22 aprile 2024

PIETÀ PER GAZA




Una foto a volte dice più di mille parole:dice tanto,talora tutto.Come "quella foto".La foto scattata dal fotoreporter palestinese della Reuters,Mohammed Salem."La Pietà di Gaza" è stata ribattezzata la foto che ritrae una donna palestinese, accovacciata per terra, mentre stringe a sé, quasi cullandolo,il corpicino,avvolto in un sudario bianco della nipotina morta in un attacco israeliano nella Striscia di Gaza.Quell'immagine,per l'immediatezza del sentimento che suscita e la forza che ha saputo rendere ha vinto l'edizione 2024 del World Press Photo,il più importante premio al mondo di fotogiornalismo.
"La Pietà":perchè pur non mostrando i visi dei due soggetti,ricorda,in tutta la sua drammaticità,il capolavoro di Michelangelo.Un'immagine che,secondo molti osservatori, potrebbe diventare una statua come quella di Michelangelo,un monumento e comunque certamente il simbolo capace di rappresentare tutta la drammaticità di questa guerra.

Questa guerra,come tutte le guerre,di niente ha pietà.La guerra non guarda in volto nessuno,bambini,donne,anziani o malati.La guerra lascia dietro di sè sguardi allucinati,grida di orrore,di indicibile dolore.Ma la guerra lascia anche un disumano,straziante silenzio.Ed è proprio quel silenzio straziato che "quella" foto è stata capace di (ri)prendere e rendere agli occhi del mondo,o almeno di quel mondo capace di conservare ancora un senso di pietà ed Umanità.

Una donna viva che stringe a sé le spoglie di una bambina morta,quasi a volerle ridare vita.L’iconica rappresentazione di un dolore profondo,ammutolito dagli orrori e dall’ingiustizia della guerra che semina la Morte,che falcia la Vita.La cosa che da subito colpisce sono le dita della mano della donna che sfiorano quel corpicino avvolto in un bianco sudario,una carezza leggera di immensa pietà che ci dice,che DEVE dirci che nonostante tutto siamo umani e che umani DOBBIAMO restare.

Non si può rimanere indifferenti dinanzi a questa foto:solo chi  non ha sentimenti può passare oltre e stringersi nelle spalle.E invece no.Quella foto racconta tutte le sofferenze del mondo.Perché la sofferenza non ha patria, non c'è bandiera sotto la quale non la si possa riconoscere.Perchè quella foto suscita il pianto,anche se non sappiamo chi c'è in quel bianco sudario,anche se non si vede il viso della donna.Va superato ogni pudore e vergogna e dobbiamo piangere per tutti i nostri morti:per quelli che abbiamo avuti accanto,che ci hanno amato e che abbiamo amato(un sentimento  raccontato con meravigliosa delicatezza da Pascoli   ne la sua "L'ora di Barga":"è tardi! è l’ora! Sì,ritorniamo dove sono quelli ch’amano ed amo");ma dobbiamo piangere anche i morti sconosciuti,soprattutto se morti bambini.

Piangere per i morti di Gaza e per quelli di Israele;per quelli d'Ucraina e per quelli di Russia,e ancora per gli immigrati naufragati in mare,come il piccolo Alan Kurdi,il bambino siriano di 3 anni,il cui cadaverino fu ritrovato in riva al mare su una spiaggia in Turchia.



E piangere per tutti quelli che si suicidano in carcere e per i tanti,sempre troppi,morti sul lavoro.E' questo il sentimento che ci consegna quell'immagine di quella foto.E' la nostra possibilità,forse l'unica,forse l'ultima,per restare umani.Per evitare l'indifferenza che può derivare dal pensare che in fondo sono "solo" morti lontani e sconosciuti,come le persone della foto.Per non farci indurire il cuore difronte al dolore del mondo.Per non inaridirci nel duro sentimento del rancore,stando a pesare se il dolore per la morte di tanti palestinesi può equivalere all'immenso dolore per gli orrori subiti da Israele il 7 ottobre.

Non possiamo,non dobbiamo aspettare di capire come è stato e chi è stato.Dobbiamo solo piangere davanti a quella foto,perché una bambina di 5 anni avvolta in un lenzuolo bianco ha sempre ragione,qualunque sia la sua terra e la sua razza.
Dobbiamo avere il coraggio di commuoverci dinanzi a quella carezza ostinata della zia che non si rassegna a vederla morta e che la tiene e non vuole lasciarla  andare.
Sì,è davvero giusto chiamarla "La Pietà" quella foto,come il capolavoro di Michelangelo:nostra Madre Maria a occhi bassi con il figlio marmoreo tra le braccia in un profondo sentimento di dolore per quel Corpo dilaniato e offeso dalla brutalità dell'uomo




C'è un "sovrumano silenzio"(direbbe Leopardi)in quella foto che ci arriva da Gaza.Un muto sentimento di dolore come quello descritto ancora e sempre da Giovanni Pascoli nell'altra sua poesia "L'aquilone", dove racconta di un suo antico compagno di giochi,della sua morte prematura,e,di sua madre che,accanto al suo corpicino morto,gli pettina i bei capelli a onda,"adagio,per non fargli male".

Dovremmo piangere difronte a questa foto che ci parla del dolore di Gaza e di tutto il dolore del mondo.Piangere e dire  NO a quest' immane tragedia di Gaza,a questo sconfinato strazio del popolo di Palestina.Per dire NO a tutte le guerre  che sconvolgono la terra. Ritornare a guardare questi due corpi della foto che formano quasi una croce:una croce che deve ricordarci che la croce la portiamo tutti, ed è la stessa, più piccola o più grande, è sempre una croce.E forse se per un momento,un solo momento,immaginassimo che quella donna senza volto improvvisamente alzasse gli occhi verso di noi,potremmo riconoscere il nostro volto nel suo volto .

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