Nel precedente post pensavo a come ha vissuto la notte di Natale e quella di Capodanno tutta quella gente,il popolo degli invisibili,dei clochard,quel popolo che vive ai margini e all'ultimo gradino della scala sociale del nostro mondo "perbene" e "civile",di questa società antropofaga di umanità.
Ma non ci sono solo loro.All'inizio di quest'anno 2024 vengono alla mente le parole di una canzone scritta giusto 30 anni fa,nel 1994,da Renato Zero:"Nei giardini che nessuno sa".30 anni e ancora oggi valgono le parole del cantante romano.Hanno lo stesso valore perchè nulla mai cambia in questa mummificata realtà sociale e politica italiana.
E' una canzone struggente quella di Renato Zero,che commuove e colpisce nel profondo.E' bella nella sua drammaticità.Vera e propria poesia. “Nei giardini che nessuno sa” è dedicata a tutte quelle persone sole e fragili, anziane o con disabilità,affette da patologie psichiatriche e anziani con un immenso bisogno d’affetto.Il finale della canzone,poi,sembra essere un richiamo e un'accusa a tutta la società e a ognuno di noi.L'artista infatti si rivolge a tutti coloro che, senza nessun sentimento, ignorano questi esseri umani sofferenti, fingendo di non percepire il loro disagio,la loro solitudine e la malinconia che li accompagna, portandogli via gli ultimi sogni di speranza.
Renato Zero nel brano descrive le sensazioni emotive ed il gelo esistenziale degli individui più deboli e fragili e la mancanza di affetti,in un vissuto senza alcuna felicità,mentre la vita inesorabilmente scivola via,e non resta nemmeno più la forza di piangere:
“Senti quella pelle ruvida,un gran freddo dentro l’anima, fa fatica anche una lacrima a scendere giù.Troppe attese dietro l’angolo,gioie che non ti appartengono,questo tempo inconciliabile gioca contro di te”.
Quelle persone rimangono così, tristemente sole in attesa di un qualcosa che non avverrà,in attesa di persone e affetti che invece non verranno mai,sentendo dentro l’anima le uniche cose che gli sono sempre accanto:solitudine e depressione:
“Ecco come si finisce poi, inchiodati a una finestra noi, spettatori malinconici di felicità impossibili; tanti viaggi rimandati e già, valigie vuote da un’eternità, quel dolore che non sai cos’è, solo lui non ti abbandonerà, mai”.
Forse la cifra più alta di tutto il brano di Renato Zero è data nell'accento posto su quella indifferenza che gli uomini hanno verso quelle persone che nella vita sono state sfortunate e cioè i disabili, chi è costretto a lottare con una grave malattia, chi combatte con la depressione, chi non è in grado di vivere autonomamente,chi soffre di disturbi mentali o chi è nella fase conclusiva della sua vita e si trova solo a lottare con le difficoltà della vecchiaia.
Renato Zero, nel brano, si rivolge a tutti noi,alle persone,per così dire,"normali"(ma che significa poi "normali"?).Perchè se quelli della canzone sono soggetti "diversi" e disabili,noi tutti siamo "inabili" perchè non riusciamo a lenire o evitiamo volutamente di interessarci delle sofferenze di queste vite.
Commuove la canzone di Renato Zero.Ma è anche un pugno nello stomaco.Siamo tutti presi nel nostro squallido egoismo e nel nostro arrivismo capace di passare su ogni cosa fingendo di non sapere che nel mondo esistono anche queste realtà sfortunate che cercano una mano amica per non smettere di credere in un futuro o per finire con dignità i propri giorni.
"I giardini che nessuno sa" è la voce che Zero dà ai silenzi strazianti di quel popolo di fragili,la metafora dei luoghi della sofferenza come ospedali, ospizi o centri di igiene mentale dei quali ultimi forse solo Franco Basaglia s'era interessato.
E' un brano eccezionale da ascoltare e riascoltare,ancor di più in questi giorni natalizi,nelle quali,a differenza di quei fragili ed emarginati,siamo stati insieme con i nostri familiari e tanta altra gente,anche se poi magari quei rapporti sono contrassegnati da ipocrisia e falso perbenismo.
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