La Arendt nacque ad Hannover e la sua vita ebbe una piega drammatica con l’ascesa del nazismo:in quanto ebrea, si trovò ad affrontare la persecuzione.La fuga di Hannah Arendt dal nazismo fu un'odissea in varie fasi: dopo l'ascesa di Hitler nel 1933, fuggì in Francia, dove lavorò per il movimento sionista;nel 1940 fu arrestata in un campo di internamento dal governo di Vichy, ma riuscì a evadere grazie all'aiuto di amici,emigrò negli Stati Uniti,dove visse fino alla morte, continuando la sua opera di filosofa e scrittrice.Questa esperienza influenzò profondamente le sue riflessioni sul totalitarismo e la dignità umana, come narrato nelle sue opere "Noi rifugiati" e "Le origini del totalitarismo".
Di Hannah Arendt si ricorda di solito il suo famosissimo reportage sul processo Eichmann noto come "La banalità del male".Ma la sua opera fondamentale è certamente quella nella quale l'autrice riflette sul fenomeno del totalitarismo in tutte le molteplici forme nelle quali esso può manifestarsi e cioè Le origini del totalitarismo.La Arendt vide nel totalitarismo del suo secolo un fenomeno nuovo,completamente diverso da ogni altra tradizione precedente. Nei regimi totalitari gli individui sono come granelli di sabbia indistinguibili gli uni dagli altri.Ognuno sta nel proprio isolamento. In tali regimi la violenza è gratuita:è il terrore per il terrore.La Arendt parla di "male radicale", cioè del male fine a se stesso,senza senso e senza logica.
Di questo libro si discusse molto,perchè in esso la Arendt riflette proprio su una trasformazione nella natura umana.L’uomo che si era così perfettamente inserito negli ingranaggi dello sterminio della macchina nazista era l’uomo massa,"un uomo senza qualità"(a dirla con Musil)un uomo senza coscienza morale che era adattabile ad ogni evenienza, capace allo stesso tempo di sterminare i propri simili come di portare a spasso il cane.Per questo il nazismo ha rappresentato l’apparizione del male assoluto nella storia:esso ci ha dimostrato che in certe circostanze l'uomo è un nulla,solo un agente passivo in grado di compiere qualsiasi atto perchè nessun valore indirizza il suo agire.
Anni dopo,però,proprio nell'altra opera di cui si diceva,La banalità del male,Arendt rivide questa sua posizione.La filosofa tedesca raccontò il processo al criminale di guerra tedesco Adolf Eichmann,uno dei principali esecutori materiali della Shoah.Il processo si tenne in Israele dopo che il Mossad lo aveva catturato in Argentina.Proprio seguendo quel processo l'intellettuale tedesca maturò una nuova convinzione:il male fatto dall’aguzzino Eichmann è spiegabile in un modo differente e cioè che il male non è più qualcosa di eccezionale ma fa parte di noi e delle persone che ci sono vicine.Infatti di fronte ai giudici che lo accusavano dello sterminio degli ebrei, Eichmann sostenne che non aveva fatto altro che "obbedire agli ordini". Ad Eichmann mancò quello che la Arendt chiama "lo spazio pubblico",cioè il "mondo comune",quell'arena dove gli individui, attraverso il proprio agire etico-politico emergono nella comunità,rivelando il proprio essere e la propria unicità,superando la mera sopravvivenza biologica per realizzare pienamente il proprio essere umano e politico.E' quella che la Arendt chiama vita activa,è qui che gli uomini appaiono e si relazionano l'uno all'altro,esercitano la libertà politica e costruiscono un mondo condiviso che li collega tra di loro.E questo reciproco relazionamento è un argine contro il totalitarismo.Al contrario tutta la vita di Eichmann è un esempio di impossibilità di esprimere il proprio essere.E’ la singolarità,l'individualità,la capacità di autorealizzarsi come individuo che si mostra come tale, che permette che vi sia uno "spazio pubblico".
Ora Eichmann è esattamente l’esempio di una vita che non ha mai raggiunto la singolarità perchè ha sempre e solo eseguito.Ed infatti la sua è una esistenza impostata nell’obbedienza agli ingranaggi burocratici di potere, qualsiasi essi siano. Dunque il suo non è un vero agire, ma una ripetizione degli ordini ricevuti.La sua non è neanche un esistenza,la sua è una non esistenza.
“Le origini del totalitarismo" è l'opera più nota della Arendt.In questo libro monumentale la filosofa tedesca analizzò l’ascesa e la caduta dei regimi totalitari del XX secolo, in particolare il nazismo e lo stalinismo.La tesi principale del libro è che il totalitarismo è una forma di governo nuova e radicale, caratterizzata da un tipo di dominio mai visto prima nella storia.Nella sua concezione la Arendt sosteneva che il totalitarismo nasce dalla combinazione di elementi come l’antisemitismo, l’imperialismo e la politica di massa. La sua analisi ha avuto un profondo impatto sulla comprensione contemporanea del totalitarismo e ha generato un intenso dibattito accademico e politico.Lo stato totalitario,per l'autrice,è una grande novità nella storia,resa possibile dai regimi folli e sanguinari di Hitler in Germania e Stalin in Unione Sovietica,che,nonostante avessero due ideologie del tutto diverse avevano anche diversi punti di contatto.
Ma perchè nazismo e stalininismo si erano così tanto diffusi? La Arendt ne attribuisce la ragione al fatto che i loro capi politici avevano messo in pratica un’attività di organizzazione e mobilitazione delle masse.Dopo la Prima Guerra Mondiale, infatti, si era diffuso un grande senso di solitudine e di profondo sconforto da parte delle masse,che invece furono organizzate dai regimi totalitari che le fecero sentire coinvolte e appartenenti a un qualcosa.
Un regime totalitario,nella concezione della Arendt,si caratterizza per alcuni elementi.Anzitutto: 1) il capo ha un ruolo fondamentale, perché la sua volontà è indiscussa e infallibile. Ciò comporta che il suo pensiero diventi il pensiero del suo partito e quindi tutti necessariamente devono rispettarne la volontà;c'è poi 2) la violenza:si sviluppa un vero e proprio terrore perché i cittadini devono sottostare alla volontà del capo e, quindi, anche del suo partito. Questa violenza si manifesta grazie alla polizia segreta,che tiene sotto controllo ogni momento della vita dei cittadini,sia pubblica che privata.Il totalitarismo individua così quello che l’autrice chiama "nemico oggettivo",che non è un avversario politico reale, ma una creazione ideologica del regime,definito non da azioni concrete ma da un'ideologia(razza,classe)che lo rende un "portatore di tendenze" nocive, un elemento da eliminare preventivamente per "purificare" lo Stato, anche senza accuse specifiche, portando allo sterminio di massa e alla creazione di categorie di "indesiderabilità.Nel caso degli ebrei, ad esempio, la caratteristica era il fatto stesso di essere ebreo.Ed infine: 3) l’annullamento dell’individualità:la personalità e la dignità individuale vengono schiacciate e annientate,con l'utilizzo dei campi di sterminio,sterminio fisico ma anche morale,con la privazione di ogni libertà.La stessa Arendt nel 1940,mentre era in Francia,fu rinchiusa nel campo di internamento di Gurs,nei Pirenei. La sua esperienza nel campo fu menzionata anche ne “Le origini del totalitarismo" e,di sicuro,questo fatto ha segnato e definito profondamente il suo pensiero.
Il pensiero della Arendt elaborato ne "La banalità del male" è collegato anche a quello che poi sarebbe rimasto famoso come "esperimento di Milgram cioè uno studio condotto nel 1961 dallo psicologo statunitense Stanley Milgram che,sebbene non direttamente legato al processo Eichmann,fu da esso ispirato.Nell'esperimento si voleva indagare fino a che punto alcuni soggetti erano disposti ad obbedire a un’autorità,anche andando in conflitto con i propri valori etici e morali.Milgram vedeva l'esperimento come un tentativo di risposta alla domanda "È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?".I risultati furono scioccanti:risultò che una sorprendente percentuale di partecipanti era disposta a infliggere ciò che credevano fossero dolorose scariche elettriche ad un’altra persona,e solo perché un’autorità lo ordinava.Questo esperimento dimostrava ciò che Eichmann sostenne a più riprese:stava semplicemente mettendo in pratica ciò che gli dicevano di fare.
I risultati di questo esperimento ebbero una grande risonanza,specialmente se raffrontati col comportamento di Eichmann durante l’Olocausto.Il parallelo tra i due momenti mette in luce una preoccupante verità sulla natura umana:le persone possono commettere atti terribili,non per malvagità innata,ma per obbedienza cieca all’autorità.Fu questo che fece modificare alla Arendt la sua iniziale concezione sul male innato nell'uomo.
Hannah Arendt seguì il processo a Eichmann a Gerusalemme per conto del New Yorker,con l'intento di analizzare il male, ma rimase colpita dalla insignificanza e dalla mediocrità del criminale nazista,dalla sua "assenza di pensiero",evidenziando come Eichmann non fosse un mostro,ma un burocrate zelante,incapace di capire la portata delle proprie azioni e le conseguenze,un "suddito ideale" del totalitarismo, un fenomeno che si manifesta nell'incapacità di distinguere vero e falso,mettendo in luce così,l'importanza del pensiero critico come antidoto.
Hannah Arendt,infatti,con la sua tesi sulla "banalità del male",ha mostrato come il male possa nascere non solo da intenzioni malevoli, ma anche da un totale disinteresse per le conseguenze delle proprie azioni.La sua analisi del processo Eichmann e l’esperimento di Milgram, continuano a influenzare il nostro modo di pensare sulla responsabilità individuale,l’autorità e le azioni compiute in nome dell’obbedienza.
Ci furono molte polemiche sulla concezione della "banalità del male" della Arendt,a partire dallo stesso mondo ebraico,nel quale si riteneva che il fenomeno del nazismo era stato sottovalutato dall’autrice.In realtà ciò che Arendt cercava di sostenere era che i crimini compiuti dai nazisti non derivavano tanto dalla loro cattiveria d’animo quanto piuttosto dal fatto che fossero stati privati,nel tempo,della propria autonomia di pensiero.I nazisti sono delle banalissime persone, inserite in un meccanismo che li ha privati della propria individualità ma soprattutto della propria capacità di pensiero, spogliandoli del loro stesso essere uomini.Il messaggio finale dell’opera, infatti, è che il nazismo non è il male:il vero male sta nell’aver portato degli uomini banali a perdere talmente tanto la propria umanità da essere capaci di compiere delle atrocità mai viste prima.
In un'altra sua opera,“La via della mente“,la Arendt prosegue il suo percorso di indagine sulla capacità di pensare e di giudicare.Si tratta di un’indagine sulla natura del pensiero, su come questo incide sulla vita sociale e politica e può guidare l’agire umano.Tesi centrali dell’opera è la distinzione tra sapere e pensare:il sapere,legato alla scienza e alla tecnologia,tende a cercare risposte definitive, mentre il pensare è un’attività che non si risolve in una conclusione definitiva, ma è un processo continuo e critico. Il pensiero è l’attività che ci permette di riflettere sulle nostre azioni, di metterle in discussione, di cercare significati più profondi.E dunque per l'Arendt il pensiero è fondamentale:l’abilità di pensare in modo critico e di giudicare autonomamente è ciò che ci permette di resistere alle ideologie totalitarie e di agire responsabilmente nel mondo.“La via della mente" è, quindi, un testo fondamentale per comprendere il pensiero di Arendt e la sua visione della filosofia come strumento di resistenza contro la banalità del male e l’obbedienza cieca all’autorità.