03 giugno 2024

IL PROCESSO DI KAFKA



100 anni fa,il 3 giugno 1924,moriva in Austria Franz Kafka,uno dei massimi autori della letteratura del Novecento.Ancora oggi Kafka continua ad essere instancabilmente letto,forse perchè i suoi interrogativi,difronte a quell'angoscia esistenziale da lui raccontata,sono sempre attuali anche e forse proprio per il modello di società alienante nella quale viviamo.La sua attualità è rinvenibile soprattutto in quello che è forse il suo massimo capolavoro,"Il Processo" che in Italia,poi,diventa quasi simbolo dello sciagurato stato della giustizia nel nostro Paese.

Memorabile l'"incipit" del romanzo:"Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato".Comincia così quel romanzo dell'assurdo,dell'angoscia esistenziale che Kafka ci ha consegnato in tutta la sua drammaticità.Non illudetevi, sembra dire Kafka:anche la persona più metodica,ordinata,abitudinaria, priva di eccessi,come l’impiegato di banca Joseph K.(il protagonista del romanzo)improvvisamente una mattina può ricevere la visita di personaggi sconosciuti che gli comunicano un ordine di arresto,pur consentendogli di rimanere a casa.Eppure non c'è nessuna notifica formale,nessun capo di imputazione;tutto resta sospeso in una delirante e continua attesa di un motivo,di una esplicitazione degli addebiti,che consenta a K. di capire di cosa sia accusato.

E comincia così anche quell'assurdo addentrarsi nel mondo raccapricciante della Giustizia:Josef,come da convocazione,si reca al Tribunale e qui si trova a girare in una miriade infinita di stanze,aule,porte, scale, sottotetti comunicanti che si estendono a dismisura,nelle quali si aggirano personaggi torbidi,inquietanti,elusivi,formali,untuosi,grotteschi,che si attagliano al contesto istituzionale e simbolico dove K.,pur chiedendola,non riesce ad avere una spiegazione del suo arresto.

Kafka tratteggia così un sistema giudiziario sordo e ottuso, in cui la giustizia e la burocrazia di cui essa si serve è tanto impietosa quanto cieca, pervicace quanto violenta.Durante la prima udienza il giovane K. tenta di difendersi spiegando l’illogicità manifesta della situazione:si trova lì,davanti a giudici ostili ed anche il folto pubblico presente gli è avverso ed ogni sua argomentazione viene pregiudizialmente confutata o respinta senza spiegazione.

Già da questi passaggi non si capisce più se la legge sia,come dovrebbe,norma di condotta sociale e giuridica o se essa sia invece divenuta sinonimo di violenza e arbitrio:il tribunale sembra infatti retto da un potere corrotto e arbitrario che opprime con la violenza delle sue forme uomini innocenti .

La narrazione, pur se riferita ad una singola persona,assume un valore simbolico che trascende la condizione di un singolo imputato arrestato senza contestazione di reato e poi condannato senza che una sentenza sia mai stata emessa.“Il processo” è dunque l’allegoria dell’angoscia esistenziale vissuta dal Signor K. che diventa metafora e che si estende all’intera umanità assumendo la condizione di soccombenza e sconfitta esistenziale di fronte ad una giustizia braccio armato del potere che usa la burocrazia come peso asfissiante e insopportabile contro cui non c'è possibilità di difesa.

Questo paradigma di Giustizia si è ripetuto tante volte nella storia e lo ritroviamo intatto ai nostri giorni poiché,come tanti episodi di cronaca dimostrano - a partire dal caso Tortora - può riguardare ciascuno di noi,che,pur senza alcuna colpa,potremmo esser presi,dall'oggi al domani,nel meccanismo infernale della macchina giudiziaria,che ci porta fino all’incubo,al panico,alla presunzione di colpevolezza che si radica nella pubblica opinione anche se basata su sospetti,maldicenze,calunnie,pregiudizi.Perciò ‘Il processo’ kafkiano và al di là del tempo,perchè,nella violenza del potere della magistratura è un romanzo che si può riscrivere all’infinito.

"Il Processo" è stato ripreso in molte produzioni televisive e cinematografiche.Così,oltre allo sceneggiato tv specifico in due puntate di Luigi Di Gianni (regista di numerosi film di denuncia,come "Vajont","Nascita e morte nel Meridione")ve ne sono molti altri che hanno trattato la condizione angosciosa dell' individuo difronte a una Giustizia prepotente e prevaricante.Cosi ad esempio:"Detenuto in attesa di giudizio" di Nanni Loy, con Alberto Sordi.




Oppure:"La più bella serata della mia vita",di Ettore Scola,anch'esso interpretato da Alberto Sordi.E poi:"In panne.Una storia ancora possibile’,tratto dal romanzo dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt e "Una pura formalità",di Giuseppe Tornatore.In tutti questi film,proprio come nel capolavoro di Kafka,emergono in tutta la loro crudezza il tema della detenzione preventiva ma anche quello dell’insussistenza di un capo di imputazione e l’allegoria di un processo assurdo oppure il tema dell’interrogatorio dai toni inquisitori.Tutt'intorno una umanità assente che non si chiede perché e come quel fatto è accaduto e che anzi forse prova una qualche forma di godimento nel vedere qualcuno in carcere, nell' idea che in fondo "qualcosa avrà di certo fatto".

"Il Processo" è dunque una simbologia che abbraccia la vita e la morte e che instilla nell'individuo la sensazione che tutti siamo in fondo colpevoli di qualcosa,che l’innocenza non esiste(del resto proprio queste sono state le parole testuali usate dall'ex giudice di "Mani Pulite",Piercamillo Davigo,secondo il quale "non ci sono innocenti ma solo furbi che l'hanno fatta franca").In questa logica si arriva al capovolgimento dell'onere della prova,per cui è l'innocenza che va dimostrata e non il reato contestato.


Si diceva dell'attualità del "Processo";ed infatti molti aspetti dell'opera nel tempo non sembrano mutati: l’imprevedibilità e incontrollabilità dei giudizi;l’inattendibilità dei magistrati che dispongono a piacimento delle vite degli "altri",ritenendosi intoccabili,nella certezza che mai dovranno rispondere di eventuali loro errori.E ancora l’ignoranza verbosa degli avvocati "azzeccagarbugli",la difficoltà di conoscere i giudicati.Il dialogo col giudice,poi,più che inutile è impossibile.E intanto,in questo mare di malagiustizia,l'individuo è abbandononato senza garanzie dinanzi alla legge e nel processo,subendo,come ulteriore umiliazione,quella di chiedere come favore ciò che invece gli spetta di diritto.

Tutti questi restano ancor oggi come gli istituti del non-processo,della giustizia-ingiusta,come i segni del disagio dell’uomo eternamente soggetto al giudizio dei suoi simili, spesso non migliori e non più innocenti di lui.Sono temi che tuttora riconosciamo molto attuali proprio nel sistema giudiziario italiano,che comunicano sempre lo stesso senso di soffocante costrizione e di angoscia esistenziale che "questa" giustizia incute.

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