Il tema delle carceri non ha mai scosso veramente la sensibilità civile e culturale della nostra società.Figuriamoci la politica,poi.Un tema divenuto drammatico se solo si pensa a tutto quell'universo umano che in esso é costretto a vivere.Sovraffollamento di strutture vecchie e fatiscenti,carenze igienico-sanitarie e nessun rispetto della dignità della persona.Poi,ogni tanto,se ne parla così,distrattamente e con un certo fastidio quando accade "qualcosa".Quando,ad esempio,apprendiamo dai media che in Italia c'é stato un altro suicidio in carcere(il 2022 é stato l'anno con il più alto numero di sempre di suicidi in carcere).O quando l'Italia riceve dal Tribunale Europeo dei Diritti Umani l'ennesima condanna per sovraffollamento delle carceri e violenze sui detenuti.Oppure quando si parla del caso Cospito e delle mostruosità dell'art. 41 bis.
ll problema,però,é anche culturale e si tratterebbe allora di riflettere sul senso del reato e del sequestro di vite,degli obblighi degli individui,della punizione e dello stato di diritto.E si tratterebbe di rileggere i testi di Beccaria("Dei delitti e delle pene"),Dostoevskij("Delitto e castigo"),Manzoni("La colonna infame"),Sciascia("A porte aperte"),Foucault("Sorvegliare e punire.Nascita della prigione").E proprio da un passaggio del libro del Manzoni si dovrebbe partire per richiamare alle proprie responsabilità soprattutto chi infligge la pena,cioé i magistrati.Scrive Manzoni:"Giacché è men male l'agitarsi nel dubbio,che il riposar nell’errore".Meglio un colpevole in libertà che un innocente in carcere.In una situazione di incertezza il propendere verso l’innocenza del condannato rappresenta un’attitudine mentale che dovrebbero avere tutti i giudici,perché,ricordando Montesquieu,essi hanno un potere “terribile”,quello di disporre della libertà dell'individuo.
L'articolo 27 della nostra Costituzione dispone che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.Ma nelle nostre carceri la rieducazione è un’affermazione vuota.Gli educatori sono pochi,gli strumenti riabilitativi scarsi,le possibilità di trovare lavoro dopo la galera quasi nulle.E intanto in carcere un detenuto vive una vita vuota di vita,in un mondo di noia e violenza,di piattume e nevrosi,in una condizione in cui la possibilità di trasformazione verso la restituzione in una società dei liberi,è pari a zero.Qui ritorna la lezione di Beccaria.Egli sosteneva che c'é un rapporto tra la qualità della vita,la giustizia sociale e i delitti.Per punire qualcuno bisogna prima porlo nella condizione di non potere sbagliare.Uno Stato ha o meno la legittimazione per punire una persona che vive in un quartiere dormitorio,che abbandona il ciclo scolastico perché nessuno vicino a lui crede nella centralità allo studio?E se non lo fa non é forse anche questo un delitto,questa volta dello Stato ?
Anche nella lotta alla mafia non é certo l'articolo 41 bis che può aiutare.E qui la lezione ci viene da Leonardo Sciascia.Il costante e ricorrente pensiero dello scrittore siciliano é che la mafia si combatte con il lavoro,con i libri,con la cultura,contrastando la dispersione scolastica.Cosa ha fatto lo Stato per andare in questa direzione? Non creare condizioni e attività per drenare l’acqua che alimenta la pianta mafiosa e puntare tutto sul 41bis vuol dire non saper guardare alla realtà,perché se tale strumento(previsto oltretutto in via temporanea ma poi continuamente prorogato)fosse stato efficace,dopo 30 anni di attuazione avrebbe combattuto e forse sradicato l’attività mafiosa.Il 41bis,in realtà,è solo una barbarie che ha come unico effetto quella di togliere vita(altro che articolo 27)a chi ne è sottoposto”. Certo, non esistono più le torture dei tempi di Torquemada,ma non è tortura essere obbligati a vivere per anni in una stanza di due metri per due,senza potere leggere né scrivere,senza potere abbracciare i propri figli?Non é forse anche questo un delitto,questa volta commesso dallo Stato?
Una società più equa e rispettosa dei diritti individuali é allora solo quella vitalizzata da una collettività che studia,che approfondisce,che partecipa fuori e dentro le istituzioni.Una società,cioé,che legge Beccaria,Foucault,Dostoevskij,Manzoni,con la consapevolezza che il problema delle carceri riguarda tutti.Perché,come diceva Voltaire:"Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri,poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”.
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