni di persone.E l'elenco potrebbe continuare.E' come se il mondo fosse un'unica orribile e tragica Guernica dipinta in ogni angolo della Terra.

Difronte a tutto questo orrore c’è la domanda:serve ancora l’Onu?Fondata nel 1945,essa recava nella sua Carta costitutiva queste parole:"salvare le future generazioni dal flagello della guerra",dopo che questa,nel '900,aveva sconvolto per ben due volte l’Umanità.E parole altrettanto forti e chiare dettava la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.Peccato però che tutte quelle belle parole siano rimaste sulla carta,come la storia di questi quasi 80 anni di esistenza dell'ONU hanno dimostrato,con conflitti estesi in varie parti del mondo,con stragi e genocidi e pulizie etniche consumatesi dalla Cambogia al Ruanda dei Tutsi,alla stessa "civilissima" Europa con le stragi di Srebrenica.Ed oggi,nietzschenamente,la Storia ripercorre la strada del suo eterno ritorno.La Russia,dopo Georgia e la Crimea,invade l’Ucraina con la lunga,orrenda,turpe scia di sangue che sta macchiando quella Terra.

E dunque il mondo appare oggi impotente davanti alle tante tragedie che lo attraversano.Ci siamo dati le regole giuste,ma esse restano solo sulla Carta,di fatto inapplicate e financo inapplicabili.Ma allora si deve per forza continuare così?Non ci sono proprio altre e diverse strade da percorrere?

E' vero.In definitiva,il mondo dal 1945 ad oggi è andato avanti senza avere un vero Organismo regolatore della pacifica coesistenza,visto quello che l'ONU é che,ancor più,non é stata.Un'assenza grave,quasi complice,ma che,dopo il febbraio 2022 non é ulteriormente ammissibile.Da qui ne discende la necessità che l'Onu sia profondamente riformata,per perseguire l'originaria visione wilsoniana della Società delle Nazioni,dalle cui ceneri essa nacque,ridefinendo anche le procedure decisionali che sono figlie di un’epoca storica ormai tramontata.Non potrà che essere lungo il percorso da intraprendere,ma pure esso va intrapreso.Nel frattempo,però,in tempi più brevi un altro obiettivo é concretamente perseguibile.Quello,per la precisione,che,in passato George W. Bush,e oggi Joe Biden,hanno definito:"l’Alleanza delle Democrazie".E’ giunto,cioé,il tempo che le democrazie liberali si uniscano in un’organizzazione politica multilaterale,agendo in modo coordinato(come del resto hanno dimostrato di saper fare difronte all'aggressione russa all'Ucraina)tra di loro.Con il coinvolgimento primario dell'Unione Europea.Negli scorsi decenni abbiamo pensato che la globalizzazione avrebbe agito positivamente anche sull'evoluzione democratica delle autocrazie.Così non è stato.E forse non può essere così,considerata l'essenza stessa delle autocrazie.Stanno nascendo,invece,nuove sfide che mutano la geopolitica del pianeta,dal cambiamento climatico fino alle problematiche relative alle fonti di approvigionamento.Alle democrazie liberali occidentali spetta,perciò,un compito simile a quello del secondo dopoguerra:la costruzione di una società nuova,capace di interpretare le nuove esigenze derivanti da un mondo radicalmente trasformato ed ancora oggi in continua trasformazione.Una società,dunque,che non può non essere che una società aperta secondo la concezione di Karl Popper,elaboratore di questo modello politico e sociale.Una società,cioè,che dia la massima libertà di espressione all'individuo e nella quale nessuno spazio venga concesso a nessuna forma di autoritarismo e di autocrazia.

Ma per far questo le democrazie liberali mondiali devono avere la consapevolezza della forza che ha una società aperta,avendo altresì la visione e il coraggio di aprire il proprio sguardo al futuro mettendo in campo le regole della Società aperta nelle quali ogni democrazia liberale ritrova la sua ragion d'essere.

14 dicembre 2022

LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE








Sull'Iran,sul regime sanguinario degli Ayatollah,già si è scritto su questo blog in questi mesi e in questi anni.Ma difronte alle notizie che da quella Terra continuano ad arrivare,sempre quelle,sempre uguali,sempre tragiche e orribili,provi come nuova la necessità,senti forte il bisogno di scriverne ancora,perchè avverti netta e senti crescere dentro la rabbia per quello che da tanto,troppo tempo in quella splendida Terra sta accadendo.Che da più di 40 anni sta accadendo,da quando,in quell'anno 1979,Khomeini andò al potere.

Ma forse in questi giorni e in questi mesi qualcosa sta cambiando in Iran.Da 4 mesi,per la precisione,da quando,cioè,il pugno assassino del regime integralista iraniano ha schiacciato senza pietà la giovane vita di Mahsa Amini,una ragazza di soli 22 anni,ritenuta "colpevole" dalla famigerata "polizia morale",di non portare in modo "idoneo" quel velo,quell’hijab,ormai trasformato in camicia di forza dal sinedrio sanguinario degli ayatollah.In questi 4 mesi Masha é diventata il simbolo di un popolo che lotta contro le leggi assurde della teocrazia,ma anche il volto di una gioventù universale,che combatte in ogni luogo e in ogni tempo per la libertà e la modernità.Questa ragazza,con la sua morte violenta,ha ridato forza e coraggio a un’intera generazione prigioniera di quel velo,sotto il quale si nascondono leggi repressive,feroci e barbare di un regime assassino.

Dopo Masha ci sono state altre donne e altre ragazze e addirittura anche bambini,vittime della folle rabbia repressiva del regime contro le manifestazioni che ogni giorno si tengono nel Paese,i cui nomi abbiamo conosciuto dalla stampa.Altri nomi di donne,come quello di Fahimeh Karimi,insegnante e madre di tre figli,condannata a morte in attesa di giudizio per aver reagito a un arresto.O altri nomi di giovani,come quello di Moshen Shekari,già giustiziato a 23 anni,colpevole di aver bloccato il traffico,e dunque fatalmente del reato di "inimicizia contro Dio".E ancora chissà quanti degli oltre 30 mila ragazze e ragazzi e arrestati,dei 500 uccisi nelle strade o nelle carceri dai "Guardiani della Rivoluzione",che reprimono le proteste nel sangue.

L’Iran è ormai una polveriera.La ferocia delle "forze dell’ordine" non si ferma.Da 4 mesi il Paese è in rivolta,tra cortei e manifestazioni continue in 170 città e 31 regioni.Per giorni e giorni le fabbriche sono in sciopero,chiusi i centri commerciali,i bazar,caffè e ristoranti.Tutti segnali di una sollevazione popolare diffusa,che non ha precedenti se non nella Rivoluzione Khomeinista del 1979,che abbattè il bimillenario dominio imperiale persiano,costringendo lo Scià Reza Pahlavi all’esilio.E fu proprio da quell’anno che in Iran fu ripristinata la legge slamica,la Sharia con la reintroduzione della pena di morte e l’obbligo del velo per le donne.Perfino Farideh Muradkhani,nipote dell’Ayatollah Ali Khamenei,Guida Suprema dell'Iran,é stata condannata a 3 anni di carcere per aver sostenuto Mahsa.

Di fronte alla ribellione dei giovani e delle donne,il potere sciita sembra compatto,non arretra e mostra ancora di più il suo volto retrivo,intollerante,crudele,perfino contro i bambini.Eppure questo stesso potere sciita non si accorge di essere allo sbando,perché non capisce come sia possibile che le giovani donne iraniane ispirino una rivolta,che in realtà é una vera e propria contro-Rivoluzione dal basso e senza leader.Non comprende come sia possibile che le donne reclamino libertà occidentali e per questo siano pronte a morire.Che le stesse masse che negli Anni ’70 rovesciarono lo Scià oggi combattono contro gli Ayatollah,urlando tutta la loro rabbia dopo 43 anni di resistenza silenziosa all'ottusità sanguinaria del regime religioso.

La "Rivoluzione delle Donne",è impossibile da comprendere e tollerare per gli Ayatollah,proprio perché colpisce il cuore della teocrazia,che ha fatto del controllo sul corpo femminile uno dei principi fondamentali del suo dispotismo,del suo modello sociale.Per questo la protesta ora si allarga e investe fronti più vasti.Compreso proprio quello economico:l’Iran è una nazione ricca di petrolio e di gas,ha una popolazione con un tasso di istruzione elevato,ma dal 2012 patisce le sanzioni americane,ha un diffuso grado di corruzione endemica e un Pil bassissimo,rispetto alle sue ricchezze naturali.

È ovvio che quelle migliaia di ragazze che ogni giorno corrono per le vie dell'Iran,facendo volare i loro foulard,chiedono la de-islamizzazione della Repubblica,una società più aperta,laica e plurale.Ma esse incarnano i diritti di tutte le donne,e in fondo di tutti noi.Mentre in Iran cadono Mahsa e le altre,in Afghanistan il leader supremo dei talebani dispone il divieto per le donne di frequentare palestre,parchi,bagni pubblici e la fustigazione pubblica per le "adultere".Di fronte a questo scempio,l’Europa osserva,balbettando ipocrite parole di sdegno e condanne di rito,senza arrivare a una vera mobilitazione.Pesa sicuramente la realpolitik,per via degli approvigionamenti energetici e perché l’Iran è una potenza regionale ormai anche nucleare,una minaccia per Israele ed è il principale alleato di Putin al quale fornisce armi in quantità nella guerra all’Ucraina.Ma probabilmente influisce anche un certo nostro accidioso relativismo culturale e morale:quella nostra idea di Occidente come mondo di disvalori e di cultura decadente,come vorrebbe Putin e come sostengono in tanti,secondo i quali la colpa é sempre dell'Occidente.Ma qualcosa,come singoli e come collettività possiamo e dobbiamo fare.Chiedere ai governi e alle istituzioni di tutto il mondo di raccogliere e sostenere il grido di battaglia delle donne iraniane:"Zan,Zendegi,Azadi".Donne,vita,libertà.

05 dicembre 2022

LA FORZA DELLA DEMOCRAZIA




Avevano entrambi scommesso  sulle debolezze dell’Occidente,sulla fragilità delle democrazie liberali e sull’efficienza delle (loro)autocrazie. E lo avevano fatto soprattutto dopo che l'Occidente e gli USA avevano abbandonato l'Afghanistan,lasciando nelle mani dei talebani quel popolo che,venuto a contatto con la cultura e la tolleranza occidentale,aveva acquisito livelli di democrazia ed istruzione,anche femminili,straordinari per il mondo islamico.Cina e Russia avevano scommesso per dimostrare al mondo l’inferiorità strutturale delle società aperte.Ed invece quello che pensavano essere debole e decadente,ovvero l’Occidente ispirato ai valori delle democrazie liberali("L'ideale liberale é diventato obsoleto",aveva detto Vladimir Putin in una intervista al "Financial Time")ha dimostrato di essere forte,resistente,reattivo.E l’autocrazia incarnata dai modelli di Cina e Russia che loro pensavano efficiente e vincente,ha mostrato tutta la sua fragilità e debolezza.Due elefanti dai piedi di argilla,insomma.Putin immaginava di poter inghiottire l’Ucraina in 3/4 giorni facendo leva su quei rammolliti dell’Occidente.Xi Jinping,a sua volta,sperava che l’occidente potesse uscire umiliato dal calvario ucraino,che la Nato potesse uscire fiaccata dal conflitto in Europa e che l'appropriazione di Taiwan era ormai cosa fatta.Ed invece oggi lo scenario é del tutto diverso.L’occidente ha resistito a Putin,mentre l’esercito russo è sfinito dopo 10 mesi di guerra.La Nato è rinvigorita e l'economia russa è disastrata.E la Cina si trova in una condizione economica difficile da gestire,alle prese,poi,con rivolte popolari partite dall'insopportabilità per la gestione repressiva ed opprimente della pandemia,dietro la quale,però,c'è anche una richiesta di democrazia e libertà.

Si può anzi dire che questa guerra ha rinsaldato i legami tra USA ed Europa che continuano a fornire armi e addestramento ai resistenti ucraini,grazie ai quali(oltre che all'incredibile orgoglio ed eroismo di quel popolo)si può dire che la guerra iniziata da Mosca il 24 febbraio è sostanzialmente fallita.Sul terreno,il Cremlino non solo non è riuscito ad annientare lo Stato ucraino,ma ha anzi perso più del 50% del terreno inizialmente conquistato.

Sul versante diplomatico,poi,Mosca è sempre più isolata.Persino quello che sembrava il più grande alleato della Russia,il leader cinese Xi Jinping,ne ha preso le distanze quando ha definito inaccettabili le minacce di ricorso alle armi nucleari,evocate da Putin.Xi Jinping si è accorto evidentemente di quel che stava accadendo e ha cominciato a moderare i toni nei confronti dell’Occidente.Anche perché l’autocrate tecnologico di Pechino si è ritrovato con una sorpresa parecchio sgradita in casa.Le manifestazioni di questi giorni in numerose città della Cina erano del tutto inattese,inimmaginabili fino a poco tempo fa.Proteste contro la politica oppressiva e insostenibile dello "Zero-Covid",dietro le quali,però,c'è anche un diffuso sentimento di ribellione contro l’impossibilità di espressione di pensiero e parola,tipico di ogni regime comunista.Naturalmente,come sempre capita in qualsiasi regime comunista,le proteste saranno presto represse con la forza ma,anche in questo caso,i movimenti sociali sottolineano l’incapacità dell’autocrazia di correggersi e ammettere gli errori di una politica fallimentare di contrasto alla pandemia.

Putin ha peccato di tracotanza,immaginando che l’occidente si sarebbe diviso nel decidere se sostenere o no l'Ucraina,pensando di far gioco sulla necessità di approvvigionamento energetico degli europei.Ed è invece i Paesi europei si sono trovati più uniti tra loro e con gli USA.E lo stesso peccato di arroganza lo ha commesso il regime cinese scegliendo,nella gestione della pandemia,la strada pericolosa dell'autarchia scientifica,riducendo il tutto ad una scelta ideologica:rifiutarsi di acquistare dall’occidente i vaccini con tecnologia mRna,più efficaci contro il Covid rispetto ai vaccini prodotti dalla Cina (Sinovac e Sinopharm).Salvo poi dover ricorrere,appunto nuovamente a lockdown totali e generalizzati.

Russia e Cina,insomma,hanno dunque immaginato che le loro autocrazie avessero la forza di far esplodere le contraddizioni dell’occidente.Ma quello che i fatti hanno dimostrato è che un anno dopo,sia sulla pandemia sia sulla guerra,sono le società aperte ad aver mostrato quello che né Putin né Xi Jinping potranno mai ammettere:le autocrazie non sono un modello più efficace delle democrazie liberali e che anzi quando commettono errori grossi(come sul Covid)hanno loro bisogno dell'Occidente per tirarsi fuori dai guai.

La crisi ucraina e le rivolte popolari cinesi fanno dunque sperare in un cambiamento geopolitico dello scenario mondiale.Questo certo non significa che ci sarà senz'altro un mondo di pace e di prosperità garantita.Le repressioni sono continue.Le sfide alle società libere restano enormi.L’egemonia di Europa e Usa non sarà più quella di prima.Molti Paesi emergenti,dall’India all’Indonesia alla Turchia,vogliono avere una voce più forte in un ordine internazionale non più unipolare.L’anno 2022,però,ha cambiato il paradigma e ha mostrato che le autocrazie sono inefficienti.E più deboli delle democrazie.