24 giugno 2024

SOLO CARNE DA MACELLO





E' stata raccapricciante la scena che lunedì 17 giugno si è presentata ai medici del 118:un uomo,un bracciante che raccoglieva frutta per un'azienda agricola in provincia di Latina,è rimasto impigliato in un macchinario che gli ha amputato un braccio e schiacciate le gambe.E raccapricciante è stato ascoltare anche quello che il proprietario dell'azienda aveva fatto,anzi non fatto.Il titolare dell'azienda agricola,il “padrone”(così si fanno chiamare gli “imprenditori” di quelle zone)ha buttato quel braccio in una cassetta della frutta e anziché soccorrere l'uomo,l’ha caricato su un furgone e lo ha lasciato davanti alla baracca dove abitava con la moglie,Alisha,anche lei lavoratrice nella stessa azienda,che lo implorava di aiutarli.Ed invece quel criminale ha preso i cellulari dei due, per impedire che potessero denunciare l’accaduto e far scoprire le condizioni di irregolarità in cui erano tenuti da quello schiavista.Trasportato d’urgenza in elisoccorso all’ospedale San Camillo di Roma,quell'uomo è poi morto dopo un'agonia di 36 ore.

Aveva solo 31 anni e veniva dall'India quell'uomo e aveva un nome e una storia:si chiamava Satnam Sigh,era arrivato in Italia tre anni fa e da due lavorava in quella azienda agricola.E lavorava tanto Satnam. Anche 13-14 ore al giorno e per una paga di 4 euro l’ora.Senza alcun contratto,ovviamente.Perché per i lavoratori migranti, che rischiano continuamente l’espulsione dall’Italia, a causa delle leggi volute sia dalla sinistra che dalle destre,è sempre un bere o affogare.

Ai giornalisti che poi lo hanno intervistato,il sig. Lovato,il titolare dell’azienda,ha dichiarato addirittura che la colpa era di Satnam,che se l’è cercata,che non  è stato attento.“Ha fatto una leggerezza".Già.Una “leggerezza”,così quell'essere definisce l’ennesima morte,che invece è un assassinio sul lavoro.Parole che indignano.A questo tizio,a questo signor Lovato,sembra mancare il pudore.E' incredibile la sua indifferenza per la morte di un giovane uomo ucciso nella propria azienda.Ma certo,per uno come lui se sei un lavoratore straniero sei zero,vali meno che niente.

Ma al sig. Lovato manca anche altro. Manca la paura.Tanto sa che a quelli come lui le cose vanno sempre lisce.Ed infatti si è poi saputo che proprio Lovato è stato coinvolto,già 5 anni fa,in una inchiesta per reato di "caporalato" e per truffa ai danni dell'Inps.Ma in questi 5 anni nessun provvedimento è stato preso contro di lui e nel frattempo sai quanti altri poveri cristi,sai quanti altri indiani e stranieri ha continuato a schiavizzare,con la paga e le ore di lavoro come quelle di Satman.Ed è curioso che il governo Meloni-Salvini che ogni giorno s'inventa un nuovo reato(dai rave,agli scafisti,agli ambientalisti)non si è preoccupi di introdurre il reato di "omicidio sul lavoro".

A dire il vero Giorgia Meloni qualcosa l'ha detta:“questi sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano”.Eh già:"italiani brava gente".Ma la realtà racconta altro.Il “VI Rapporto agromafie e caporalato” stima che nel solo settore agricolo primario ci siano almeno 230mila lavoratori irregolari,di cui 55mila donne le quali soffrono non solo lo sfruttamento lavorativo e fiscale, ma anche,talora,quello sessuale.

E c'è dell'altro.Alcune inchieste giornalistiche hanno fatto emergere aspetti mostruosi.Molti braccianti della grande comunità indiana e pakistana che lì si è insediata fanno regolare uso di oppioidi.Ma quelle  droghe non sono usate per “sballarsi”,come per i ragazzini annoiati delle nostre città.Quelle droghe servono,invece,per reggere la fatica e i ritmi e gli orari di lavoro altrimenti insostenibili.Questo succede nelle aziende agroalimentari dell'agro pontino e questo il governo finge di ignorare.Eppure la Premier e il cognato Lollobrigida,Ministro dell'Agricoltura,hanno molto a cuore questo settore,perchè esso è un terreno "fertile" di "raccolta" di consensi per Fratelli d'Italia ed è perciò che la Meloni si affretta a dire:"Il decesso di un operaio per colpa di un criminale non deve criminalizzare tutte le imprese agricole”,in linea con quanto disse al momento del suo insediamento da presidente quando dichiarò: «Chi produce non verrà disturbato» .

Ma in un periodo di governo con "questa" destra nel quale si parla di migranti come "carico residuale" o di una sedicente "sostituzione etnica",le parole della Premier appaiono come classiche frasi di circostanza.La preoccupazione di Meloni sembra piuttosto quella di scagionare la classe imprenditoriale che trasformare le condizioni di lavoro e di vita di centinaia di migliaia di lavoratori agricoli. Solerti ad ascoltare le proteste delle imprese agricole,come Coldiretti o i “trattori”,sono sordi quando le rivendicazioni arrivano dal lato dei lavoratori,anche se sono italiani,come Paola Clemente,bracciante in Puglia,sottoposta a condizioni di sfruttamento simili a quelle patite dai migranti. Ogni notte si svegliava alle 3, saliva su un pullman e percorreva i 150km che la separavano dal campo in cui provvedeva all’acinellatura dell’uva.Paola morì uccisa dalla fatica e da tempi di lavoro inauditi.

Ora il governo italiano,mosso da un "incredibile" sentimento di solidarietà ha annunziato che la moglie di Satnam Singh avrà un permesso di soggiorno.Eccolo,l’ultimo oltraggio al corpo straziato del povero Satnam.Da vivo non meritava niente.Fuggito dall’India per inseguire una speranza,anche in Italia era solo un pària.Solo carne da macello. Due braccia da sfruttare sulla terra.Ora che è morto,con ipocrisia tipicamente italiana,si concedono i tributi postumi anche per senso di colpa.E avanti così,fino al prossimo schiavo che cade “sul campo”.

E questo è il Paese che,secondo il racconto del governo,va e “cresce più di Germania e Francia”,che “crea occupazione” e che “traccia la rotta ai Grandi del mondo”. Benvenuti nel “Nord che produce” e nel Sud del “nuovo miracolo economico”.

Ma intanto in questo Paese dalle "magnifiche sorti e progressive" decantate dal governo,chiudiamo i porti a quei disperati che fuggono da fame,guerre e siccità.E a quelli che riescono a sbarcare offriamo questo inferno dell'agro pontino fingendo di non sapere che esso esiste:clandestinità, lavoro nero, paghe da fame, zero diritti. Indiani, bangladini e bengalesi che si spaccano la schiena per 14-15 ore al giorno sotto il sole,per garantire a noi borghesi verdura fresca e frutta succosa.

E allora è bene raccontarla diversamente la storia:e cioè che l'Italia è un paese schiavista,non giriamoci troppo intorno.Schiavista come l’America dello Zio Tom.Quegli uomini venuti da tanti posti del mondo sono portati nei campi come bestie su vecchi furgoni scassati,insieme a decine di altre persone,tutti privi dei documenti, ricattati da un datore di lavoro perchè senza permessi di soggiorno.E queste cose le sanno tutti, e cioè che il lavoro agricolo si basa sulla schiavitù degli stranieri che fanno un lavoro che nessuno vuole fare.Mentre qualcun'altro, italiano, fa soldi tenendoli schiavi perchè lavorino al nero:per pagare meno e guadagnare di più:somme che poi non dichiarano,perchè pagare le tasse,per la Premier, "è un pizzo di Stato".E allora quei "padroni" si sentono "autorizzati" a schiavizzare,ricattare ed evadere:lo sappiamo tutti che funziona così,che quelle persone vivono e lavorano come  bestie.E se qualcuno di loro "qualche volta" muore,pazienza,cose che capitano.Ecco perchè l’Italia è un paese schiavista,come l'America dello zio Tom.

Di questa tragedia restano adesso quella foto sfocata di Satnam,che mai è stata messa su un documento,ma soprattutto restano in testa,come un marchio indelebile,le terribili parole che la moglie di Satnam ha detto alla stampa: “il vostro non è un Paese buono.Una frase semplice,ma vera;un atto d’accusa violento e rassegnato al contempo.E quel che è peggio è che ognuno di noi sa che queste parole sono drammaticamente vere.

20 giugno 2024

SONO DI COLORE E SONO ITALIANI





Per l'Italia è stata straordinaria l'edizione 2024 dei campionati europei di atletica leggera:24 podi con 11 medagle d'oro,10 d'argento e 3 di bronzo.Sono stati tanti i ragazzi a conquistare quelle medaglie,dal capitano Gianmarco Tamberi a Marcel Jacobs.Ma lelenco delle imprese azzurre è lungo e celebra la rinascita dell’atletica italiana.

E' stata un'Italia che ha corso,saltato ed esultato e che ha fatto esultare tutti noi che ogni sera attaccati alla tv,li abbiamo seguiti questi ragazzi dell’atletica leggera italiana.E per chi non se fosse accorto(o meglio che non se ne vuole accorgere)è un'Italia nuova quella che è andata in pista allo stadio Olimpico di Roma.

E' un'Italia,quella di atletica leggera(ma il discorso vale anche per le altre discipline dello sport italiano,dal calcio,alla pallavolo alla pallacanestro)nella quale gareggiano ormai già da qualche anno e in numero sempre crescente,ragazze e ragazzi di colore e di altre nazionalità,ad esempio il mezzofondista di origine rumena Catalin Tecuceanu,tutti figli di quel fenomeno epocale dei nostri giorni che è la migrazione.Atleti nati e cresciuti in Italia da genitori di origini straniere o da coppie bi-nazionali che rappresentano la nazione con le loro performance sportive.Ragazze e ragazzi italiani che secondo certi generali non avrebbero le caratteristiche somatiche per definirsi tali.Ed invece proprio le immagini di quei ragazzi avvolti nel tricolori ci fanno capire come l'Italia stia cambiando senza che nessuna "sostituzione etnica"  sia mai avvenuta nonostante la narrazione razzista del più becero populismo di destra.

Quelle immagini di ragazzi di colore avvolti nella bandiera italiana che corrono ad abbracciare in tribuna d'onore il Presidente della Repubblica,Sergio Mattarella sono quindi lo specchio di una società italiana oramai divenuta multiculturale.

La globalizzazione ha posto tutti noi di fronte a nuove sfide, culturali prim’ancora che sociali, economiche e politiche. E il mondo si è spaccato in fazioni, che non sono certo una novità. C’è chi pensa che questo fenomeno vada contrastato erigendo muri e sottolineando differenze e chi invece ritiene che l’unico modo sia abbattere confini e avere politiche inclusive.

Viviamo in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato.E la globalizzazione può essere un’opportunità,un fenomeno da studiare,capire,interpretare e non osteggiato a prescindere,in un'ottusa e miope difesa del "particulare" che in questo mondo ha un significato solo se capace di stare in una prospettiva globale.Ed invece le forze reazionarie,sovraniste e populiste,hanno fatto leva,come le elezioni europee hanno evidenziato,sulle differenze e sulle distinzioni etniche e non sui valori dell'integrazione;sui muri da erigere,sul niente da difendere di fronte alla storia che avanza,riuscendo,con la paura e l'odio etnico,a convincere tanta gente.

Ma questo modo ottuso e troglodita di pensare è la negazione di una evidenza che è sotto gli occhi di tutti:la multietnicità della società italiana della quale la Nazionale italiana di atletica leggera è l' espressione e lo specchio.Perchè questo sport ha saputo anticipare i tempi e interpretare al meglio il fenomeno multietnico.

Eppure,di fronte alla narrazione delle imprese di Jacobs,Dosso, Simonelli, Furlani, Ali, Tecuceanu,ecco,immancabili i commenti razzisti(a partire da certe parti politiche)che vorrebbero,ancora oggi,ancora nel 2024,un’Italia esclusivamente chiusa, autarchica e dalla pelle bianca.

Invece è bene dirlo forte e chiaro:questi ragazzi sono italiani.Italiani di colore e vanto per la Nazione.Sono ragazzi nati o cresciuti nel nostro territorio, figli di migrazioni che, a dispetto di qualunquismi e perbenisti e al netto di innegabili problemi d’integrazione, sono stati capaci di portare anche arricchimento culturale.genitori di questi nuovi campioni sono qui da venti o trent’anni. Hanno fatto enormi sacrifici per guadagnarsi una vita migliore.I loro figli hanno frequentato le nostre scuole e studiano nelle nostre università.Come si fa a non vedere che la società italiana è cambiata e con essa il patrimonio genetico(per usare un’espressione di quella specie di generale).Se questo ha portato a migliorarci anche nell’atletica,significa che quell'integrazione di cui tanti hanno paura può portare,anche nella società italiana ad arricchimenti culturali ma anche più strettamente di natura socio-economica,se solo si pensa al fenomeno dell'invecchiamento della popolazione italiana ed alla sostenibilità dei conti pubblici.

Jacobs,Dosso,Simonelli, Furlani, Ali, Tecuceanu.Che cosa hanno in comune? Sono tutti italiani con la pelle scura che sventolano la bandiera italiana e le loro foto dovrebbero imporre alla politica e a tutti noi,di parlare,senza ideologie di Ius soli,Ius culturae e Ius scholae e su ogni forma possibile di integrazione e di diritto di cittadinanza.

Per integrare gli immigrati si deve sviluppare “convivenza” e non mera “compresenza”.Se l’immigrato resta “estraneo”,si ingenerano nella società xenofobia e razzismo.Se invece l’immigrato si integra diventa fonte di ricchezza economica e culturale.Nella società plurale (la “società aperta” teorizzata da Karl Popper) convivono più minoranze culturali, dialoganti anche se diverse, che mantengono l’identità d’origine ma hanno l’obbligo di identificarsi nei valori della società ospitante e di rispettarne i principi fondamentali e il quadro normativo. In breve, si integrano.L’Europa e l’Italia devono perciò prendere decisioni forti, con visione e senza paure xenofobe.La democrazia non può essere “esclusiva”. Una “società aperta” e plurale deve saper assorbire l’eterogeneità culturale e favorire l’inclusione.L’integrazione delle generazioni successive alla “prima che immigra” è oramai un tema ineludibile. È ora di adottare lo ius soli come base incondizionata per l’attribuzione della nazionalità,accantonando l’anacronistico ius sanguinis.

06 giugno 2024

ESSERE LIBERALE








Molti studiosi e storici ritengono che ssi volesse stabilire un'analogia  tra "questa" Europa così come oggi è,con l'Europa dei secoli scorsi,questa analogia la si può  rintracciare con l'Europa di fine Ottocento.

Fu in quell'epoca,infatti,che il liberalismo democratico del tempo si dimostrò non all’altezza delle sfide che poneva la società di massa che in quel tempo si andava sviluppando.Fu in quel tempo che mentre da un lato cresceva la sfiducia nel parlamentarismo e nella politica,dall'altra i populismi guadagnavano sempre più terreno.Allargando poi lo sguardo oltre oceano,la guerra ispano-americana per il controllo di Cuba mostrò tutta la marginalità e l'irrilevanza dall’Europa nel mondo.

Ci fu dunque una complessiva debolezza del sistema parlamentare e delle istituzioni liberaldemocratiche,e nel contempo ci si accorse dell’inadeguatezza del sistema internazionale organizzato sulle singole nazioni fino allora dominanti(Francia,Spagna,Inghilterra)tutte incapaci a far fronte ai pressanti problemi di carattere sovranazionale, posti da un mondo sempre più interconnesso, con la rivoluzione dei trasporti e dei mezzi di comunicazione.La disgregazione di quel mondo ci fu anche da un punto di vista morale e culturale.Quel mondo stabile e sicuro in cui le menti avevano avuto la possibilità di indirizzarsi verso la libera ricerca della cultura e della conoscenza,ora quel mondo veniva sconvolto e poi cancellato dalla I Guerra Mondiale,dal crollo delle monarchie storiche,dalla crisi delle ideologie e, infine,dal tetro affermarsi del nazismo. 

Di fronte alla crisi dei valori del liberalismo democratico,autori del livello di Benedetto Croce,Thomas Mann,Ortega y Gasset e Paul Valery posero il proprio impegno per ripensarne alcune nozioni chiave,come quelle di individuo, felicità,responsabilità.Le loro riflessioni nell’immediato non valsero a scongiurare la tragedia della seconda guerra mondiale,ma costituirono più tardi il presupposto,negli anni '60,per la costruzione di un'Europa del benessere sociale e di una crescita economica e culturale.

E di nuovo,in questo quarto di secolo del nuovo millennio(ed è qui l'analogia con quella Europa in crisi)il dibattito politico e culturale è tornato a vertere sugli attacchi contro le democrazie liberali.Sta risorgendo,cioè,in Europa quel tempo illiberale già vissuto all'inizio del secolo scorso,sul quale quei grandi pensatori di cui si diceva,avevano sviluppato le loro riflessioni e che perciò tornano attuali nel dibattito sull'Europa di oggi e sul rapporto fascismo/populismo. 

La prima delle riflessioni di quegli intelletti fu che l'essere illiberale è una questione,prima ancora che di contenuti,di toni e di stile.Le sguaiate,volgari e squallide esternazioni della Premier Meloni e del suo degno compare Salvini di questi anni e di questi giorni hanno dimostrato ampiamente questo assunto.La cosa triste è che questi toni illiberali danno alla gente l'impressione che le forze populiste siano capaci di essere più concrete,franche e determinate.Tornano qui le considerazioni di Carl Schmitt quando egli constatava che le dittature appaiono più decisioniste che non le democrazie,le quali,invece,devono necessariamente attraversare processi decisionali e di rispetto dei meccanismi di "checks and balances".

Al polo opposto del populismo e dell’illiberalismo sta,per Croce,Mann,Ortega e Paul Valery,il liberalismo,cioè quell’ideale etico di apertura mentale, disponibilità al dialogo e larghezza di vedute.Chi fa esercizio di liberalità,chi accetta di ascoltare le ragioni dell’altro, rispetta i molti modi di essere o di pensarsi felici,e desidera un mondo che consenta alle inclinazioni e attitudini di ciascuno di fiorire. Gli ostacoli alla realizzazione delle proprie inclinazioni sono molti,ma è qui che la politica deve darsi il compito di rimuoverli. Questo è alla fin fine il più ambizioso obiettivo della democrazia liberale, ovvero di quel tipo di democrazia che cerca di far posto a tutti, anche a coloro che non fanno parte della maggioranza.

Difronte a queste considerazioni si comprende come la democrazia liberale non può ridursi alle sue pratiche istituzionali, presupponendo invece un insieme di condotte etiche,mentali e pratiche,che ognuno di noi,in prima persona,è tenuto a mettere in essere giorno dopo giorno,facendoci davvero democratici e liberali nella condotta quotidiana, prima ancora che nella vita di cittadini e nel rapporto con le istituzioni.Questo digifica essere liberali,per usare il titolo di un libro del grande pensatore americano Robert Walzer.E questo farsi liberale viene ancor più in evidenza col voto europeo,perchè questo è uno degli spartiacque del prossimo parlamento europeo e cioè l’accettazione dello stato di diritto democratico-liberale. 

Essere e farsi liberale signifa anche proporsi la domanda:“che tipo di uomo,che tipo di società vogliamo”.Paul Valéry riteneva,soprattutto in una delle sue grandi opere, In morte di una civiltà. Saggi quasi politiciche gli uomini si differenzino dagli altri animali per la capacità di “sognare”.Questo dunque bisogna chiedere alla politica,a queela "vera",almeno:concepire nuovi sogni e nuove visioni,oltre che creare le condizioni per realizzarli.Le visioni dei “conservatori europei” pretendono invece di costringere la nostra comprensione del mondo entro concetti vecchi e trapassati.La quotidianità delle nostre vite deve al contrario essere quella di una società aperta e inclusiva.Nuovi sogni come quelli che le grandi menti europee di Adenauer,Schumann,De Gasperi,Einaudi e Spinelli ebbero l’audacia di elaborare,pensando ad un'Europa che includeva un’unione energetica,militare e politica di cui constatiamo ancora oggi tutta la necessità.

I traumatici eventi delle guerre da cui l’Europa è circondata e l’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto dovrebbero fari capire l'urgenza di dare una risposta su quello che vogliamo essere,dell'idea di una nuova Europa che si vuole costruire,ma l'ondata crescente delle destre estreme,sovraniste e populiste,con le loro idee xenofobe,emarginatrici e violente,non sono certo un bel segnale.

03 giugno 2024

IL PROCESSO DI KAFKA



100 anni fa,il 3 giugno 1924,moriva in Austria Franz Kafka,uno dei massimi autori della letteratura del Novecento.Ancora oggi Kafka continua ad essere instancabilmente letto,forse perchè i suoi interrogativi,difronte a quell'angoscia esistenziale da lui raccontata,sono sempre attuali anche e forse proprio per il modello di società alienante nella quale viviamo.La sua attualità è rinvenibile soprattutto in quello che è forse il suo massimo capolavoro,"Il Processo" che in Italia,poi,diventa quasi simbolo dello sciagurato stato della giustizia nel nostro Paese.

Memorabile l'"incipit" del romanzo:"Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato".Comincia così quel romanzo dell'assurdo,dell'angoscia esistenziale che Kafka ci ha consegnato in tutta la sua drammaticità.Non illudetevi, sembra dire Kafka:anche la persona più metodica,ordinata,abitudinaria, priva di eccessi,come l’impiegato di banca Joseph K.(il protagonista del romanzo)improvvisamente una mattina può ricevere la visita di personaggi sconosciuti che gli comunicano un ordine di arresto,pur consentendogli di rimanere a casa.Eppure non c'è nessuna notifica formale,nessun capo di imputazione;tutto resta sospeso in una delirante e continua attesa di un motivo,di una esplicitazione degli addebiti,che consenta a K. di capire di cosa sia accusato.

E comincia così anche quell'assurdo addentrarsi nel mondo raccapricciante della Giustizia:Josef,come da convocazione,si reca al Tribunale e qui si trova a girare in una miriade infinita di stanze,aule,porte, scale, sottotetti comunicanti che si estendono a dismisura,nelle quali si aggirano personaggi torbidi,inquietanti,elusivi,formali,untuosi,grotteschi,che si attagliano al contesto istituzionale e simbolico dove K.,pur chiedendola,non riesce ad avere una spiegazione del suo arresto.

Kafka tratteggia così un sistema giudiziario sordo e ottuso, in cui la giustizia e la burocrazia di cui essa si serve è tanto impietosa quanto cieca, pervicace quanto violenta.Durante la prima udienza il giovane K. tenta di difendersi spiegando l’illogicità manifesta della situazione:si trova lì,davanti a giudici ostili ed anche il folto pubblico presente gli è avverso ed ogni sua argomentazione viene pregiudizialmente confutata o respinta senza spiegazione.

Già da questi passaggi non si capisce più se la legge sia,come dovrebbe,norma di condotta sociale e giuridica o se essa sia invece divenuta sinonimo di violenza e arbitrio:il tribunale sembra infatti retto da un potere corrotto e arbitrario che opprime con la violenza delle sue forme uomini innocenti .

La narrazione, pur se riferita ad una singola persona,assume un valore simbolico che trascende la condizione di un singolo imputato arrestato senza contestazione di reato e poi condannato senza che una sentenza sia mai stata emessa.“Il processo” è dunque l’allegoria dell’angoscia esistenziale vissuta dal Signor K. che diventa metafora e che si estende all’intera umanità assumendo la condizione di soccombenza e sconfitta esistenziale di fronte ad una giustizia braccio armato del potere che usa la burocrazia come peso asfissiante e insopportabile contro cui non c'è possibilità di difesa.

Questo paradigma di Giustizia si è ripetuto tante volte nella storia e lo ritroviamo intatto ai nostri giorni poiché,come tanti episodi di cronaca dimostrano - a partire dal caso Tortora - può riguardare ciascuno di noi,che,pur senza alcuna colpa,potremmo esser presi,dall'oggi al domani,nel meccanismo infernale della macchina giudiziaria,che ci porta fino all’incubo,al panico,alla presunzione di colpevolezza che si radica nella pubblica opinione anche se basata su sospetti,maldicenze,calunnie,pregiudizi.Perciò ‘Il processo’ kafkiano và al di là del tempo,perchè,nella violenza del potere della magistratura è un romanzo che si può riscrivere all’infinito.

"Il Processo" è stato ripreso in molte produzioni televisive e cinematografiche.Così,oltre allo sceneggiato tv specifico in due puntate di Luigi Di Gianni (regista di numerosi film di denuncia,come "Vajont","Nascita e morte nel Meridione")ve ne sono molti altri che hanno trattato la condizione angosciosa dell' individuo difronte a una Giustizia prepotente e prevaricante.Cosi ad esempio:"Detenuto in attesa di giudizio" di Nanni Loy, con Alberto Sordi.




Oppure:"La più bella serata della mia vita",di Ettore Scola,anch'esso interpretato da Alberto Sordi.E poi:"In panne.Una storia ancora possibile’,tratto dal romanzo dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt e "Una pura formalità",di Giuseppe Tornatore.In tutti questi film,proprio come nel capolavoro di Kafka,emergono in tutta la loro crudezza il tema della detenzione preventiva ma anche quello dell’insussistenza di un capo di imputazione e l’allegoria di un processo assurdo oppure il tema dell’interrogatorio dai toni inquisitori.Tutt'intorno una umanità assente che non si chiede perché e come quel fatto è accaduto e che anzi forse prova una qualche forma di godimento nel vedere qualcuno in carcere, nell' idea che in fondo "qualcosa avrà di certo fatto".

"Il Processo" è dunque una simbologia che abbraccia la vita e la morte e che instilla nell'individuo la sensazione che tutti siamo in fondo colpevoli di qualcosa,che l’innocenza non esiste(del resto proprio queste sono state le parole testuali usate dall'ex giudice di "Mani Pulite",Piercamillo Davigo,secondo il quale "non ci sono innocenti ma solo furbi che l'hanno fatta franca").In questa logica si arriva al capovolgimento dell'onere della prova,per cui è l'innocenza che va dimostrata e non il reato contestato.


Si diceva dell'attualità del "Processo";ed infatti molti aspetti dell'opera nel tempo non sembrano mutati: l’imprevedibilità e incontrollabilità dei giudizi;l’inattendibilità dei magistrati che dispongono a piacimento delle vite degli "altri",ritenendosi intoccabili,nella certezza che mai dovranno rispondere di eventuali loro errori.E ancora l’ignoranza verbosa degli avvocati "azzeccagarbugli",la difficoltà di conoscere i giudicati.Il dialogo col giudice,poi,più che inutile è impossibile.E intanto,in questo mare di malagiustizia,l'individuo è abbandononato senza garanzie dinanzi alla legge e nel processo,subendo,come ulteriore umiliazione,quella di chiedere come favore ciò che invece gli spetta di diritto.

Tutti questi restano ancor oggi come gli istituti del non-processo,della giustizia-ingiusta,come i segni del disagio dell’uomo eternamente soggetto al giudizio dei suoi simili, spesso non migliori e non più innocenti di lui.Sono temi che tuttora riconosciamo molto attuali proprio nel sistema giudiziario italiano,che comunicano sempre lo stesso senso di soffocante costrizione e di angoscia esistenziale che "questa" giustizia incute.