24 agosto 2020

TRA LE MURA DELL'ORRORE

Sono passati 40 dalla morte di Franco Basaglia,avvenuta nell'agosto 1980.Franco Basaglia,celebre psichiatra e neurologo veneziano,è considerato il fondatore della moderna concezione della salute mentale.Di sicuro la disciplina psichiatrica in Italia subì con lui profondi rivoluzionamenti,tali da essere ancora influenzata dai suoi studi.Ancora oggi in tanti leggono i suoi libri e i suoi studi,basati sulle sue quotidiane esperienze professionali.Perchè era l'esperienza e la cura quotidiana dei malati,più che gli studi e le teorie astratte che interessavano Basaglia.Così,infatti,egli diceva:"Direi che tutto l’apprendimento reale avviene fuori dall’università".E in tanti lo conobbero,tanti lo hanno amato ma anche odiato,anche tra i suoi stessi colleghi,come ad esempio Mario Tobino,psichiatra e scrittore(vinse il Premio Campiello 1972 con il libro "Per le antiche scale").Scrisse infatti Tobino:"Si viene a sapere che diversi malati,dimessi dai manicomi,spinti fuori nel mondo,nella società,per guarire,come proclamano i novatori,per inserirsi sono già in galera,arrestati per atti che hanno commesso.Nessuno più li proteggeva,li consigliava,gli impediva.Nessuno li manteneva con amorevolezza e fermezza,li conduceva per mano lungo la loro possibile strada.Ed ora precipitano,si apre per loro il manicomio criminale.La follia non c’è,non esiste,deriva dalla società.Evviva".Ma,al di là di queste roventi parole di Tobino, Basaglia comunque sarà ricordato come colui che ha ribaltato un mondo",come fu detto all'indomani dell'approvazione della Legge 180 del 1978,più nota come "Legge Basaglia".Ma ribaltato come?Qui non si vuole entrare nella specificità degli studi psichiatrici o degli altri ambiti scientifici sotto i quali la Mente umana è studiata.Forse,però,il più utile elemento per cercare di capire chi è stato Basaglia è quello di ricordare cos’erano i manicomi in Italia."Colà stavansi rinchiusi,ed indistintamente ammucchiati,i maniaci,i dementi,i furiosi,i melanconici.Alcuni di loro sopra poca paglia e sudicia distesi,i più sulla nuda terra.Molti eran del tutto ignudi,varj coperti di cenci,altri in ischifosi stracci avvolti;e tutti a modo di bestie catenati,e di fastidiosi insetti ricolmi,e fame,e sete,e freddo,e caldo,e scherni,e strazj,e battiture pativano".Può sembrare lo stralcio di un libro di Basaglia,ed invece sono parole dello psichiatra palermitano Pietro Pisani,che già nel 1824 approcciò il problema della malattia mentale in maniera innovativa,con l'introduzione di metodi più umani nella cura della follia,con l'abolizione di catene e bastoni e l'utilizzazione terapeutica di divertimenti e svaghi.(per inciso parlarono di Pisani sia Alessandro Dumas ne "Il Conte di Montecristo" che Leonardo Sciascia).

Si poteva pensare che un secolo e mezzo dopo Pietro Pisani tutto era radicalmente cambiato.Ed invece,nel 1971,una Commissione d’inchiesta sulle strutture psichiatriche del nostro Paese così relazionava:"Ci sono bambini legati con i piedi ai termosifoni o ai tubi dell’acqua,scalzi,seminudi,sdraiati per terra come bestioline incapaci di difendersi,sporchi di feci,dovunque un lezzo insopportabile".E ancora qualche anno dopo,il giornalista Felice Cavallaro,dopo una sua inchiesta, così scriveva sul Corriere della Sera:"Dormono con la schiena che sfiora il pavimento.Sprofondano giù perché le reti sono bucate al centro,corrose dalla pipì che con gli anni ha sciolto la maglia metallica.Di lenzuola nemmeno a parlarne.Puzzano anche le coperte.Tutto emana il fetore della morte in queste camerate dove quattrocento persone aspettano la fine come fossero animali".Era il 1987.La Legge Basaglia era stata approvata nel 1978 e prevedeva la chiusura di quelle bolge infernali.Sulla carta.Ma nella concreta attuazione della legge,di rinvio in rinvio,quelle infamie continuavano a sussistere.Eppure questo silenzio assordante,sul quale solo Pisani era intervenuto più di 150 anni prima,era stato lacerato già quasi da un decennio,appunto da Franco Basaglia.Nato a Venezia nel 1924,sposò Franca Ongaro,che sarà poi la compagna di mille battaglie.Basaglia cominciò a lavorare nel manicomio di Gorizia:"C’erano 500 internati-egli poi scrisse-ma nessuna persona".Ovunque "un odore simbolico di merda".Fu così che cominciò a maturare l'intenzione ferma di distruggere quella istituzione disumana che erano i manicomi.Fu una guerra totale:"Nei congressi si dice sempre che bisogna cambiare,ma nessun professore universitario si è sporcato una mano all’interno dei manicomi".Perciò Basaglia si rendeva insopportabile agli occhi di chi si sentiva toccato da quei giudizi.Ma lui non se ne curava.Continuava a picchiare duro,come del resto nei manicomi venivano picchiati i "suoi" malati.Fino a che non arrivò la celebre intervista del 1968 nel programma tv:"I giardini di Abele"di Sergio Zavoli :"Le interessa più il malato o la malattia?"chiedeva Zavoli a Basaglia."Decisamente il malato".Sembra una domanda banale,neppure da fare,con una risposta perfino scontata.Oggi.Ma nel 1968 solo quel chiedere e quella breve,fulminea risposta,furono una piccola,grande rivoluzione.Si metteva in discussione una consolidata prassi,una mentalità che nessuno mai,fino ad allora,aveva osato contestare.Basaglia riuscì così,in pochi anni febbrili,a spingere il Parlamento italiano a votare il 13 maggio 1978(cinque giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro)la "sua" legge,la 180.Ma presto i dubbi su quella legge cominciarono a inquietare perfino molti che l’avevano sostenuta.Come il poeta e deputato comunista Antonello Trombadori,che,pur avendola votata,definendola "sacrosanta",qualche anno più tardi si chiese,retoricamente,quali reali risposte aveva dato la "180" al proprio dramma familiare che lui viveva per la figlia,affetta da malattia mentale.Dall'altra parte,c'erano,invece,i "khomeinisti" della "180",quelli che,estremizzando le posizioni di Basaglia,affermavano l'intangibilità di quella legge.Ma nel momento chiave in cui la riforma avrebbe dovuto esser messa in pratica,il "Dottore dei matti"(questo il titolo di un libro su Basaglia)non c’era più.Morì,appunto,nell'agosto 1980.Cosa avrebbe detto su tutte le polemiche che la legge aveva aperto?Cosa avrebbe fatto difronte al dramma di Trombadori?Ovviamente le risposte non ci sono.Ma ad altre domande non è stata data ancora oggi alcuna risposta.La chiusura dei manicomi non fu affatto immediata.Di rinvio in rinvio arrivò solo 20 anni dopo.C’era tutto il tempo per fare le cose.Ma in tutto questo tempo dov'era lo Stato?E le Regioni?E le Aziende Sanitarie,tutti soggetti coinvolti nell'applicazione della "180"?Ma un'altra terribile,angosciante domanda dovrebbe porsi chi ha lasciato che,prima e dopo Franco Basaglia,esistessero gli orrori dei Manicomi.Quante vite sono state soppresse negli anni in quei luoghi di tortura?E non solo fisicamente.Quante sensibilità e capacità umane e artistiche e culturali di uomini e donne sono state soffocate sotto gli elettroshock,con le lobotomie,dentro i letti di contenzione?Quanti altri uomini e donne sono stati offesi nella loro dignità o soppressi tra quelle mura o fatti "vivere" in condizioni di orrore?Quanti altri poeti come Dino Campana e Alda Merini,o pittori come Antonio Ligabue,che pure furono ricoverati in quelle strutture,avrebbero potuto portar fuori da quelle mura i loro talenti,le loro capacità,le loro emozioni e sensazioni che avrebbero fatto viver meglio i cuori e le menti di tutti noi,così come Merini,Campana e Ligabue son stati capaci di fare con i loro scritti e la loro pittura?Nessuna Commissione d'inchiesta potrà mai accertarlo.Ma la risposta alla domanda non può  essere che "quella".Ed è una risposta terribile,appunto.







































15 agosto 2020

FERRAGOSTO

Ferragosto.Le immagini che ogni anno giornali e telegiornali ci rimandano,sono sempre quelle:spiagge affollate,sole accecante,barche al largo,su un mare piatto come una tavola,tanta gente sotto gli ombrelloni a ripararsi dall'afa.Eppure cinema e letteratura ci raccontano anche storie di altri e diversi ferragosti.Storie di città vuote e deserte,avvolte in silenzi surreali.Storie di gente che rimane in città perché vacanze non può permettersi.Il Ferragosto degli anni dopo il COVID ancor di più,poi,che ha causato altre e ulteriori povertà e una pesante crisi economica ed occupazionale.Queste città deserte ci sono state raccontate nel tempo da registi e scrittori;storie di gente "a parte",pezzi di storie di città vuote e di solitudini,non solo di un tempo ferragostano,ma anche di un angoscioso tempo esistenziale.E storie del cambiamento sociale del nostro Paese.Nel campo cinematografico indimenticabile rimane il film di Dino Risi "Il Sorpasso"

il commento 2 Ma l'eroe de «Il sorpasso» non gradirebbe ...

con il grande Vittorio Gassman,nelle vesti di un personaggio superficiale,arrogante,che a bordo della sua "Lancia Aurelia",prova sulle strade deserte del ferragosto romano,l'ebbrezza del sorpasso:una metafora di quello che era lo spirito del Belpaese negli anni '60:il costante desiderio di primeggiare,la rappresentazione di una corsa all'affermazione nella società del benessere senza valori,all'epoca del boom economico.Un altro film sul deserto del ferragosto è "Caro Diario" con Nanni Moretti in giro sulla sua "lambretta" per le deserte strade romane.


L'autore/attore Moretti,si scopre solo.Solo e con la consapevolezza della incomunicabilità tra lui e gli altri(a tal proposito è splendida la scena del semaforo e del suo parlar di "minoranze",nell'assoluta indifferenza dell'interlocutore).E c'è poi:"L'ascensore",nel film ad episodi diretto da Luigi Comencini,Nanni Loy e Luigi Magni,con la famosa scena dell'ascensore nel quale restano bloccati,nel giorno di Ferragosto,Alberto Sordi,nei panni di un imbarazzatissimo monsignore e una provocante Stefania Sandrelli.E ancora,"Un sacco bello" di Carlo Verdone,nel quale,a un certo punto,uno dei protagonisti che nel suo narcisismo credeva la sua vita sempre piena di impegni,apre la sua "agenda" e la scopre praticamente vuota di "appuntamenti":c'è solo l'indirizzo dello Stadio Olimpico,dell'elettrauto e di pochi altri nomi,a rappresentare il suo vuoto esistenziale,nelle deserte strade romane.In letteratura il giorno di ferragosto è raccontato da Alberto Moravia nei "Racconti Romani",nell'episodio intitolato "Scherzi di Ferragosto".Già l'input è significativo:"Tutto mi andava male quell’estate e,come venne Ferragosto,mi trovai a Roma senza amici,senza donne,senza parenti, solo".Oppure il libro di  Carlo Cassola:"Ferragosto di morte",nel quale il protagonista,nel vuoto ferragostano della città,fa un bilancio del vuoto della propria esistenza.Perfino Arturo Carlo Jemolo,grande giurista,massimo studioso di diritto ecclesiastico,scrisse un racconto dal titolo quasi identico a quello di Moravia":"Scherzo di ferragosto",(pubblicato nel 1983)un giallo il cui intreccio si dipana attraverso i decenni di storia italiana,i quali,in effetti,di gialli politici ne ha conosciuti davvero tanti.Anche Andrea Camilleri scrisse,tra i suoi tanti gialli:"Notte di Ferragosto",nel quale è ovviamente impegnato il "suo" Commissario Montalbano.Simpatica una frase del racconto di Camilleri:"Credo che andare in vacanza quando ci vanno tutti sia di una cafoneria imperdonabile".E poi c'è il vincitore del Premio "Campiello" 1993,Raffaele Crovi con "Ladro di Ferragosto".In uno dei passaggi finali del libro si legge."Strappo il foglio su cui ho tentato di scrivere la solitudine ferragostana di uomini e cani,di ciechi e preti,di ladri e innamorati(....)Ora cambio il titolo:"riscrivo il vecchio titolo.Ferragosto,l'inferno della sopravvivenza".Già,perché ferragosto non è solo un caldo giorno d'estate,pieno di allegria,gioia e  risate.E' anche,per molti e,purtroppo,sempre più gente,un freddo giorno di una vita "minore",fatto,come gli altri 364,di nuove povertà e vecchie emarginazioni,a volte vuoto di vita,o con vite dimenticate.