24 marzo 2024

EINAUDI, OGGI COME IERI






150 anni fa,il 24 marzo 1874,nasceva Luigi Einaudi,professore universitario di economia,giornalista(scrisse per "La Stampa","Il Corriere della Sera",l'"Economist")Governatore della Banca d'Italia,autorevolissimo uomo delle istituzioni,fino a diventare  primo Presidente della Repubblica(pur essendo stato monarchico)e soprattutto uno dei più grandi liberali italiani di sempre.
150 anni eppur così "giovane".Giovane perchè ancor oggi così attuale è il pensiero di Luigi Einaudi.
Ad attestare l'attualità di Einaudi,la vitalità del suo pensiero basterebbe chiedersi cosa potrebbe dire e scrivere oggi, in una situazione che pare rimettere in discussione molte delle sue convinzioni e dei suoi insegnamenti.E proprio tornando a sfogliare le pagine dei suoi scritti(famosissime le sue "Prediche inutili" o "Lo scrittoio del Presidente"),scopriremmo quanto Einaudi possa aiutarci a capire i travagli che oggi minacciano le condizioni della libertà, le prospettive del mondo aperto, l’idea stessa della democrazia,le sorti dell’Europa,posta difronte a nuovi drammatici scenari come la guerra in Ucraina e a Gaza.

Difronte alle attuali cose del nostro Paese,alla miseria dell'odierna classe politica italiana,l'Einaudi politico,economista e giornalista,non farebbe sconti a nessuno:non di certo a chi si professa democratico e liberale,essendo in realtà profondamente illiberale;non ai no vax antiscientifici,o agli antipatizzanti del mercato,visto come il male supremo;nè ai neo-statalisti di destra e di sinistra,e figuriamoci ai nazionalpopulisti ed euro-scettici oggi al governo in Italia e in Europa.

Einaudi vedeva la libertà come vero e proprio «fatto morale».A chi criticava il liberismo e il mercato come male assoluto,Einaudi rispondeva che non c'è libertà senza vincoli morali: per lui, la libertà,sia in politica che in economia,non può mai trasformarsi in lotta prevaricatrice e non distrugge l’etica,ma,anzi,è proprio essa che costruisce moralità:libertà di perseguire i propri ideali e il proprio disegno di vita,di non essere oppresso dalle pastoie della burocrazia,dai ricatti del clientelismo,e,al contrario,aver la possibilità di esplicare le proprie capacità,anche con assunzione di rischi,come scelta di vita:una visione morale basata sull'intelligenza dell'individuo,sulla sua operosità,rispettando idee e beni altrui,con l'assoluto rifiuto di ogni odio sociale.

Questa visione etica del mercato si ritrova nella famosa e bellissima metafora della "fiera di campagna" elaborata da Einaudi.La fiera,egli scriveva,non può funzionare senza "il cappello a due punte della coppia dei carabinieri,la divisa della guardia municipale, il palazzo del municipio, il notaio, l’avvocato, il parroco",ossia senza regole,istituzioni e princìpi morali.

Sotto questo aspetto,allora,Einaudi non accetterebbe mai certe forme del moderno capitalismo,che di liberale hanno poco o niente:perchè non è liberale e perciò morale un capitalismo intento solo a difendere posizioni acquisite,privilegi oligopolistici e intrecciare occulte collusioni con la politica.Come del resto attaccherebbe la protezione accordata dai Governi a corporazioni e interessi privati per creare privilegi e illeciti benefici(le vicende dei nostri giorni sulle concessioni dei balneari e dei tassisti ne sono il classico esempio).

Secondo questa visione morale dell'iniziativa privata,Einaudi si opponeva all'intervento dello Stato,ma non per scarsa attenzione ai problemi sociali,anzi.Al contrario,diceva Einaudi,il modello liberale riserva allo stato  un posto importante("Lo stato non deve stare con le mani in mano",egli scriveva)ma non deve intervenire per dirigere direttamente l’economia(fonte di corruzione politica per ottenere che lo Stato si interessi di tutto, per favorire pochi,deresponsabilizzando il cittadino.Lo Stato deve invece intervenire per garantire la competizione e l'iniziativa che sono le condizioni per spingere verso l'alto l’ascensore sociale dei ceti meno abbienti e garantire una società più equa.

A quei tanti giullari che raccontano astruse storie di fallimento della democrazia liberale e del modello di rappresentanza parlamentare,occorrerebbe ricordare il pensiero di Einaudi sulla necessità di porre limiti costituzionali al predominio delle maggioranze numeriche,che hanno sì il dovere di governare ma non imporsi ad ogni costo escludendo la collaborazione con le opposizioni(non basta aver vinto le elezioni come oggi alcuni sostengono).Per il liberale Einaudi,cioè, sono insostituibili la garanzia di una società aperta e plurale e quindi il dibattito e il confronto, nonché le procedure per garantirli:ogni altra scorciatoia violenta e intollerante,il rifiuto delle competenze e della conoscenza possono solo sfociare nel successo dei demagoghi(nelle italiche terre ne sono apparsi già diversi esemplari).

Oggi,in un tempo nel quale il populismo e il nazionalismo rialzano la testa ricomparendo sotto le sembianze di Orban o Trump,di Salvini,Meloni e Le Pen,valgono ancora quelle parole pronunciate da Einaudi alla Costituente, ossia "che il nemico numero uno della civiltà(....)è il mito della sovranità assoluta degli stati".Per Einaudi,cioè,erano stati proprio i sovranismi,nelle loro forme estreme,a portare agli orrori della guerra.E,a proposito di guerra e pace e di certi presunti pacifisti nostrani che si aggirano per le piazze fisiche e mediatiche italiane,non si può non richiamare ancora il pensiero einaudiano:«Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace(....)chiediamo: volete voi conservare la piena sovranità dello Stato nel quale vivete? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace. Siete invece decisi a dare il vostro appoggio soltanto a chi prometta di (cedere)una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa,voi potrete veramente,ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna».

Da queste parole appare l'altra grande battaglia einaudiana:la costruzione di una Federazione di Stati europei,gli Stati Uniti d'Europa,fondata non solo e non tanto su ragioni di ordine economico,ma anzitutto di natura politica e culturale.Furono queste motivazioni,nonchè l'appassionata lettura degli scritti di Einaudi ad ispirare il suo allievo Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nella redazione  di quello che è una pietra miliare della casa comune europea e cioè il "Manifesto di Ventotene".(Sopra la famosa foto che ritrae insieme i tre grandi pensatori antifascisti).

Giusto 70 anni fa,nel 1954,così Luigi Einaudi scriveva:“La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli stati esistenti sono polvere senza sostanza […]. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’essere uniti o scomparire […]”. Un pensiero, quello di Einaudi, che mai come oggi risulta di amara e preoccupante attualità.

15 marzo 2024

ELOGIO DELLA SEMPLICITA'






A tutta prima "Perfect days",l'ultimo film del regista cinematografico tedesco Wim Wenders,potrebbe apparire una riedizione di un film muto,tanto è il tempo durante il quale il protagonista(un'ottimo Kōji Yakusho,uno dei più importanti attori giapponesi)non parla,lasciando alle sue articolazioni facciali l'interpretazione dei suoi stati d'animo.

Hirayama(il protagonista,interpretato appunto da Kōji Yakusho)abita da solo in una piccola,ordinatissima casa:le sue giornate cominciano senza alcun bisogno della sveglia:ha una specie di orologio biologico,che va molto meglio di qualsiasi apparecchio tecnologico.La sua giornata segue un ordine preciso:mette a posto il materasso srotolato(futon)lava faccia e denti,dà una sistemata a barba e baffi.Passa poi a innaaffiare le piantine con uno spruzzino.Indossa la tuta per andare a lavoro,con la scritta The Tokyo Toilet,che già ci fa capire che il suo lavoro è quello della pulizia dei bagni pubblici.
Appena uscito fuori di casa Hirayama guarda il cielo con un sorriso e poi alla macchinetta per il solito caffè in lattina,e,salito sul furgone,va verso il primo bagno da pulire.

Nel guidare ascolta sempre musica rock,sempre rigorosamente sulle musicassette di una volta,sia essa quella di Patti Smith("Redondo Beach")


o Lou Reed,“Perfect Days”,brano facente parte dell’album “Transformer” prodotto da David Bowie e Mick Ronson cui sembra ispirarsi il titolo del film


oppure ancora “(Sittin’ On) The Dock of the Bay” di Otis Redding



Hirayama svolge il suo lavoro di pulizia delle toilettes con uno zelo e con una cura tale che forse la maggior parte di noi non riserva nemmeno ai bagni di casa propria.All'ora di pranzo,nell'intervallo di lavoro,mangia un sandwich in un parco, ammirando gli alberi,le loro cime ondeggianti e fruscianti al vento e ogni tanto le fotografa con una compatta analogica.
Alla fine del giro di pulizie compie, ancora una volta, sempre gli stessi gesti:torna a casa, si lava in un bagno pubblico, fa tappa nel solito locale e prima di andare a dormire legge un libro(di Faulkner nel momento del film,poi va a letto, sogna,e il giorno dopo è replica.

Perfect Days non è solo l’ultimo film di Wim Wenders:a detta di molta parte della critica è tra i suoi più riusciti.E' anche un omaggio alla cultura e alla società giapponese per quello straordinario senso del lavoro che vengono raccontatati attraverso le giornate, tutte identiche fra loro, di un addetto alle pulizie che, immerso in una Tokyo sovrastata dalla modernità, si ritaglia uno spazio tutto suo, privo di tecnologia, fatto di musicassette, libri tascabili e fotografia analogica.
E proprio la semplicità è la cifra stilistica del film.Quella semplicità che viene analizzata come un approccio alla vita di tutti i giorni, in netto contrasto con la normalità che Hirayama, personaggio principale del film, vede intorno a sé.

Nel film il relazionamento con il mondo "di fuori",il paragone con le vite degli altri è dato dagli incontri che Hirayama fa ogni giorno,ad esempio con quello del suo aiutante più giovane, Takashi, o quello di sua nipote Niko, due ragazzi che nonostante siano totalmente distanti dal modo di vivere di Hirayama, ne rimangono affascinati, al contrario di sua sorella, scettica e distante,che vive una vita agiata(arriva a casa del fratello a riprendersi la figlia Niko con un auto di lusso con autista).Nei pochi minuti di colloquio tra fratello e sorella si capisce la vita "di prima" del fratello, lasciandone intendere le origini ricche di famiglia.

Il filo conduttore del film è la ricerca,da parte di Wenders,del senso della vita e quella tranquilla routine della vita del protagonista sembra essere la proposta di soluzione reso efficacemente dal coinvolgimento affettivo con il protagonista che cresce via via durante del film.E questo coinvolgimento emotivo è possibile grazie alla splendida interpretazione di Koji Yakusho, star del cinema giapponese,vincitore del premio come miglior attore al Festival di Cannes,dove "Perfect Days" è stato presentato.

Non è un casuale il rimando a tutto ciò che è analogico,come le musicassetta,la fotografia in pellicola, e tutta l’assenza di tecnologia rallenta i ritmi di vita del protagonista,guardandosi bene dal prendere in mano uno smartphone.Tutto ciò,alla fine,appare  appare come una critica non certo velata,ma del tutto voluta,alla modernità,e le altre persone, che sono sì al passo con i tempi ma così tremendamente superficiali.

Il finale pone un grande quesito:ma alla fine, Hirayama è felice o no della sua vita ? Questa,forse,però sembra essere una trovata di Wenders:lasciare spazio all’interpretazione degli spettatori, che magari sceglieranno di non seguire l’esempio del protagonista, ma saranno obbligati ad una riflessione.Perchè il film insegna la bellezza delle piccole cose,in una vita senza ogni cosa superflua.


P.S. = il film mi ha fatto venire alla mente una canzone dei "Matia Bazar" di qualche anno dedicata proprio alla felicità derivante dal valore dato alle piccole cose.

13 marzo 2024

LO "SCANDALOSO" BASAGLIA

 







L’11 marzo 2024 è stato il giorno centenario della nascita di Franco Basaglia,lo psichiatra al cui nome è legato il superamento definitivo dei manicomi in Italia con la legge 180/78 che da lui prese il nome.Franco Basaglia è considerato il fondatore del concetto moderno di salute mentale e ancora oggi le sue teorie hanno un forte peso in ambito psichiatrico. Restituì dignità alla malattia mentale, non considerando il paziente come un oggetto da aggiustare,ma come Persona(con la maiuscola)da accogliere,ascoltare,comprendere e aiutare,non da recludere o da nascondere,come qualcosa di cui vergognarsi.Perchè,diceva Basaglia,"a ben guardare,nessuno di noi,visto da vicino risulta poi essere normale".

Basaglia nacque 100 anni fa a Venezia,e quando è morto,presto,troppo presto,nel 1980,quella legge era appena nata e non ancora in funzione e i manicomi c'erano ancora ed erano identici a prima e solo molto lentamente si avviò il percorso che li avrebbe portati all’abolizione.Un percorso lungo,lunghissimo,quello della applicazione della Basaglia, che secondo alcuni ancora oggi viene continuamente tradita dalle istituzioni a causa della incompleta applicazione,della progressiva erosione del Sistema Sanitario Nazionale con la cronica mancanza di fondi che investe la sanità pubblica in generale e i malati psichiatrici in particolare.Eppure quella legge aveva uno scopo alto e nobile:(ri)dare dignità all'essere umano che nelle strutture manicominiali veniva completamente soppressa e offesa.Il manicomio era un enorme "letamaio" con quelle tecniche di costrizione che erano allora piena normalità:camicie di forza e letti di contenzione,terapie a base di elettroshock e insulina,ambienti malsani,sudiciume,denutrizione dei malati trattati come reietti e scarti di vita.
Era allora fondamentale raccontare quell’orrore del manicomio e per questo Basaglia invitò giornalisti, fotografi, artisti e registi negli ospedali che diresse per far accendere le luci sulle mostruosità di quel mondo.Tra le altre resta ancora oggi famoso il reportage mandato in onda dalla Rai,dal titolo "I giardini di Abele" in cui Sergio Zavoli mostrò per la prima volta l'interno del manicomio di Gorizia a migliaia di italiani,intervistando gli internati nel parco dell'ospedale.L'impatto fu enorme.

Si può dire che Franco Basaglia fu una figura scandalosa,nel senso pasoliniano del termine.Lo scandalo fu nel fatto che la denuncia dei manicomi suscitò un senso di colpa negli italiani,perchè quei pregiudizi e quella richiesta securitaria richiesta dai "sani" nei confronti dei "matti",aveva comportato una violenza segregante,tanto da far paragonare i manicomi ai Lager dell’epoca nazista.

"Scandaloso",ma anche di una ampiezza di vedute civile e umana unica,capace di sovvertire le più inveterate regole e convinzioni di quella società italiana divenuta così sclerotizzata.La sua idea non era,come falsamente gli veniva attribuito,quella di negare l'esistenza della follia:egli sosteneva,invece,che quella malattia era in realtà il frutto di una società ingiusta, repressiva, disumana,e che anche la malattia è conseguenza dell’ingiustizia sociale e delle disuguaglianze.Perchè,oggi come ieri,la malattia psichica,ancor più di altre malattie, è un disagio classista, e solo le famiglie più abbienti e culturalmente meglio attrezzate possono avere cure migliori in strutture adeguate, mentre in mancanza di un Servizio sanitario pubblico, le persone più fragili,come i poveri,gli emarginati,i socialmente fragili,i migranti, finiscono spesso in strada, in condizioni di abbandono.

Per Basaglia il malato non è la sua malattia. È un individuo, con il suo carico di sofferenza e anche con il suo male, ma non è solo quello ed era dell'individuo che egli voleva interessarsi.Nel reportage di Zavoli ad una specifica domanda del giornalista,Basaglia rispose che a lui interessava la persona, più che la malattia.E forse per lui il riconoscimento più bello fu quella poesia che Alda Merini,che aveva conosciuto la sofferenza dei manicomi,gli dedicò,quasi come un ringraziamento:

 

Franco Basaglia fu infatti proprio questo per le persone che vissero negli ospedali psichiatrici: l’eterno soccorritore, colui che seppe dare un nuovo nome a ciò che allora era definito “malattia”.Lo sguardo dello psichiatra che sa osservare in modo nuovo i pazienti e sa riconoscere e dare un senso a ciò che fino ad allora era stato considerato assurdo e malato.Con le sue idee e il suo lavoro quotidiano Basaglia ha modificato la storia della psichiatria,riuscendo a cancellare l'equivalenza delle parole malato e reo,degente e recluso.

Eppure la riforma Basaglia fu contestata fin dall’inizio anche nel mondo della psichiatria.Uno dei più critici fu Mario Tobino,psichiatra oltre che scrittore(vinse anche il Premio Campiello nel 1972)che dedicò anch'egli tutta la vita alla cura dei malati,raccontando la sua esperienza professionale in due libri bellissimi,"Le donne libere di Magliano" e "Per le antiche scale"



Tobino paventava quello che poi effettivamente spesso accade ancora oggi, ovvero che il malato psichiatrico grave venisse abbandonato a se stesso e che il dolore e la fatica di gestirlo ricadesse solo sulle famiglie, che non hanno strumenti, risorse economiche e cultura medica per affrontare questa malattia.

Ma non si può dire che quello di Basaglia sia stato solo un sogno.Fino ad allora la psichiatria dava esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità,al vissuto, ai sentimenti del  singolo individuo.Con Basaglia la sofferenza psichica viene vista come l'esperienza umana di un individuo,straziato dall’angoscia e dal dolore, dalla solitudine e dall’isolamento,che non ha tanto bisogno di psicofarmaci, ma soprattutto,di ascolto e di dialogo,di accoglienza e di gentilezza.

In Basaglia non è stata prevalente l'attenzione alla malattia,ma la rivalutazione del senso della sofferenza, che è parte della condizione umana.Ed è proprio perciò che questi sono valori che non valgono solo nella cura della follia,ma che dovremmo saper riconoscere nella nostre vite,non solo in quelle segnate dalla sofferenza psichiatrica.

E' questa,alla fine,l'eredità che lascia Basaglia:un invito alla solidarietà e alla comunione di ideali, che siano di aiuto alla sofferenza di tante persone che non vanno viste con indifferenza, o,come spesso accade,con paura e diffidenza. Sono sorelle e fratelli che soffrono della loro condizione dolorosa di vita, ma anche della solitudine, in cui sono ancora oggi immerse. Se le incontriamo nella vita,dobbiamo esser loro di aiuto.Perchè forse basterebbe offrire a tutto quel popolo sofferente,quei sentimenti che Basaglia ha dato loro e che quella gente non aveva mai conosciuto: libertà e dignità, gentilezza e mitezza, tenerezza e ascolto, dialogo e umanità.Sarebbe utile a "loro",farebbe così tanto bene a noi.

07 marzo 2024

"SEMPLICEMENTE" LIBERALE

 




Sono tanti i punti dai quali partire per ricordare Antonio Martino,morto in quella mattina d'inizio marzo di 2 anni fa.Si potrebbe dire,per esempio che era figlio di Gaetano Martino che fu uno dei protagonisti del rilancio europeo a metà degli anni cinquanta,e che,come Ministro degli affari esteri fu il promotore della Conferenza di Messina,tenutasi nel giugno 1955,a cui parteciparono i ministri degli Esteri della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) ed a seguito della quale cominciò la procedura che sboccò nella firma a Roma,il 25 marzo 1957 dei Trattati istitutivi della Comunità Economica Europea(CEE). 

Antonio Martino fu sempre orgoglioso dell’impegno politico ed europeista di suo padre,nell'ambito di quella scuola liberale nella quale tutta la sua famiglia si era formata,a cominciare dal nonno, Antonino,per quattro volte sindaco liberale di Messina tra il 1900 e il 1919.Eppure Martino negli ultimi anni venne assumendo un forte scetticismo nei confronti di alcune politiche europee,frutto della constatazione di una forte distanza dell’attuale Unione Europea dai valori dei padri fondatori,e di un’eccessiva burocratizzazione che limitava le libertà dei cittadini,che rischiava di disperdere la ricchezza delle peculiarità delle culture degli stati membri,senza,ovviamente,che questo potesse concedere nulla a posizioni sovraniste.

Antonio Martino fu professore universitario di Economia,della sua "amata" economia,nella quale si specializzò a Chicago,dove fu allievo e poi grande amico di Milton Friedman,Premio Nobel per l'economia,uno dei più noti economisti del mondo.Martino abbracciò la politica libertaria e il liberismo radicale di Milton Friedman che,in contrapposizione alle teorie keynesiane,sosteneva le idee del capitalismo,del liberismo e della libertà economica e di come l’intervento pubblico potesse erodere i diritti della persona e della libertà. 



Il suo sentirsi liberale,lo portò del tutto naturalmente a fare politica nel PLI(partito del quale il padre fu presidente)e quando "Mani Pulite" spazzò via i partiti della prima repubblica,aderì a Forza Italia,sperando di trovarvi la realizzazione del suo progetto liberale.Di Berlusconi fu uno dei consiglieri più rispettati e ascoltati,tanto che fu sua la tessera numero 2 di Forza Italia,dopo quella del Cavaliere.Per Forza Italia fu prima ministro degli Esteri(quello già ricoperto dal padre)e poi della Difesa.Negli ultimi anni,però,Martino si allontanò da Forza Italia,perchè deluso dalla mancata rivoluzione liberale proclamata da Berlusconi,perchè lui,che liberale lo era davvero,non poteva ammettere quei compromessi e quelle rinunce che Berlusconi negli anni fece agli interessi corporativi e alle grandi lobbies industriali ed economiche italiane.

Ma sicuramente il modo migliore di ricordare Antonio Martino è la sua stessa autodefinizione:” Semplicemente liberale”,così come intitolò uno dei suoi libri.

Ma qual'era il liberalismo di Antonio Martino,nel contesto del liberalismo nel nostro tempo? L’espressione liberale è spesso abusata,identificata generalmente e "semplicemente" con il sistema dei valori delle democrazie europee e occidentali.Ma in realtà il liberalismo è molto di più.Il liberalismo mantiene una sua ricchezza culturale  anche in un tempo come il nostro,caratterizzato dalla crescente interazione uomo-macchina che fa crescere l’esigenza di una visione che rimetta al centro la concezione dell'individuo e la dimensione umana.Anzi,proprio la rivoluzione digitale e la globalizzazione economica e sociale impongono nuovi modelli e nuove visioni del mondo del lavoro e del modo di fare impresa,con una differente sensibilità per l’iniziativa privata.

In tale contesto Martino non ebbe quell'approccio "liberista" che pure gli fu contestato nello stesso PLI.Egli,infatti,andava oltre la storica disputa crociana-einaudiana tra liberalismo e liberismo.Martino affermava che libertà civili e libertà economiche sono strettamente collegate e celebre era l’esempio del passaporto  che egli proponeva.Io posso avere i quattrini per espatriare ma se non ho il passaporto non ho la libertà civile per farlo.E dunque quella libertà economica a nulla serve se non ho la libertà civile.Ed al contrario se ho il passaporto ma non ho i quattrini per poter andare all’estero ho una libertà civile che non ha un contenuto economico e quindi le due libertà non combaciando non ci portano a casa la libertà.

Il suo liberalismo dunque era  in lui profondamente radicato,assimilabile quasi a un credo religioso,che lo spinse a pronunciare,con la sua solita ironia,la frase:il Padreterno è il più grande liberale della storia,in quanto ha lasciato all’uomo la libertà di scegliere il peccato o la virtù e ogni religione si basa su questa libertà di scelta che è l’essenza del liberalismo.

A due anni dalla scomparsa e nonostante i suoi scetticismi verso una "certa" Europa,non si può non ricordarlo proprio per la sua prospettiva europeista,quella vera,quella originaria,quella del padre a dirla più semplicemente.Una prospettiva liberale di respiro internazionale che parte dalla sua Messina, in quel Mezzogiorno d’Italia troppo spesso accostato a logiche clientelari e assistenziali.

Oggi,alla fine del quarto di secolo del nuovo millennio,non va persa l’occasione di una quarta rivoluzione industriale verso la costruzione di un nuovo tessuto produttivo,con la contemporanea tutela economica e sociale di tutti i soggetti che in quel contesto agiscono e producono.

Allo stesso modo l’Europa del 3° millennio deve tesaurizzare le riflessioni critiche di un “europeista euroscettico”,come Martino si autodefiniva,che mise sempre al centro il valore della libertà e il principio della libera circolazione da cui derivano tutti i progressi e le conquiste in termini di diritti e opportunità per i cittadini dell’UE.Un ritorno allo spirito originario europeo,lo spirito di Gaetano Martino,cioè,per rilanciare la costruzione della casa comune europea.

03 marzo 2024

NEMMENO LA MORTE GLI BASTAVA









Ed infine,dopo 10 giorni dalla morte,la salma di Aleksej Navalny è stata consegnata alla sua famiglia.E se ciò è stato possibile è stato soprattutto per il disperato coraggio di quella donna,Ludmilla,la madre di Aleksej,che sfidando le minacce del regime è riuscita a farsi ridare quel corpo,facendo ricordare a molti Re Priamo che richiese il corpo di suo figlio Ettore ad Achille  che quest'ultimo aveva ucciso.

Ma proprio questo fatto sottolinea quale sia l’importanza del corpo come significato e simbolo di una lotta politica.Anche Marco Pannella,ad esempio,sacrificando il proprio corpo con i suoi scioperi della fame,diede visibilità,in un epoca dominata dalle ideologie,alle sue battaglie sul divorzio,l'aborto,i diritti degli omosessuali,la fame nel mondo e il fine vita.

Navalny era uomo di bella presenza,il viso espressivo,aveva una grande padronanza dei meccanismi della Rete attraverso la quale riusciva a portare avanti la propria battaglia con la denuncia del regime corrotto e violento di Putin.Egli infatti aveva compreso che oggi è la Rete che con l'immagine,il corpo e la raffigurazione delle cose riesce a dar forza parole e idee.

Ed è stato proprio il passaggio online, prima con un blog e poi su Twitter,Facebook,Instagram e le inchieste pubblicate su YouTube,a rendere l’attivista Navalny un fenomeno di massa,l'icona dell’opposizione a Vladimir Putin, capace di parlare a settori diversi della società russa.

Successivamente le fotografie di Navalny in piazza tra i suoi sostenitori aumentarono enormemente la sua esposizione mediatica,riuscendo così a coinvolgere tanta gente,nonostante il terrore imposto da Putin,capovolgendo anzi proprio sul suo sistema autoritario tutto il fango e le infamità dei media ufficiali e delle autorità del regime russo,irritate prima,inferocite poi da questa capacità mediatica.

In tutti questi anni Vladimir Putin non ha mai fatto il nome di Alexey Navalny, anche quando quest'ultimo ha reso evidente la corruzione del regime,nè,tantomeno,dopo l’avvelenamento subito.Lo zar del Cremlino pensava così di ridurre la sua figura a qualcosa di trascurabile,insignificante,irrilevante per lui che non aveva tempo per un cittadino qualunque,lui che parlava con i leader mondiali.“Chi ha bisogno di lui?”,rispose Putin sprezzantemente una volta a una domanda di un giornalista.

Ed invece è stata proprio quell’immagine di cittadino qualunque a far guadagnare autorevolezza morale a Navalny,che prima dell’avvelenamento si muoveva appunto come cittadino qualsiasi,andava in metro e a fare anche la spesa.

Così,l’essere stato una presenza impossibile da piegare, indisponibile al compromesso,ha reso possibile veder protestare in quelle manifestazioni di piazza uomini e donne, spesso molto giovani, di orientamento diverso, perché tutte vedevano in Navalny una possibilità di poter esprimere la propria contrarietà e ha reso la sua figura un catalizzatore, un punto di riferimento per tanti.

Ecco perchè il corpo è stato restituito solo dopo 10 giorni.Il regime vedeva con terrore nel corpo di Navalny morto ancora una minaccia,temeva che anche da morto Navalny potesse(come poi difatti è avvenuto alla celebrazione dei funerali)dar voce alla contestazione e al dissenso:perchè per i regimi dispotici anche i corpi senza vita possono essere testimonianze dell’ingiustizia e segnali di ostinata sopravvivenza di tutto ciò che l’esercizio della forza bruta del potere pure non riesce a sopprimere.Così Navalny anche da morto è restato ciò che era stato da vivo,cioè simbolo di una battaglia per la libertà.

Il regime temeva che il silenzio imposto con la morte a quel corpo non poteva bastare per sopprimerne anche le idee.Ed allora la strategia voleva essere l'occultamento.E,tuttavia quello stesso corpo è sfuggito a ogni tentativo di nascondimento e le idee che quel corpo aveva con grande coraggio sempre espresso,contro quel regime corrotto,violento e brutale continuano ad esserci.

Il corpo è la sede più intima della persona umana e il fondamento della sua dignità e,di conseguenza,fonte dei diritti fondamentali dell’individuo.Ma il tiranno,anche se usa i metodi più brutali non potrà mai sopprimere quella cosa immensa che è la grandezza della soggettività umana.E così anche Vladimir Putin,dopo aver fatto uccidere Navalny(così come già aveva fatto con Anna Politkovskaja)ne ha negato il corpo per più di una settimana,tentando di controllare la salma del suo principale oppositore, al fine di far tacere anche quel cadavere capace di rivelare l’impotenza della dittatura nei confronti dell’estrema vitalità di un corpo morto.

Ma alla fine Putin si è dovuto arrendere:ha restituito il corpo ai suoi cari che hanno potuto celebrarne il funerale.Doveva essere un funerale "nascosto",lontano dagli occhi della gente e delle tv.Eppure Alexey Navalny,chiuso nella bara è riuscito nel suo ultimo miracolo: mostrare al mondo l'altra Russia, quella che dice e vuole il contrario di quello che dice e vuole Putin.La Russia fuorilegge, quella che non si vede perchè repressa con la forza della polizia è accorsa a quel funerale e si è stretta attorno all'uomo che aveva dato speranze.Forse sembrerà solo una rivincita,amara e insignificante,eppure è stato qualcosa di sensazionale vedere quelle migliaia e migliaia di persone che sfidando la polizia, le telecamere con riconoscimento facciale e il rischio della prigione,hanno ritenuto loro obbligo morale andare a porgere l'estremo saluto all'uomo che lottò anche per loro.

Così i funerali di quell'uomo morto son divenuti momento di libertà, in cui è venuta meno anche la paura,e in tanti hanno scandito le parole di Navalny:"L'amore è più forte della paura" e "La Russia sarà libera",anche se adesso nel buio di questi giorni russi tutto questo appare come un sogno impossibile.