Il regime del 41-bis,il c.d. “carcere duro” introdotto originariamente in Italia con lo scopo di impedire ai capi mafiosi qualsiasi contatto con le loro organizzazioni criminali dentro e fuori dal carcere,ha aperto negli ultimi mesi un dibattito sulla legittimità di tale strumento e della sua compatibilità con le disposizioni costituzionali e con lo stesso Stato di diritto.E lo ha aperto a seguito della sua applicazione nei confronti del detenuto anarchico Alfredo Cospito,in sciopero della fame da più di 100 giorni.In questo periodo Cospito ha perso 35 chili e i parametri vitali sono al limite,ed il timore di una sua morte in carcere aumentano di giorno in giorno.Egli,però,ha dichiarato che non si fermerà finché lo Stato non abolirà del tutto l'art. 41-bis,non solo per lui ma per tutti i detenuti ai quali esso é applicato.
Cospito è detenuto per le condanne per due attentati di cui è responsabile:il primo riguarda l’esplosione avvenuta in provincia di Cuneo,davanti alla scuola allievi ufficiali dei carabinieri.Un atto che è stato qualificato come tentata strage e per il quale Cospito era stato inizialmente condannato a 20 anni di carcere.Dopo le due condanne in primo e secondo grado,la Cassazione ha riqualificato l’episodio come attentato politico alla sicurezza dello Stato,reato punito con l’ergastolo,oltretutto quello c.d. "ostativo"(una tipologia specifica di pena detentiva,che oltre ad essere perpetua,rispetto all’ergastolo chiamiamolo così,“semplice” impedisce al condannato di accedere a misure alternative o ad altri benefici di legge).Nel caso di Alfredo Cospito,il 41-bis è stato motivato da alcuni scritti che il detenuto ha pubblicato on line con i quali esorta i compagni anarchici a non rinunciare alla violenza.Secondo i giudici,questi scritti proverebbero un collegamento tra Cospito e i sodàli anarchici fuori dal carcere,e per questo è stato considerato capo ed ispiratore di un’associazione eversiva,la FAI(Federazione Anarchica Informale)anche se è stato documentalmente dimostrato che tale organizzazione non esiste più dal 2012.E se non c'è alcuna organizzazione di cui Cospito è a capo,viene automaticamente meno la condizione essenziale per l’applicazione del regime del 41-bis.
Ora, in base all’ordinamento penitenziario, il 41-bis è un regime che prevede l’isolamento totale dagli altri detenuti per ogni attività,compresa l’ora d’aria.Anche i colloqui con i familiari sono limitati per numero e durata e il detenuto non può fare nessuna telefonata,niente libri né giornali,niente fotografie appese al muro della cella di isolamento che contiene solo un letto,un tavolo e una sedia inchiodata al pavimento.La corrispondenza,sia in entrata che in uscita,è sottoposta ad un rigoroso visto di controllo.Praticamente un regime da carcere fascista.Perchè è facile capire che la durata prolungata di queste condizioni carcerarie provoca effetti dannosi capaci di alterare le facoltà sociali e mentali.
Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (C.P.T.)ha visitato le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione dei soggetti sottoposti al regime del 41-bis.Il Comitato difronte all'orrore del regime del carcere duro,ha ritenuto che le restrizioni del 41-bis erano inumani e degradanti.
E allora,se questo è,al di là dei tecnicismi giuridici,nel caso Cospito vengono a fondersi questioni fondamentali e basilari per uno Stato di diritto.E molteplici sono le domande che lo Stato e tutte le sue articolazioni istituzionali,Governo,Parlamento e Giudici devono obbligatoriamente porsi:fino a che punto può spingersi la risposta repressiva dello Stato contro le azioni,anche violente,dei suoi cittadini?E ancora:come può lo Stato accettare il fatto che un detenuto stia concretamente rischiando di morire per una protesta pacifica all’interno di un carcere,quando l’art. 27 della Costituzione italiana afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”?
Non si può essere indifferenti o,peggio,ottusamente di parte difronte a questioni dirimenti per uno Stato di diritto.Perchè Alfredo Cospito non ha fatto filtrare clandestinamente alcuna comunicazione all’esterno(e a chi poi?).I suoi sono proclami pubblici,diffusi attraverso il web o pubblicati da riviste anarchiche,firmati con nome e cognome e passati dal carcere all’esterno attraverso regolari canali postali.Ma lo Stato,ignorando tutto questo,accusa Alfredo Cospito di essere il capo di un’organizzazione terroristica che continuerebbe a dirigere dal carcere,estendendo così in maniera quantomeno discutibile la ratio di un regime che,già dal 2003, Amnesty International ha sostenuto equivalente in alcuni casi ad un trattamento del prigioniero "crudele,inumano e degradante".E c'è di più.Un giudice degli Stati Uniti ha negato all'Italia l’estradizione del boss mafioso Rosario Gambino,detenuto appunto negli USA,perchè,ad avviso dello stesso giudice,il 41-bis é addirittura assimilabile alla tortura.A tanto é arrivata la Patria di Cesare Beccaria.
Se Alfredo Cospito dovesse morire in carcere per l’eccessivo prolungarsi del suo sciopero della fame contro il regime del 41-bis per lo Stato italiano sarebbe un'immane tragedia,una sconfitta tremenda,perchè verrebbero meno i presupposti sui quali è fondata la nostra Costituzione che prevede diritti inalienabili ANCHE per il cittadino detenuto e aprirebbe inoltre un burrone nel quale precipiterebbero non solo il senso umano di rispetto della vita,di OGNI vita,tanto più se ristretta e costretta,ma anche il senso giuridico di uno Stato di diritto,con la negazione di tanti,troppi princìpi come la certezza della pena,del giusto processo e di una carcerazione "a misura d'uomo".Al contrario,riconoscendo che la vita del detenuto Alfredo Cospito è il bene supremo da perseguire,più importante di ogni disquisizione giuridica,si aprirebbe nel Paese un dibattito sulla reale efficacia dell’azione dello Stato per attuare quell’articolo 27 della Costituzione che è proprio quello che maggiormente definisce il livello di civiltà di un Paese.
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