Difronte alle attuali cose del nostro Paese,alla miseria dell'odierna classe politica italiana,l'Einaudi politico,economista e giornalista,non farebbe sconti a nessuno:non di certo a chi si professa democratico e liberale,essendo in realtà profondamente illiberale;non ai no vax antiscientifici,o agli antipatizzanti del mercato,visto come il male supremo;nè ai neo-statalisti di destra e di sinistra,e figuriamoci ai nazionalpopulisti ed euro-scettici oggi al governo in Italia e in Europa.
Einaudi vedeva la libertà come vero e proprio «fatto morale».A chi criticava il liberismo e il mercato come male assoluto,Einaudi rispondeva che non c'è libertà senza vincoli morali: per lui, la libertà,sia in politica che in economia,non può mai trasformarsi in lotta prevaricatrice e non distrugge l’etica,ma,anzi,è proprio essa che costruisce moralità:libertà di perseguire i propri ideali e il proprio disegno di vita,di non essere oppresso dalle pastoie della burocrazia,dai ricatti del clientelismo,e,al contrario,aver la possibilità di esplicare le proprie capacità,anche con assunzione di rischi,come scelta di vita:una visione morale basata sull'intelligenza dell'individuo,sulla sua operosità,rispettando idee e beni altrui,con l'assoluto rifiuto di ogni odio sociale.
Questa visione etica del mercato si ritrova nella famosa e bellissima metafora della "fiera di campagna" elaborata da Einaudi.La fiera,egli scriveva,non può funzionare senza "il cappello a due punte della coppia dei carabinieri,la divisa della guardia municipale, il palazzo del municipio, il notaio, l’avvocato, il parroco",ossia senza regole,istituzioni e princìpi morali.
Sotto questo aspetto,allora,Einaudi non accetterebbe mai certe forme del moderno capitalismo,che di liberale hanno poco o niente:perchè non è liberale e perciò morale un capitalismo intento solo a difendere posizioni acquisite,privilegi oligopolistici e intrecciare occulte collusioni con la politica.Come del resto attaccherebbe la protezione accordata dai Governi a corporazioni e interessi privati per creare privilegi e illeciti benefici(le vicende dei nostri giorni sulle concessioni dei balneari e dei tassisti ne sono il classico esempio).
Secondo questa visione morale dell'iniziativa privata,Einaudi si opponeva all'intervento dello Stato,ma non per scarsa attenzione ai problemi sociali,anzi.Al contrario,diceva Einaudi,il modello liberale riserva allo stato un posto importante("Lo stato non deve stare con le mani in mano",egli scriveva)ma non deve intervenire per dirigere direttamente l’economia(fonte di corruzione politica per ottenere che lo Stato si interessi di tutto, per favorire pochi,deresponsabilizzando il cittadino.Lo Stato deve invece intervenire per garantire la competizione e l'iniziativa che sono le condizioni per spingere verso l'alto l’ascensore sociale dei ceti meno abbienti e garantire una società più equa.
A quei tanti giullari che raccontano astruse storie di fallimento della democrazia liberale e del modello di rappresentanza parlamentare,occorrerebbe ricordare il pensiero di Einaudi sulla necessità di porre limiti costituzionali al predominio delle maggioranze numeriche,che hanno sì il dovere di governare ma non imporsi ad ogni costo escludendo la collaborazione con le opposizioni(non basta aver vinto le elezioni come oggi alcuni sostengono).Per il liberale Einaudi,cioè, sono insostituibili la garanzia di una società aperta e plurale e quindi il dibattito e il confronto, nonché le procedure per garantirli:ogni altra scorciatoia violenta e intollerante,il rifiuto delle competenze e della conoscenza possono solo sfociare nel successo dei demagoghi(nelle italiche terre ne sono apparsi già diversi esemplari).
Oggi,in un tempo nel quale il populismo e il nazionalismo rialzano la testa ricomparendo sotto le sembianze di Orban o Trump,di Salvini,Meloni e Le Pen,valgono ancora quelle parole pronunciate da Einaudi alla Costituente, ossia "che il nemico numero uno della civiltà(....)è il mito della sovranità assoluta degli stati".Per Einaudi,cioè,erano stati proprio i sovranismi,nelle loro forme estreme,a portare agli orrori della guerra.E,a proposito di guerra e pace e di certi presunti pacifisti nostrani che si aggirano per le piazze fisiche e mediatiche italiane,non si può non richiamare ancora il pensiero einaudiano:«Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace(....)chiediamo: volete voi conservare la piena sovranità dello Stato nel quale vivete? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace. Siete invece decisi a dare il vostro appoggio soltanto a chi prometta di (cedere)una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa,voi potrete veramente,ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna».
Da queste parole appare l'altra grande battaglia einaudiana:la costruzione di una Federazione di Stati europei,gli Stati Uniti d'Europa,fondata non solo e non tanto su ragioni di ordine economico,ma anzitutto di natura politica e culturale.Furono queste motivazioni,nonchè l'appassionata lettura degli scritti di Einaudi ad ispirare il suo allievo Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nella redazione di quello che è una pietra miliare della casa comune europea e cioè il "Manifesto di Ventotene".(Sopra la famosa foto che ritrae insieme i tre grandi pensatori antifascisti).
Giusto 70 anni fa,nel 1954,così Luigi Einaudi scriveva:“La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli stati esistenti sono polvere senza sostanza […]. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’essere uniti o scomparire […]”. Un pensiero, quello di Einaudi, che mai come oggi risulta di amara e preoccupante attualità.