18 luglio 2024

LA VITA DOPO IL COVID





La pandemia ha avuto effetti devastanti sulla salute e sulla psiche della gente:da un giorno all'altro ci siamo visti strappati di mano vite,affetti e sentimenti,anche se forse solo così abbiamo capito il senso delle parole Umanità e comunità.Ma il Covid19 non è stato solo questo.Esso ha stravolto anche altri aspetti del nostro vivere quotidiano e,tra questi,l’identità delle metropoli,di quei posti,cioè,dove le nostre vite si ritrovano e si organizzano e dove si svolge il nostro relazionamento con gli altri.

Il distanziamento sociale e le chiusure forzate di quelle attività che danno vita ai luoghi che frequentavamo "prima",ci ha impoverito culturalmente ed umanamente:locali,ristoranti, teatri,cinema,gallerie d’arte,fiere,stazioni e aeroporti, e tutto quello che determina la capacità di una città di attrarre investimenti,viaggiatori e nuovi abitanti ma anche interscambi sociali e culturali. Primo approdo per immigrati, polo d’attrazione per portatori di idee e stili di vita, le grandi città sono i luoghi dove si concentra la produttività e si produce la maggior parte del reddito della nazioni ma,proprio per questo,la pandemia è esplosa a Milano e in Lombardia,centri motore dell'economia italiana.

La storia e le statistiche elaborate in Italia periodicamente dal "Sole24ore" ci dicono che il successo di una città è correlato ad una risorsa:lo spazio pubblico,la sua gestione e quindi la sua vivibilità.Nello spazio pubblico milioni di  sconosciuti imparano a tollerarsi,a fidarsi,a mescolarsi.Tra piazze e marciapiedi affollati,bar e caffè,vagoni della metro,manifestazioni culturali,congressi,luoghi di lavoro,si affolla tanta umanità.

La storia e la medicina insegnano che la vicinanza fisica di persone che arrivano da luoghi lontani fa sì che le città diventino habitat ideale per batteri,nuovi virus, roditori, insetti,parassiti.Tante,nel corso della storia,sono state le epidemie,gli incendi,le sommosse,raccontate nei loro romanzi da molti scrittori:da Boccaccio("Il Decamerone")a Defoe("Diario dell’anno della peste"),da Manzoni("I Promessi Sposi" ) ad Egdar Allan Poe("La maschera della Morte Rossa"),da Camus("La peste")a Saramago("Cecità"),ma anche nella pittura con Bruguel il Vecchio("Trionfo della Morte")e nel cinema con Bergman("Il Settimo Sigillo").Ed è stato quindi conseguenziale che nelle città ci sia stato un elevato tasso di mortalità rispetto agli altri centri abitati.Eppure,ogni volta le città hanno saputo risolvere questi problemi,in modo da riformarsi e rigenerarsi. 

A metà dell’Ottocento,ad esempio,Londra era arrivata sull’orlo del collasso sanitario ed ambientale.I distretti operai della capitale britannica erano i più inquinati e maleodoranti al mondo,con fogne a cielo aperto, strade fangose,funestate da colera, tubercolosi, tifo e vaiolo,come ci raccontano i romanzi di Dickens.Ma proprio dall'esperienza di questi disastri si sono poi aperti nuovi scenari e visioni nuove.Così si svilupparono strategie di riqualificazione dei centri urbani e in particolare delle periferie,con la separazione delle zone industriali dai centri abitati,per dividere le funzioni residenziali, commerciali e industriali.Venne sviluppato il trasporto pubblico su carrozze collettive(gli omnibus),ferrovie metropolitane, nuovi sistemi fognari e di nettezza urbana.

Tra i casi esemplari di grandi e micidali pandemie ci fu,tra il 1346 e il 1350,la Peste Nera che uccise un terzo della popolazione europea:un profondo shock culturale che produsse la necessità,soprattutto nelle città medievali italiane,una stagione di riforme. Strade polverose e case di legno,fango e fieno,infestate da topi e pulci, lasciarono il posto a costruzioni in muratura,strade pavimentate,con portici e marciapiedi:fu quello il periodo del Rinascimento.E ci fu così la soluzione urbanistica della piazza rinascimentale,che serviva da spartifuoco e da rifugio anti-incendio ma offriva anche spazi per botteghe,mercati, fiere, celebrazioni, feste.

E adesso che succederà alle nostre città e perciò a noi stessi dopo il Covid?Se la politica,italiana e internazionale,di qualunque colore essa sia,abbandonasse egoismi,nazionalismi ed interessi economici,si potrebbe aprire una fase di rigenerazione urbana e quindi anche umana.Dipende anche da noi. Individualmente,come cittadini,lavoratori,consumatori e collettivamente,come imprese,associazioni e istituzioni.

Ci sono i soldi del Recovery Fund(e poi qualcuno dice che l'Europa è malvagia)dai quali potrebbero nascere nuove opportunità per città più vivibili e sane,ripensando il nostro essere ed esistere.E' stato quasi incredibile che 4 miliardi di persone riconvertissero il proprio modo di usare lo spazio pubblico,tempi e modi di lavoro.

Durante il lockdown ci siamo accorti che tanti comportamenti di "prima" non hanno più così tanto senso.Così,ad esempio,i grandi complessi di uffici,con il loro indotto di milioni di pendolari,hanno riconvertito tempi e forme di lavoro in modalità da remoto.

Certo,questi cambiamenti non saranno semplici,perchè nella parola stessa "cambiamento" sono intrinsechi rischi,incertezza, dubbi,errori, conflitti,in situazioni non facili da gestire, soprattutto per i soggetti più deboli economicamente e culturalmente.E così,come già successo durante la pandemia,la paura psiclogica per i cambiamenti potrebbe far ripetere il fenomeno hikikomori(termine giapponese che significa "stare in disparte",per indicare coloro che decidono di ritirarsi dalla vita sociale).Milioni di persone disabituate alle relazioni umane, prigioniere di un lockdown mentale depressivo.

Ma non si può perdere l'occasione.C'è la possibilità di avere città meno frenetiche, più salutari,verdi e meno inquinate.Città più vivibili che non assomiglino più a "centri commerciali".

La necessità di un cambiamento è imposta anche dal fatto che,come la pandemia,c'è un'altro problema globale e cioè l'emergenza climatica,che richiede soluzioni globali.L’Italia del Trecento, tra i Paesi più colpiti dalla peste, fu tra le regioni del mondo più reattive nel trovare le soluzioni per uscirne,grazie a personalità e professionalità illuminate.Sarebbe necessario che questo accadesse anche adesso,ma guardando in giro,al nostro squallido e desolante proscenio politico,non si può essere certo ottimisti.Purtroppo.

07 luglio 2024

I 30 ANNI DI FORREST






30 anni fa,il 6 luglio 1994,usciva nelle sale cinematografiche americane' "Forrest Gump", il film interpretato da Tom Hanks con la regia di Robert Zemeckis .E proprio nel medesimo giro di settimane usciva un altro film cult americano,Pulp Fiction di Quentin Tarantino(sotto).



Entrambi i lavori sbancarono ai botteghini, ma  fu il film di Zemeckis a fare incetta di Premi Oscar,perchè più "sentimentale e facile",secondo i critici di allora.Eppure ancora oggi Forrest Gump ci rimane nella memoria più di "Pulp Fiction",trascinandoci in un tempo fuori dal tempo,come sanno fare i film diventati miti.

Certo,dopo 30 anni, Forrest Gump,ci racconta di una stagione storica distante e diversa(basti solo pensare agli attacchi alle Twin Towers), e forse anche “ingenua”, in termini di narrazione della storia pubblica.

Il fatto è però che Forrest Gump si riferisce a un mondo reale in cui l’incontro tra vita privata e storia collettiva era rappresentato secondo tecniche che negli anni '90 Zemeckis riuscì a proporre portando un linguaggio nuovo che oggi potranno apparire desuete.Oggi,per esempio,se ci sediamo su una panchina pubblica,difficilmente attaccheremmo discorso con gli sconosciuti accanto a noi; piuttosto ci connetteremo con l’iPhone, comportandoci come semplici spettatori delle vite degli altri,mai come protagonisti di un mondo cambiato.

Eppure,nonostante la distanza temporale e i cambiamenti della società, le verità di Forrest Gump resistono,e sono proprio questi aspetti “sentimentali”,e la sensazione di un loro cambiamento o di una loro perdita,che ancora ci coinvolge.

Ricordiamo bene la vicenda. Il film inizia con una panoramica della camera che,segue una piuma volante,che,dopo aver attraversato una strada trafficata di città,va a cadere accanto ad un uomo di circa 40 anni, seduto su una panchina alla fermata di un autobus.L'uomo raccoglie la piuma che si è posata ai suoi piedi, e la conserva tra le pagine di un vecchio libro illustrato che si trova in una piccola valigetta,aprendo poi la seconda cosa che porta con sé:una confezione regalo di cioccolatini.

Siamo all’inizio degli anni 80. Intanto sulla panchina si siede anche una donna nera, con gli abiti da lavoro di un’infermiera. L’uomo la saluta, si presenta:«Hello. My name is Forrest. Forrest Gump» – e le offre un cioccolatino, aggiungendo che lui ne mangierebbe a milioni e che la sua mamma diceva sempre che "la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai cosa ti capiterà".Ascoltando queste prime battute,cominciamo a capire che c’è qualcosa di strano.Chi parla è un uomo adulto che si esprime in modo infantile, come qualcuno che un tempo veniva definito “ritardato”.Ed è qui che comincia il film.Da questo momento,Forrest attacca a raccontare la sua vita ad altre quattro persone che via via si siederanno sulla stessa panchina

Si parte dall’infanzia, in Alabama,da un ambiente ostile alla diversità, ma grazie alla madre (Sally Field) che ha fatto di tutto perché il ragazzino non fosse discriminato, e con il sostegno della piccola amica Jenny, che è stata la prima a incoraggiarlo a correre, Forrest diventa via via protagonista di favolose esperienze. Sono tutte avventure incredibili di attraversamento fisico e simbolico, che via via lo porteranno, senza nemmeno rendersene conto,a diventare un campione sportivo, un eroe di guerra, un grande manager, e a incontrare, tra gli altri anche le figure e le situazioni più emblematiche e iconiche della storia americana dagli anni '50 al 1981,spesso interagendo con loro: Elvis Presley, John Lennon, la guerra in Vietnam e lo scandalo Watergate, il Black Panther Party e i presidenti  Kennedy, Johnson e Nixon.

Le due costanti del viaggio straordinario di Forrest nella storia e nello spazio americano, sono la fiducia nella vita trasmessagli dalla madre e l’amore incondizionato per Jenny (Robin Wright )creatura irrequieta con un'orribile infanzia(abusata dal padre alcolizzato). Per tutto il racconto, Jenny appare e scompare dalla vita di Forrest, vivendo intanto la stagione dell’emancipazione giovanile degli anni '60, passando dalla droga, e continuando sempre a scappare, come per illudersi di sottrarsi al dolore che da troppo tempo si porta dentro. Lo fa anche dopo esser temporaneamente tornata da Forrest,dove i due giovani fanno l’amore,prima che la donna, all’indomani, sparisca di nuovo.

Il nuovo abbandono di Jenny porta Forrest a sciogliere la sua tristezza mettendosi a correre,"per tre anni, due mesi, quattordici giorni e sedici ore "; fin quando, tornato a casa, un giorno riceve una lettera di Jenny che gli chiede di andare a trovarla.Così,alla fine,Forrest si ricongiunge all'amore di tutta la vita e incontra Forrest junior,figlio suo e di Jenny. Ammalata di HCV in fase terminale,la madre ha scelto infatti di presentare e affidare il piccolo a Forrest. Dopo il matrimonio e la morte di Jenny, il film si conclude come era iniziato: con Forrest ancora seduto alla fermata di un bus, ma stavolta mentre aspetta il ritorno del suo bambino da scuola.

Forrest Gump,un film così pieno di corse tra i campi o nella foresta attaccata dalle bombe e per tutta l'America,di primi passi sulla luna,è un grande racconto su come lo slancio del muoversi,dell'andare, anche in senso figurato, metta in salvo. 

Lo schema narrativo è scandito dalla ricorrenza continua di situazioni e spazi che in molti casi si ripetono (la panchina, l’albero, il tema dell’attesa del bus, la stessa camera dove morirà la madre, prima, e Jenny poi, la piuma che nel finale riprende il volo).Lo stile della ripetizione riesce anche a rappresentare certi stili tipici dei disturbi dello spettro autistico: come, per esempio, la propensione per abitudini di vita, di comportamento e di linguaggio identiche e regolari.E c'è anche un altro angolo visuale interessante:l’amicizia tra Forrest e Buba – rovescia anche uno dei pregiudizi più razzisti e micidiali in tema di autismo, vale a dire il principio per cui le persone autistiche andrebbero isolate secondo la tesi di quel tal generale razzista e xenofobo a nome Vannacci.Tra l’altro, Forrest ricordare anche il nome di “Forest”, una cittadina del Mississippi nota per essere stata la città natale di Donald Triplett,prima persona a cui fu diagnosticato un disturbo autistico.

Il regista, Robert Zemeckis già collaboratore di Spielberg,ha diretto molti film importanti:"Ritorno al futuro";"Chi ha incastrato Roger Rabbit";"La morte ti fa bella".Tutti film che sviluppano i progressi della tecnologia.Questo sistema torna anche in Forrest Gump, con quelle trovate tecniche con cui, malgrado all'epoca ancora non esistesse il digitale, si “infila” Forrest nei filmati di repertorio dei grandi eventi storici mostrandoci il protagonista, per esempio, mentre stringe la mano a John Fitzgerald Kennedy,o accanto a John Lennon.

Perchè è questo quello che Forrest fa,anche attraverso effetti speciali:ci introduce nella storia,la sua storia, quella degli altri, quella dell’America,e persino la nostra storia di spettatori che,attraverso lui,finiamo per guardarci "dentro".Noi,guardando la panchina di Forrest,siamo "costretti" a riflettere sul modo con cui guardiamo (e giudichiamo)la diversità,con l'arroganza di pensare che siamo noi quelli "normali".NOI che guardiamo alle persone “strane”,che invece,più e meglio di NOI,sanno realizzare,come Forrest,cose e imprese meravigliose e impensabili rispetto a NOI "normali".

Ma perché Jenny, lei che ha insegnato a Forrest che ci si salva correndo, proprio lei invece non si salva, mentre lui sì?La risposta è che è forse perchè lei,che scappa da un orrendo passato fatto di violenze e abusi da parte del padre,cerca altri mondi e altre cose che però continuano a renderla infelica,fino a quando,alla fine capisce che i veri valori sono quelli del mondo di Forrest.E forse la risposta è anche quella che Forrest dà al Tenente Taylor (l'attore Gary Sinise )che in Vietnam Forrest ha salvato dalla morte ma al quale sono state amputate le gambe.Il tenente urla in faccia a Forrest:"Perchè mi hai salvato?Questo non doveva succedere,non a me.Io avevo un destino. Ero il tenente Dan Taylor».E Forrest,che pure un destino felice non ha avuto,con naturalezza e semplicità dice:"Ma lei è ancora il Tenente Dan".Come dire che in ognuno permane la propria identità,mantenedo la quale si ha la possibilità di raggiungere i propri obiettivi,guardando sempre,però,ai valori veri della vita;come Forrest,che nonostante abbia raggiunto celebrità,successo e ricchezza,pensa sempre e soltanto all'amore per la mamma e per Jenny.

E c'è sempre,poi,quella leggendaria scatola di cioccolatini,che rappresenta una metafora.Essa non è solo “una scatola”,cioè un oggetto che contiene;essa rappresenta l’azione del dono all'altro, che stabilisce una relazione:situazioni,oggetti,case,cassette postali(nella quale la mamma di Buba riceve una donazione di Forrest che la fa diventare ricca)e persino televisori(davanti al quale Forrest senior e junior cominciano a conoscersi);contenitori che contengono sentimenti.

In quella scatola di cioccolatini ci può essere una “dolcezza” della vita che non è semplicemente un fatto di golosità.E' un oggetto che si offre, si apre, si conserva e si porta in regalo.La dolcezza di cui parla quella scatola contiene la verità di chi ha fatto pace con gli eventi inaspettati e dolorosi e sa donare e donarsi agli altri.  

01 luglio 2024

ASSANGE E' LIBERO, NAVALNY E' SEMPRE MORTO






Julian Assange, cofondatore di  Wikileaks, è stato rilasciato dal carcere di Belmarsh di Londra dove era detenuto da cinque anni.con l'accusa di spionaggio,in attesa di essere estradato negli Stati Uniti.

Ma chi è davvero Assange? Un valoroso eroe della verità, come dichiarano i suoi sostenitori,o un uomo in cerca di pubblicità(e di affari)come dice chi lo critica,che ha messo in pericolo vite umane rendendo di dominio pubblico una massa di informazioni sensibili?Come si sa Wikileaks((dall'inglese leak «perdita», «fuga di notizie)è un'organizzazione internazionale che riceve in modo anonimo, grazie a un contenitore protetto da un potente sistema di copertura informatica,documenti coperti da segreto di Stato,militare,bancario,industriale)per poi caricarli sul proprio sito web.

Ora Assange è libero,avendo firmato un patteggiamento con la giustizia americana,dichiarandosi colpevole di uno dei 18 capi di imputazione che lo riguardavano (cospirazione per diffondere illegalmente informazioni militari segrete), ammissione che vale una condanna a 5 anni, già scontati nella prigione inglese in cui è stato rinchiuso fino a pochi fiorni fa.Questo, formalmente, è il motivo per cui Assange è ora libero.Le reazioni della politica, della stampa e dell’intellettualità italiana confermano una predilezione particolare nel nostro Paese per il fondatore di Wikileaks,tanta essendo stata l'esultanza alla notizia della liberazione del "martire" per le lotte contro l'Occidente.

Guarda caso il caso Assange era tornato in primo piano all’indomani dell’assassinio di Alexei Navalny perchè il regime putiniano voleva "dimostrare" l’ipocrisia di un occidente capace di indignarsi solo per Navalny e mai per Assange.Ed infatti Assange ha beneficiato di una campagna costante e ininterrotta di sostegno,di un grande consenso che va da destra a sinistra,mentre Navalny non se lo è filato nessuno,in Italia poi.

La conclusione del "caso Assange" dovrebbe ora chiudere la discussione su quale sia la differenza tra i due casi,e,più in generale,tra Occidente democratico e regimi autoritari.La differenza è semplicissima:Assange,dopo avere patteggiato pena,è libero.Navalny,invece,è sempre morto:tutto qui

In questi anni,infatti,qui in Occidente si è sempre fatta una equivalenza tra il martire di Putin e il martire dell'Occidente,fingendo di ignorare che Assange non è un paladino della stampa, che ha commesso crimini gravi e poi si è alleato col presidente russo.Assange nel 2012 aveva lavorato per il canale televisivo RussiaToday,poi riconosciutocome un agente di propaganda del regime russo nel mondo. 

Assange non è un politico, Wikileaks non è un partito, e neppure un giornale.Wikileaks è diventato col tempo il simbolo e la bandiera di chi lotta contro i "misfatti" dell'Occidente e del capitalismo.E' diventato un’illusione di libertà e trasparenza,ma presto è diventata uno strumento di potere:il potere di Putin.

Il bello è che Putin non ha bisogno neanche di corromperli o comprarli o minacciarli i suoi "sostenitori",tanti sono in Italia da Salvini a Santoro,quelli  che si "onorano" di sostenere il criminale del Cremlino.Così va il mondo nelle italiche terre:c’è sempre un pubblico per chi sostiene posizioni illiberali,anti-americane,anti-europee e così ci si industria per stabilire una equivalenza tra Navalny e Assange.

Il tentativo di stabilire una equivalenza tra Navalny e Assange si basa sulla narrazione ipocrita che sì,certo, la Russia di Putin ha i suoi limiti, come dimostra la morte di Navalny, ma anche noi in Occidente abbiamo i nostri Navalny,come Assange,che si battono per denunziare le menzogne e la corruzione del potere:come Assange,appunto,che ha pagato sulla propria pelle(pagato ???). 

Per questi ultimi,dunque,Putin è un po’ meglio degli Stati Uniti perché almeno non finge di essere una cosa diversa da quella che è,cioè il capo di un regime oppressivo e liberticida,mentre gli USA e l' Occidente fingono di battersi per la libertà e democrazia, aiutando,ad esempio,l'Ucraina,volendo in realtà perseguire mire imperialistiche per allargare il potere affaristico del capitalismo.Corollario inevitabile: basta con l'invio di armi all’Ucraina perché permettono agli ucraini di resistere in nome di una superiorità dei valori occidentali che invece non esistono,come dimostra la vicenda Assange.E in Italia,da destra a sinistra,è particolarmente nutrita la schiera di prostituiti alle tesi putiniane:intellettuali,giornalisti,opinionisti che propalano queste tesi, Putin non ha certo bisogno di infiltrare i nostri media o la politica - cosa pure che fa. 

Ma Navalny e Assange sono veramente la stessa cosa?Navalny era un politico che poi è diventato una specie di leader di opposizione - politica e civile - in un paese dove ogni tipo di opposizione è ferocemente repressa come anche il caso Politkovskaja dimostra.Navalny è stato un politico ed è diventato un blogger denunciando la corruzione e l’avidità del regime putiniano. Ma sempre a scopo di battaglia politica,non per fare informazione. Navalny incarnava l’idea di una Russia alternativa a quella di Putin che provava ad avvelenarlo come ha fatto con altri oppositorie e che lo ha rinchiuso in carcere per farlo morire. Alla fine quella morte tanto a lungo evitata è arrivata e con essa Putin ha fatto capire che in Russia non ci può essere opposizione a lui,e che l'unico posto dove giornalisti e politici sgraditi sono liberi di riunirsi insieme è soltanto il camposanto.

Poi, certo,Navalny era pur sempre un russo, che condivideva alcuni aspetti della nostalgia imperiale e nazionalista di Putin.Ma Navalny prima di ogni altra cosa era un politico russo che si è opposto al potere autocratico del presidente nell’unico modo possibile,da attivista per i diritti civili e politici in un paese repressivo e non democratico. 

Ed invece che lavoro faceva Assange? Assange non è un politico e Wikileaks non è un partito,e neppure un giornale:anzi,l'uso stesso del prefisso Wiki è un abuso,perchè in esso non c'è alcun concorso collaborativo tra più utenti(questo il significato del termine "Wiki).Wikileaks non è partecipato,aperto,ma funzionale alla narrazione putiniana.E così si chiude il cerchio: gli amici di Putin(e quelli italiani sono tanti)difendono un sedicente attivista che ha colpito gli USA facendo gli interessi di Putin.

Forse inizialmente molti,in buona fede,hanno pensato che Wikileaks fosse un qualcosa di simile ai "Panama Papers"(sul quale è stato girato anche un film)

cioè quella raccolta di documenti(fatta da giornalisti investigativi)che forniva informazioni sugli affari di società off shore e sulle loro attività illecite,e questo in nome di un ideale di trasparenza.In realtà Wikileaks e tutt'altra roba.

Se si legge il capo di imputazione del dipartimento di Giustizia, si vede che gli Stati Uniti non contestano ad Assange soltanto di aver divulgato materiale segreto e classificato,ma di aver partecipato ad aver violato i sistemi di sicurezza americani per rubare informazioni riservate.Come si vede c’è una bella differenza con i "Papers".Assange,quindi,ha commesso tutta una serie di fatti che in qualunque paese sarebbero classificati come reati gravissimi:aggirare i sistemi di sicurezza dell’esercito americano, usare l’identità di superiori per recuperare password a cui non aveva accesso, per poi scaricare e passare a Wikileaks blocchi di informazioni riservate sulle attività dell’esercito in Afghanistan, Iraq e altri segreti militari.

Che Assange abbia fatto quello che gli viene contestato non c’è dubbio.In qualunque Stato del mondo l’attività di Assange sarebbe classificata come spionaggio.In Italia, per esempio, è un reato gravissimo rivelare i nomi di agenti dei servizi segreti sotto copertura,anche perchè ne va della loro vita,come appunto è successo per alcuni informatori degli americani in Iraq.

In ogni caso,con tutti i loro difetti gli Stati Uniti sono e restano una democrazia nella quale viene applicato lo stato di diritto,ma gli Stati Uniti,come tutti gli stai di diritto,offrono in ogni caso alcune garanzie agli imputati. Navalny, al contrario, ha dovuto affrontare un regime autocratico e dittatoriale, quello di Putin, che non lascia scampo alla libertà di pensiero e di espressione,nonché alle libertà politiche. Navalny, morto in prigione in Russia, in un qualunque stato democratico sarebbe un semplice giornalista o capo di un partito di opposizione. Paragonare Assange a Navalny rischia di significare anche, come conseguenza, mettere sullo stesso piano democrazie e autocrazie.
No,non si può dire che Assange è come Navalny.Paragonare Assange a Navalny è come mettere sullo stesso piano democrazie e autocrazie.