Avevo circa 9-10 anni quando la Juve mi "prese",come ancora oggi mi prende.A differenza di tante altre Juventus di tante altre epoche,non era una grande Juve quella Juve della fine degli anni '60.Un periodo grigio,senza vittorie,a differenza dell'Inter di Helenio Herrera e del Milan di Nereo Rocco,che in quegli anni dominavano la scena calcistica italiana ed internazionale.Eppure io "scelsi" la Juve,quella Juve non vincente,della quale ricordo ancora i nomi dei giocatori.Da Anzolin a Leoncini,da Favalli a Del Sol e Menichelli.Fu per questo che la famiglia Agnelli,che della Juve era proprietaria,decise di cambiare,di creare una nuova Juve tutta al futuro,chiamando sotto la Mole molti giovani calciatori da tutta Italia come Causio,Capello e Anastasi o lanciando ragazzi della propria squadra "Primavera",come Furino e Bettega.Roberto Bettega,appunto.Torinese purosangue,figlio di un operaio della Fiat,proprio in questi giorni ha compiuto 70 anni.Roberto Bettega o "Bobby-gol",come presto sarebbe stato chiamato dai tifosi per quel suo "vizio" di segnare spesso e volentieri.Indossava la maglia numero 11,secondo la numerazione classica,in tempi dove si "recitava" il calcio come poesia,un calcio meno ricco ma più vero e che faceva sentire gli idoli della domenica vicini alla gente comune.Bettega,in quel calcio,recitò,per noi juventini,una gran bella poesia calcistica.Lo fece segnando 178 reti,terzo marcatore di ogni tempo nella storia della Juve,dopo Del Piero e Boniperti,contribuendo alla "causa" bianconera prima sul campo e poi da dirigente.Entrò nelle squadre giovanili della Juve a 11 anni e nella Juve rimase fino alla fine della carriera in Italia("non potrei giocare in nessuna altra squadra in Italia",disse una volta)con quella "11" bianca e nera sempre addosso,come tatuata sulla pelle.Alla Juve presto si accorsero che era bravo quel Robertino lì.Così lo mandarono in "prestito" al Varese,per "farsi le ossa",come si diceva allora.Al Varese trovò come allenatore,quel gran signore nordeuropeo,lo svedese Nils Liedholm,che,insomma,"qualcosa" di importante pure ha lasciato nel calcio italiano,quand'era calciatore del Milan.Bettega,grazie anche a lui,presto s'affermò con tanti gol.Gol con il marchio di fabbrica:di testa,tuffandosi col coraggio dell’incoscienza,e di piede,soprattutto quell o destro,dando alla sfera traiettorie uniche.E allora non tardarono a richiamarlo a "casa",alla Juve,dove intanto erano arrivati uomini nuovi con idee nuove.Come Giampiero Boniperti,tornato anche lui alla Juve come Presidente,dopo essere stato grande giocatore della Juve.E c'era Italo Allodi come direttore generale,con il giovane Armando Picchi come allenatore,che nell'altra vita da calciatore era stato capitano e bandiera dell'Inter.Fu l’inizio di una rivoluzione tecnica che non si arresta neanche quando un destino maledetto si accanisce contro l’ex campione livornese.Picchi se ne va da questo mondo,trascinato via ad appena 36 anni da un male incurabile,e al suo posto arrivò Cestmír Vycpálek,per continuare il viaggio.È la stagione 1970-71;c'era già,in bozza,una Juventus da grande ciclo.Erano appunto arrivati giovani talenti prossimi a farsi gruppo vincente:giovani come Capello,Causio, Spinosi,e “grandi vecchi” come Salvadore e Haller,dispensatori d’esperienza.E c’è lui,il giovane Bettega.Debuttò con gol-vittoria alla prima di campionato,a Catania.Alla fine furono 13 le reti al primo anno di Serie A,dietro gente del calibro di Boninsegna,Prati e Savoldi.L'anno dopo la Juve infilano una serie d’oro,e lui suggella quella stagione con quel gol di tacco a San Siro contro il Milan di Nereo Rocco,un gol che per sempre rimarrà nella memoria di noi ragazzi e tifosi di allora.E proprio Rocco lo elogiò,dicendo che addirittura era più forte di John Charles,il centravanti gallese che era stato compagno di squadra con Boniperti e Sivori.I nostri cuori bianconeri impazzivano di gioia dopo quel gol:sembrava la consacrazione,ma un pomeriggio di pioggia e gelo,dopo la vittoria e una sua rete alla Fiorentina,la vita di Roberto cambia all’improvviso.Gli piomba addosso una tosse fastidiosa,insistente.Entra in clinica il 1° gennaio del 1972,brutto modo di iniziare l’anno.La diagnosi è impietosa:affezione infiammatoria all’apparato respiratorio.È pleurite,per capirci:stagione finita.Tristezza infinita,anche se quell'anno,la Juve poi vince lo scudetto.Bettega torna dopo 8 mesi,che per un ragazzo di 20 anni e ancor più per un atleta,sono tanti,tantissimi,lunghi a passare.Torna l'anno appresso a Bologna,accolto dagli applausi.Ha vinto una partita difficile,uscendone più forte dentro.Lo dimostra in campo,trascinando,con i suoi gol,la Juve al secondo scudetto consecutivo.Diventa,per noi ragazzi juventini di allora,una bandiera,anche per quel suo carattere schivo,per la discrezione e la finezza dei modi e dei comportamenti,dentro e fuori del campo.Intanto le Juve cambiano e cambiano i compagni di "viaggio" e di reparto,ma lui c'è sempre.Dopo Anastasi e Haller,dopo l’Altafini part-time di fine carriera,ecco Roberto “Bonimba” Boninsegna.La Juve si muove,si evolve,intorno al figlio del carrozziere della Fiat,diventato idolo della curva.E lui,tatticamente versatile,sapeva adattarsi a ogni situazione e a qualsiasi compagno di viaggio.Del resto a lui,oltre che fare i gol,piaceva giocare,in ogni parte del campo.Con la maglia bianconera Bettega si ebbe tante soddisfazioni.Nel 1977 la Juve rivince il campionato con un giovane allenatore,voluto da Boniperti:Giovanni Trapattoni.Ed è anche una Juve finalmente europea,che vince il suo primo trofeo internazionale,la Coppa Uefa,battendo in finale,l’Athletic Bilbao,con una rete decisiva,manco a dirlo,di Roberto Bettega.Arrivò poi anche la Nazionale.Lo chiamò prima Fulvio Bernardini e poi Enzo Bearzot,che del Bettega azzurro fu il vero mentore.Ai Mondiali del '78 in Argentina,Bettega disputa l’unico Mondiale della sua carriera:brillante dal punto di vista del gioco.La squadra gira intorno a lui,sembra costruita apposta per lui.È bella e sfortunata.Bettega ebbe tante soddisfazioni,ma anche tante amarezze e rimpianti.Vinse la Coppa Uefa 1977,sette scudetti,1 Coppa Italia.Ma ci fu la finale di Coppa dei Campioni del 1983 persa contro l’Amburgo ad Atene,forse il suo più grande rimpianto assieme a quel grave infortunio ai legamenti riportato in Coppa dei Campioni che gli negò un posto al Mondiale del 1982 con la maglia azzurra,proprio l'anno della vittoria dell'Italia del Campionato del Mondo in Spagna.Alla fine Roberto Bettega consegna la sua maglia alla storia bianconera,e a quella storia e a tutti noi tifosi si consegna.Questione di numeri,di grandi numeri:in 13 anni,quella maglia l’ha indossata in 481 occasioni ufficiali,trovando la strada della rete in 178 occasioni.Da 70 anni vive con la maglia bianconera stampata addosso come una seconda pelle,indelebile,o come un tatuaggio,questo sì,altro che i tatuaggi obbrobriosi di ragazzotti mercenari,che vanno in giro con tanto di procuratori.E' per questo che non abbiamo dimenticato Roberto Bettega.E adesso che di anni ne fai 70 ti ringraziamo e ti facciamo gli auguri,Roberto.