La pandemia ha avuto effetti devastanti sulla salute e sulla psiche della gente:da un giorno all'altro ci siamo visti strappati di mano vite,affetti e sentimenti,anche se forse solo così abbiamo capito il senso delle parole Umanità e comunità.Ma il Covid19 non è stato solo questo.Esso ha stravolto anche altri aspetti del nostro vivere quotidiano e,tra questi,l’identità delle metropoli,di quei posti,cioè,dove le nostre vite si ritrovano e si organizzano e dove si svolge il nostro relazionamento con gli altri.
Il distanziamento sociale e le chiusure forzate di quelle attività che danno vita ai luoghi che frequentavamo "prima",ci ha impoverito culturalmente ed umanamente:locali,ristoranti, teatri,cinema,gallerie d’arte,fiere,stazioni e aeroporti, e tutto quello che determina la capacità di una città di attrarre investimenti,viaggiatori e nuovi abitanti ma anche interscambi sociali e culturali. Primo approdo per immigrati, polo d’attrazione per portatori di idee e stili di vita, le grandi città sono i luoghi dove si concentra la produttività e si produce la maggior parte del reddito della nazioni ma,proprio per questo,la pandemia è esplosa a Milano e in Lombardia,centri motore dell'economia italiana.
La storia e le statistiche elaborate in Italia periodicamente dal "Sole24ore" ci dicono che il successo di una città è correlato ad una risorsa:lo spazio pubblico,la sua gestione e quindi la sua vivibilità.Nello spazio pubblico milioni di sconosciuti imparano a tollerarsi,a fidarsi,a mescolarsi.Tra piazze e marciapiedi affollati,bar e caffè,vagoni della metro,manifestazioni culturali,congressi,luoghi di lavoro,si affolla tanta umanità.
La storia e la medicina insegnano che la vicinanza fisica di persone che arrivano da luoghi lontani fa sì che le città diventino habitat ideale per batteri,nuovi virus, roditori, insetti,parassiti.Tante,nel corso della storia,sono state le epidemie,gli incendi,le sommosse,raccontate nei loro romanzi da molti scrittori:da Boccaccio("Il Decamerone")a Defoe("Diario dell’anno della peste"),da Manzoni("I Promessi Sposi" ) ad Egdar Allan Poe("La maschera della Morte Rossa"),da Camus("La peste")a Saramago("Cecità"),ma anche nella pittura con Bruguel il Vecchio("Trionfo della Morte")e nel cinema con Bergman("Il Settimo Sigillo").Ed è stato quindi conseguenziale che nelle città ci sia stato un elevato tasso di mortalità rispetto agli altri centri abitati.Eppure,ogni volta le città hanno saputo risolvere questi problemi,in modo da riformarsi e rigenerarsi.
A metà dell’Ottocento,ad esempio,Londra era arrivata sull’orlo del collasso sanitario ed ambientale.I distretti operai della capitale britannica erano i più inquinati e maleodoranti al mondo,con fogne a cielo aperto, strade fangose,funestate da colera, tubercolosi, tifo e vaiolo,come ci raccontano i romanzi di Dickens.Ma proprio dall'esperienza di questi disastri si sono poi aperti nuovi scenari e visioni nuove.Così si svilupparono strategie di riqualificazione dei centri urbani e in particolare delle periferie,con la separazione delle zone industriali dai centri abitati,per dividere le funzioni residenziali, commerciali e industriali.Venne sviluppato il trasporto pubblico su carrozze collettive(gli omnibus),ferrovie metropolitane, nuovi sistemi fognari e di nettezza urbana.
Tra i casi esemplari di grandi e micidali pandemie ci fu,tra il 1346 e il 1350,la Peste Nera che uccise un terzo della popolazione europea:un profondo shock culturale che produsse la necessità,soprattutto nelle città medievali italiane,una stagione di riforme. Strade polverose e case di legno,fango e fieno,infestate da topi e pulci, lasciarono il posto a costruzioni in muratura,strade pavimentate,con portici e marciapiedi:fu quello il periodo del Rinascimento.E ci fu così la soluzione urbanistica della piazza rinascimentale,che serviva da spartifuoco e da rifugio anti-incendio ma offriva anche spazi per botteghe,mercati, fiere, celebrazioni, feste.
E adesso che succederà alle nostre città e perciò a noi stessi dopo il Covid?Se la politica,italiana e internazionale,di qualunque colore essa sia,abbandonasse egoismi,nazionalismi ed interessi economici,si potrebbe aprire una fase di rigenerazione urbana e quindi anche umana.Dipende anche da noi. Individualmente,come cittadini,lavoratori,consumatori e collettivamente,come imprese,associazioni e istituzioni.
Ci sono i soldi del Recovery Fund(e poi qualcuno dice che l'Europa è malvagia)dai quali potrebbero nascere nuove opportunità per città più vivibili e sane,ripensando il nostro essere ed esistere.E' stato quasi incredibile che 4 miliardi di persone riconvertissero il proprio modo di usare lo spazio pubblico,tempi e modi di lavoro.
Durante il lockdown ci siamo accorti che tanti comportamenti di "prima" non hanno più così tanto senso.Così,ad esempio,i grandi complessi di uffici,con il loro indotto di milioni di pendolari,hanno riconvertito tempi e forme di lavoro in modalità da remoto.
Certo,questi cambiamenti non saranno semplici,perchè nella parola stessa "cambiamento" sono intrinsechi rischi,incertezza, dubbi,errori, conflitti,in situazioni non facili da gestire, soprattutto per i soggetti più deboli economicamente e culturalmente.E così,come già successo durante la pandemia,la paura psiclogica per i cambiamenti potrebbe far ripetere il fenomeno hikikomori(termine giapponese che significa "stare in disparte",per indicare coloro che decidono di ritirarsi dalla vita sociale).Milioni di persone disabituate alle relazioni umane, prigioniere di un lockdown mentale depressivo.
Ma non si può perdere l'occasione.C'è la possibilità di avere città meno frenetiche, più salutari,verdi e meno inquinate.Città più vivibili che non assomiglino più a "centri commerciali".
La necessità di un cambiamento è imposta anche dal fatto che,come la pandemia,c'è un'altro problema globale e cioè l'emergenza climatica,che richiede soluzioni globali.L’Italia del Trecento, tra i Paesi più colpiti dalla peste, fu tra le regioni del mondo più reattive nel trovare le soluzioni per uscirne,grazie a personalità e professionalità illuminate.Sarebbe necessario che questo accadesse anche adesso,ma guardando in giro,al nostro squallido e desolante proscenio politico,non si può essere certo ottimisti.Purtroppo.
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