Dopo molti anni ho riletto il romanzo "Ferito a morte" di Raffaele La Capria,Premio Strega nel 1961,nell'edizione rieditata da Mondadori.Un libro esistenziale,lo si potrebbe definire,perchè vi si parla di esistenze di gioventù agiate ma angosciate,in cerca del momento che dia significato e senso alle loro esistenze.Il momento che però sfugge sempre e che forse non si ha nemmeno il "coraggio" di cogliere.Il libro è un classico della letteratura italiana del Novecento.Ancor più per chi è napoletano.Perché di Napoli parla il libro,del clima speciale che questa città ha offerto a chi l'ha vissuta.Si racconta di giovani "vitelloni" napoletani(il primo titolo del romanzo era "Leoni a giugno")appartenti ad una classe agiata ma non troppo,con un certo grado di cultura e con la spregiudicatezza della gioventù,invischiata nel peso dei riti della tradizione.Massimo de Luca,il protagonista del romanzo,è l'incarnazione del dilemma di tutta la sua generazione,dei giovani leoni napoletani di quegli anni '60:se vuoi realizzare i tuoi sogni e le tue capacità non puoi restare in queste terre,non puoi restare a Napoli,ma partire è terribilmente difficile.Come si fa a lasciare quel mare,quel cielo,la famiglia,gli amori e gli amici,quell’atmosfera straziante,assieme dolce e amara nella quale sei nato e vivi?E mentre si affronta il dilemma,gli anni passano,i fallimenti pesano,la virtù e l’ambizione cedono il passo alla rassegnazione.E' ovvio che la vicenda raccontata da La Capria non riguarda solo i giovani napoletani,ma tutta la gioventù italiana di quegli anni;erano gli anni nei quali si cominciava ad uscire dall'ebrezza del boom economico e del miracolo italiano e ci si trovava,quasi senza accorgersene,in una società mutata e complessa,con tante tensioni e contraddizioni sociali ed economiche(in politica agli inizi degli '60 i socialisti entrarono per la prima volta al governo con la Dc,costuendo il primo centrosinistra,e in letteratura si creò il "Gruppo '63,di contestazione della cultura borghese).Le illusioni perdute di Massimo de Luca sono state in parte anche quelle di tanti che non hanno avuto il coraggio di lasciare Napoli e più in generale la tranquillità del quotidiano,per percorrere strade nuove e diverse.Forse proprio questa è la cifra del romanzo:una strisciante depressione e disillusione,un'angoscia esistenziale.Che cozza ovviamente col mito fallace di un Sud allegro e ottimista e di una Napoli "pizza e mandolino"."Depressione" è termine ambiguo,perchè riguarda aspetti economici e psicologici.Un orizzonte privo di speranza dentro di te implica la difficoltà di ogni investimento in termini umani e vitali,nel senso proprio di una vita degna di essere vissuta.Da cui ne consegue un futuro opaco che genera ulteriore tristezza e perdita del senso di sé.Di questo parla l’inizio folgorante di Ferito a morte,quando la spigola a portata di fucile subacqueo e tuttavia non presa istituisce la metafora della "occasione mancata".Occasione mancata che ripete quella dell’indimenticabile atto incompiuto con Carla,la donna amata da Massimo.Dopo tanti anni dalla prima lettura,il libro di La Capria ancora oggi emoziona e fa pensare.Il dilemma di "Ferito a morte" può essere riassunto nell'antico detto latino di Ovidio:"nec tecum,nec sine te vivere possum"("non posso vivere né con te,né senza di te").Se si vuole veramente capire più a fondo se stessi,bisogna avere il coraggio di mettersi nei panni di chi,come il protagonista del romanzo,Massimo de Luca,ama e contemporaneamente odia la "sua" Napoli,ritenendola,come una madre freudiana,fonte di gioia e di sofferenza.Per avere la realizzazione e la pienezza di te dovresti lasciare la "Foresta Vergine",la metafora splendida con cui La Capria battezza Napoli.Ma andarsene vuol dire perdere irrimediabilmente identità e certezze.Questa sono i confini dentro i quali vive il protagonista del romanzo nel quale il suo destino è inesorabilmente legato a quello degli altri giovani napoletani,abitatori della Foresta Vergine.Capire se stessi per capire anche quali siano i modi possibili per aiutare chi intenda assumersi il compito di governare Napoli e più in generale l'Italia.La risposta del dilemma è favorire,per quanto possibile,la realizzazione del sé senza la perdita dell’identità.Il che vuol dire spostare,a Napoli,al Sud,e più in generale in Italia,come parti dell'unico Villaggio Globale,nell'ambito di una economia mondiale e di un moderno mercato del lavoro digitalizzato,attività e opportunità di lavoro moderno e innovativo,in modo che i più capaci,volenterosi e dinamici non debbano necessariamente partire come Massimo de Luca vorrebbe ma non riesce a fare.Nell’era digitale forse capitale umano locale e grandi mercati globali si possono congiungere senza troppo muovere le persone. E puoi lavorare a Shanghai o a New York,standotene seduto a guardare,per parafrasare il libro dell'altra scrittrice,Annamaria Ortese, che di Napoli scrisse:"il mare che bagna Napoli".
Nessun commento:
Posta un commento