14 luglio 2025

ALEX, L'UOMO DEL CONFINE







Per scrivere il post sul genicidio di Srebrenica,ho raccolto un pò di documentazione e letto qualche giornale e siti web.Tante sono le storie che ho letto,tanti i drammi personali e collettivi che mi hanno coinvolto profondamente.E tanti sono stati anche i personaggi e le figure che ho "incontrato" dentro quel dramma.Ma una su tutte è quella che si eleva per la sua grandezza civile,politica ed umana,ed è quella di Alexander Langer. 

La memoria e il dramma di Langer è strettamente connessa alla memoria e al dramma di Srebrenica.Proprio 30 anni fa,infatti,una settimana prima del genocidio di Srebrenica,Alex Langer decise di togliersi la vita e abbandonare "questo" mondo.
Nato a Vipiteno,crebbe in una famiglia laica e liberale molto colta,che anni prima aveva sofferto le persecuzioni nazifasciste.Suo padre,medico ebreo,era sopravvissuto grazie all’aiuto di alcuni italiani.La madre,farmacista altoatesina cattolica,era stata tra i protagonisti della battaglia contro le “opzioni”,cioè l'obbligo imposto dal fascismo ai sudtirolesi:l’esodo in Germania o l’italianizzazione.La loro azione,anche nell'educazione del figlio,fu improntata al dialogo interetnico tra italiani e tedeschi altoatesini.Quel vissuto familiare incise profondamente sulla formazione culturale e civile del giovane Alex.

Il dramma bosniaco è intimamente intrecciato con l’impegno, civile, umano e politico del “saltatore di muri” e costruttore di ponti,così come egli stesso si definiva.
Langer si impegnò a fondo e con tutto il proprio essere per fermare la corsa che stava portando verso il baratro la ex-Jugoslavia.Non perdeva occasione, seppure nel suo stile mite e pacato,con quel suo viso bambino,di esprimere forti critiche nei confronti di chi, anche all’interno del movimento ecologista(Langer fu parlamentare europeo dei Verdi)appoggiava le rivendicazioni secessioniste delle repubbliche federate.Perchè nella sua visione lungimirante era consapevole che la deriva etno-nazionalista avrebbe potuto provocare conseguenze devastanti.Del resto quello che stava accadendo nei Balcani,con le molteplici guerre dell'ex Jugoslavia tra Croazia,Serbia,Bosnia,Kosovo e Macedonia,lui lo stava vivendo dentro di sè nella sua terra d’origine.Il dialogo interetnico e interculturale,come gli avevano insegnato i genitori,era una professione di fede ed era proprio per questo che quello che gli interessava era saltare muri e costruire ponti per ristabilire canali di comunicazione fra i pezzi di una società civile sconvolta e travolta da un torrente in piena di odio atavico e irrazionale.

L’Europa muore o rinasce a Sarajevo” era la lettera che,su iniziativa di Langer,sottoscrisse un nutrito gruppo di europarlamentari,rivolgendosi ai leader europei riuniti a Cannes in Francia,alla fine di giugno del 1995. “Basta con la neutralità tra aggrediti ed aggressori, apriamo le porte dell’Unione europea alla Bosnia,bisogna arrivare ad un punto di svolta!”.
La capitale bosniaca era sotto assedio dall’aprile del 1992 con i paramilitari serbi di Ratko Mladic che martellavano incessantemente con cannoni e mitraglie la popolazione civile. Rompendo ogni indugio Langer si pronunciò per un forte intervento di polizia internazionale possibilmente sotto l’egida dell'ONU già impegnate sul campo ma inefficaci per le limitate regole di ingaggio.Perchè poi è questo il vero pacifismo,senza false ipocrisie.E invece i pacifisti,sia italiani che europei,si spaccarono,e la stampa italiana d’area attaccò pesantemente Alex mettendolo sul banco degli imputati per le sue posizioni.L’Europa era ripiombata nell’incubo della guerra eppure assisteva passiva, incapace(come sempre,come anche oggi si sta vedendo con l'Ucraina)di produrre un’iniziativa credibile che ponesse fine al macello. Langer, tuttavia,non si diede mai per vinto tentando disperatamente di individuare spiragli di pace.
Proprio per diffondere quel suo "Manifesto" sulla Rinascita dell'Europa a Sarajevo,Alex Langer iniziò un tour europeo toccando le grandi città del vecchio continente per illustrare il suo modello di società interetnica,antitetico ai proclami feroci dei leader nazionalisti, impersonati dal pattume umano di Slobodan Milosevic e Radovan Karadzic.
Langer,in quel suo giro europeo,andò spiegando il senso di quel suo "abbattere i muri" e "costruire ponti",parlando,in particolare della Bosnia che era un Paese "diverso",ancora capace di scavalcare le barriere etniche,identitarie e nazionaliste,dove ancora si svolgeva una vita collaborativa e di rispetto tra le varie etnie ex jugoslave.
A considerare oggi quegli sforzi di Langer si deve tristemente rilevare che le gabbie etniche contro le quali Alex si era battuto,diventarono le fondamenta sulle quali fu edificata la Bosnia-Erzegovina attuale con gli accordi di Dayton del 1995,che se sancirono la fine del conflitto,crearono,però una pace "fredda",vuota,senza prospettive di normalità,di dialogo e progresso civile e sociale,cristallizando le fratture etniche senza riuscire a sanarle.Proprio l'opposto di quello per cui Alex si era speso per una vita intera.
Ma la memoria di Alexander Langer rimane viva e presente.Perchè Alex Langer fu "l'uomo del confine".Passava da una parte all’altra,ma non come fanno gli opportunisti,ma perché bisogna essere “mediatori,costruttori di ponti,saltatori di muri,esploratori di frontiera”.Perché c'è bisogno di “traditori della compattezza etnica”,la quale antepone l’io e il gruppo, alla comune natura umana. Traditori “ma non transfughi”.

Anche il suo congedo dalla vita ha un significato:come tutti i profeti ha sentito la fatica del fare ancora nonostante tutto e del sentirsi in colpa per non esserci riuscito,pur consapevole di quanto sia difficile essere,come lui voleva essere,uomo “senza frontiere”.Abitare la frontiera, il confine non è un’azione facile. Solitamente concepiamo il confine come una linea che tiene distinti e separati territori, lingue, culture, identità. Ma è proprio lì,sul confine che Langer ci ha fatto intravedere che lingue culture e identità si incontrano e si incrociano. Si può decidere di abitare dalla parte del “noi” oppure di vivere con gli “altri”, non accanto ma insieme, stare su una delle due sponde oppure costruire ponti, come Langer ha insegnato e,come lui diceva:"Sul mio ponte si transita in entrambe le direzioni, e sono contento di poter contribuire a far circolare idee e persone”.

Tra le sue intuizioni più geniali ci fu il rovesciamento del mito olimpionico dell’atleta citius, altius, fortius (“più veloce, più in alto, più forte”)elevato poi a modello culturale di riferimento in un’epoca che già lasciava intravedere i nefasti effetti che sarebbero stati prodotti,non molti anni dopo,dall’avvento,nell'economia come nell'umano,da una globalizzazione e competizione esasperata e feroce che generava crescita delle disuguaglianze e idolatria del guadagno a danno dell'individuo(poco più di 10 anni dopo ci sarebbe stato il dramma economico e umano di  Lehman Brothers).In contrapposizione a questa logica Alex Langer parlò invece di "lentius,profundius, soavius (“più lento, più profondo,più lieve”),nel senso di ridurre la frenesia dei modelli della vita moderna,prendendosi il giusto tempo per apprezzare il momento,di cercare significati più profondi dell'esistere,coltivando introspezione e relazioni con l'altro,e agire con gentilezza e compassione verso se stessi e gli altri evitando le aggressioni e la competizione sfrenata.Secondo Langer,cioè,occorreva riscoprire e praticare i limiti: rallentare,abbassare,attenuare i ritmi economici e di consumi per dare spazio all'ascolto pacato delle ragioni dell'altro,allo studio e alla riflessione.
Quella mattina del 3 luglio 1995,quando lui decise di lasciare questa vita,fu ritrovata nella sua auto quasi come un’esortazione a chi restava,uno struggente invito a portare avanti anche in suo nome le battaglie sotto il cui peso lui era alla fine rimasto schiacciato:"Non siate tristi. Continuate in ciò che era giusto”.Poche parole che rappresentavano quasi il testamento politico di un uomo che aveva consumato la propria vita, senza mai risparmiarsi,per i suoi ideali di pace e di convivenza tra i popoli, per l’utopia di un mondo migliore.

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