25 febbraio 2019

LA LIBERTA' LIBERALE




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Il 25 febbraio 1866 nasceva a Pescasseroli Benedetto Croce,uno tra i massimi filosofi e storici del pensiero contemporaneo,esponente del neoidealismo e dello storicismo,ideologo del liberalismo politico italiano(famosissima la disputa intellettuale che ebbe con Luigi Einaudi,l'altro grande liberale italiano,sul rapporto tra liberalismo e liberismo)venendo poi proclamato Presidente a vita del Partito Liberale Italiano.E pur da diversissima sponda,anche Antonio Gramsci,il più elevato intelletto marxista italiano,ne riconobbe la grandezza culturale e morale definendolo “il papa laico della cultura italiana”.Croce visse nel tempo nel quale l’Italia risorgimentale lasciava definitivamente il posto a quella unitaria e poi nel tempo nel quale si stava dando forma all'architettura del nuovo Stato repubblicano attraverso l'Assemblea Costituente,della quale fu componente,assieme al cattolico De Gasperi e al comunista Togliatti.Abruzzese di nascita,visse soprattutto a Napoli.Era in ferie nell’isola d’Ischia,quando i 90 secondi del terremoto di Casamicciola lo resero orfano di entrambi i genitori.Ad aiutarlo fu lo zio Silvio Spaventa,intellettuale di elevatissimo livello,presso il quale andò a vivere a Roma.Qui fu allievo di Antonio Labriola("il mio maestro" lo definiva Croce).Proveniente da questo empireo di esperienze culturali,quando tornò a Napoli,Croce andò ad abitare nella casa in cui aveva vissuto Giovan Battista Vico e nella quale il filosofo e storico aveva elaborato la sua teoria sui "corsi e ricorsi storici".Fu in quella casa che,attorno a "Don" Benedetto,si raccolsero intellettuali,politici e giovani,che svilupparono riflessioni storiche e filosofiche sulla rivista culturale "La Critica",da lui fondata.All’avvento del fascismo,non ne avvertì da subito i pericoli,ritenendo che l’intervento di Mussolini nella difficile e malferma situazione politica degli anni ’20,potesse rappresentare il passaggio necessario ma provvisorio,per ricondurre il paese agli ideali originari.Un “incidente della storia” lo definirà,un evento provvisorio,“un ponte per la restaurazione di un più severo regime liberale”.Ma non tardò a capire la vera natura del fascismo,a ripugnarlo e a combatterlo,scrivendo,su invito dell'altro liberale Giovanni Amendola,il Manifesto degli intellettuali anti-fascisti” immediatamente subendone le conseguenze,dovendo vedersi la casa devastata dalle squadracce del regime fascista.La sua opposizione al fascismo determinò la rottura del suo sodalizio culturale,oltrechè amicale,con  Giovanni Gentile ,l’altro grande della filosofia idealista del tempo.In considerazione della sua autorevolezza,però,Mussolini dovette tacitamente consentire che Croce continuasse a pubblicare "La Critica",una sorta di “alibi” del Duce per difendersi da chi, soprattutto all’estero, ne accusava l’oscurantismo intellettuale.Ma Croce non lesinò critiche ed opposizione in senato,come quando, nel 1929,da assertore del principio cavouriano di “libera chiesa in libero stato”,disapprovò il Concordato tra Italia e Santa Sede che a quest’ultima e all’organizzazione ecclesiastica nazionale riconosceva non pochi privilegi.Croce non era anticlericale ma quando più tardi,nel 1942,scrisse "Non possiamo non dirci cristiani",essa non fu professione di fede,come qualche storico e critico letterario ha pure sostenuto,ma solo il riconoscimento del ruolo storico del cristianesimo nelle coscienze e nella società occidentale.Alla Liberazione,il prestigio personale travalicava le frontiere nazionali;in Europa e negli Stati Uniti,ebbe numerosi estimatori tra i quali Albert Einstein che con lui trattenne corrispondenza costante.Significativi, in proposito,i giudizi espressi dal premier inglese Winston Churchill e dal presidente Usa Franklin Delano Roosvelt e le richieste di suoi scritti che gli fece il "New York Times".Dopo il fascismo  tornò come capo dei Liberali italiani.Famosa la sua lettera,scritta nel 1951,un anno prima della sua morte, rivolta ai "liberali e a coloro che si determinano ad iscriversi al Partito Liberale",nella quale esternò il perché il Partito Liberale possa mai definirsi "di Destra o "di sinistra".Semmai "partito di Centro",pur trattandosi di un centro mobilissimo di volta in volta rivolto "cioè con atti,a seconda delle esigenze,di progresso,anche spinto,o di conservazione".
Quanto c'è di Croce ai giorni nostri?Tanto,praticamente tutto,se si considera il suo concetto di "Libertà"."L'idea liberale-egli diceva-"ha natura religiosa",perché solo considerando la libertà come esigenza religiosa e morale è possibile interpretare la storia nella quale questa esigenza si afferma(la storia come storia di libertà:"Storia dell'Europa nel secolo decimonono").La libertà,come coscienza morale,si ritrova in tutte le età ed epoche storiche,perchè essa è esigenza spirituale dell'uomo che si oppone ad ogni forma di oppressione e sopraffazione.La libertà è un qualcosa di "metastorico",un qualcosa che dura sempre e permane oltre le vicende storiche concrete.Ecco dunque l'attualità crociana.E' il concetto "metastorico" di libertà che lo rende attuale.La libertà non è acquisita in modo perpetuo e definitivo,ma è ricerca continua e costante,proprio perché è "esigenza morale",bisogno spirituale insito nella stessa natura dell'Uomo.E la libertà non può che essere una libertà liberale,come hanno scritto alcuni studiosi del pensiero liberale,perchè il liberalismo limita quella che Croce chiamava la "Statolatria" o "Stato etico" ed è grazie a questa limitazione che possono poi esplicarsi le libertà plurali dell'individuo,come la libertà di disposizione di se,del proprio corpo,dei propri beni,quelle di professare in pubblico le proprie idee filosofiche,religiose, politiche,per quanto sgradite tali idee risultino al potere politico ed ecclesiastico.
Attuale e moderna la "Religione della Libertà" di Benedetto Croce. Ma quanto è faticoso e difficile,in questa attuale "Notte" italiana,praticare quella religione.Ci sarebbe forse ancor oggi bisogno di un sacerdote laico come Piero Gobetti.

23 febbraio 2019

SPES CONTRA SPEM

 
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Il 22 e 23 febbraio si svolge l’ottavo congresso italiano del partito radicale transnazionale.Quello Radicale non è mai un Congresso come quelli degli altri partiti.Ma questa volta è diverso anche rispetto ad altri Congressi dello stesso Partito Radicale.Stavolta al Congresso si discute "solo" della chiusura di Radio Radicale.Radio Radicale non è un’emittente qualsiasi.Fondata nel 1976 da Marco Pannella,essa ha portato le istituzioni nelle case dei cittadini,e i suoi microfoni nelle strade e nelle piazze,raccontando quattro decenni di vita italiana."Dentro,ma fuori dal palazzo" è uno dei suoi slogan.Molto più che una semplice radio di partito,quella Radicale è una radio che si occupa di politica in tutte le sue forme,dai dibattiti parlamentari alla vox populi.Radio Radicale ha nei suoi archivi tonnellate di materiale documentario audiovisivo,un immenso tesoro di storia dei fatti politici italiani,che servirà da memoria di tante cose alle generazioni future.Perché senza memoria non si capisce nulla di quello che accade.E di ciò che accadrà.Presto,però, con l’approvazione dell’ultima manovra di bilancio che dimezza i contributi per l'editoria,Radio Radicale chiuderà.Già,perchè ciò che non son riusciti a fare molti governi precedenti,è ora quasi stato realizzato da questo illiberale e autoritario governo grilloleghista:chiudere,appunto,Radio Radicale.E dopo di essa sarà la volta di altre testate:"Avvenire", "Il Foglio","Il Manifesto".Tutte voci diversissime tra loro,ma tutte con un denominatore comune:pensare "diverso" rispetto al populismo,al sovranismo,al giustizialismo grilloleghista che a chiare lettere aveva "promesso" di chiudere le voci dissenzienti.Perciò è illiberale questo governo.Perchè è proprio col "pensare" diverso dal tuo,con l'informare,con il "far conoscere" che si garantiscono i diritti di libertà,di parola e di espressione.Così ha sempre fatto Radio Radicale,fedele al motto einaudiano del "conoscere per deliberare".Radio Radicale è' eterodossa,non omologata,non conformista.E' emittente privata,ma fa vero servizio pubblico,al contrario della Rai,lottizzata anche dai partiti del "cambiamento".Senza pubblicità,è tutta informazione;una voce che dà voce a ogni voce;anche a quelle di chi adesso vuole chiuderla.E' uno spazio "ragionante" sulla politica interna e quella estera.Perché l’informazione di potere,si combatte così,mettendo in rete tutti:istituzioni,partiti,sindacati,consentendo a tutti di farsi un’idea e perciò di "partecipare".La sua probabile chiusura,segnala il tentativo in atto di proibire una comunicazione non mediata,senza sguaiatezze,lontana dai blog eterodiretti,dai tweet autoreferenziali,dai narcisistici selfie.Con la soppressione di Radio Radicale si sopprimerebbe anche la memoria del passato e la prospettiva del futuro.Nel suo archivio Radio Radicale custodisce oltre 40 anni di storia politica,giudiziaria,istituzionale.Dal caso Tortora al caso Moro,dai processi Falcone e Borsellino a quelli per le stragi di Bologna e di Ustica.Orwell  nel suo famosissimo libro di fantascienza distopica "1984" diceva,parlando del "bispensiero",che "chi controlla il passato,controlla il presente;chi controlla il presente, controlla il futuro".Perciò l’archivio di Radio Radicale è un’arma nonviolenta per resistere a coloro che lo scrittore americano Tom Nichols,chiama,nel suo omonimo libro, "i nemici della conoscenza".Di questi nuovi barbari oggi al potere in Italia,che nulla sanno,poco vogliono sapere,desiderosi solo di manipolare e omologare i cervelli,finora purtroppo acquiescenti,degli italiani.Questo governo del "cambiamento"vuole autorappresentarsi come nuovo,giusto,innocente,come vendicatore delle malefatte del vecchio politicume.Il punto,però,è proprio qui:esiste una politica a colori gialloverdi che vuole cittadini disinformati,resi timorosi e rancorosi da semplicistiche costruzioni di una realtà complessa come quella dell'immigrazione.E con Marco Pannella esisteva e con Radio Radicale esiste(e speriamo esisterà ancora)una politica che vuol far ragionare,perchè ragionando si è:si è Uomini e si è(buoni)politici.Buoni politici che fanno buona politica.Politica per la "gente",non per il "popolo",che questi personaggi abbarbicati oggi al potere in Italia dichiarano di rappresentare.Perchè Pannella era,Radio Radicale è,vicino agli ultimi,anche a chi ha sbagliato e sta pagando in carcere,per esempio."Radio Carcere"(http://www.radiocarcere.com/Home.aspx )è la trasmissione che Radio Radicale manda in onda anche per la "gente" carcerata.E allora contro i nuovi barbari che si mostrano così buoni e bravi,con i loro selfie con i gattini,mentre lasciano in mare per giorni e giorni donne stuprate e bambini,abbiamo una sola cosa da fare:conoscere,informarci,per difendere le nostra libertà.In fondo è proprio questo lo scopo di Radio Radicale:conoscere per deliberare.Perciò sostenere e difendere il diritto ad esistere di Radio Radicale ci "conviene":perché è un'arma "pacifica" che tutti possiamo usare per resistere a quelli che per mantenere il potere,pretendono che venga raccontata solo la loro infallibile "Verità" narrata con la soppressione di voci diverse.Ecco,mi viene in mente che i programmi di Radio Radicale hanno come "colonna sonora" i bellissimi brani del "Requiem" di Mozart.Forse i nuovi barbari vorrebbero far recitare il "Requiem" anche per Radio Radicale.Ma questo non accadrà fino a che ricorderemo il messaggio di Marco Pannella:essere "spes contra spem".Essere,cioè,portatore di speranza,e quindi agire,perchè solo costoro sono protagonisti.Chi è attore non subisce le avversità e non vedrà mai vacillare la propria fede e le proprie convinzioni,perchè è lui stesso espressione e manifestazione della speranza che vuol vedere realizzata.Tutto il contrario di chi passivamente aspetta che si realizzino le proprie speranze,senza far niente di concreto e che tutto vedrà cadere alle prime avversità.Salvini e Di Maio credano pure di aver chiuso Radio Radicale ma non raggiungeranno mai il loro scopo di farla tacere definitivamente,perchè Radio Radicale ha comunque lasciato dentro ciascuno spirito libero la fede laica di essere comunque "spes",e cioè protagonisti del nostro domani e del nostro essere uomini liberi. 

 

14 febbraio 2019

UN GIOVANE ALTO E SOTTILE




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Il 15 febbraio 1926,dopo un ulteriore pestaggio delle squadracce fasciste,moriva esule in Francia Piero Gobetti."Era un giovane alto e sottile,disdegnava l’eleganza della persona,portava occhiali a stanghetta,da studioso:i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte".Così lo scrittore e pittore Carlo Levi,autore delle indimenticabili pagine di "Cristo si è fermato ad Eboli",descriveva la figura di Piero Gobetti.Nato nel 1901,Gobetti ebbe una breve esistenza,vissuta con intensità culturale e politica.Gobetti aveva compiuto 17 anni,quando, ancora studente di liceo,fondò la rivista "Energie Nove",e poi,nemmeno ventunenne,avviava la pubblicazione di una rivista settimanale,"La Rivoluzione Liberale".Fu di solo 8 anni,dunque,l’esperienza culturale e politica del giovane intellettuale torinese.Ma in quegli otto anni il suo pensiero e la sua attività lasciarono un segno originale nella cultura politica dell’Italia contemporanea,soprattutto per il valore etico della sua rigorosa e intransigente opposizione al fascismo trionfante nei primi anni di Mussolini al potere.L’opposizione di Gobetti era motivata fin dall’inizio dalla convinzione che il fascismo fosse,per usare le sue parole,"l’autobiografia della nazione",cioè "un’indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità,della fiducia,dell’entusiasmo",verso l'uomo forte,un espediente "attraverso cui l’inguaribile fiducia ottimistica dell’infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure",anziché lottare per cambiarlo.Nel giudizio di Gobetti sul fascismo è compendiata la ragione principale del suo impegno militante di intellettuale politico,che lo spinse a bruciare in pochi anni la sua esistenza con una dedizione etica e ideale,pur nella consapevolezza dei  rischi che il suo antifascismo intransigente gli avrebbe comportato.Ma Gobetti affrontò questi rischi con una ascetica volontà di sacrificio,senza ottimistica illusione di vittoria,convinto che la stessa testimonianza del sacrificio fosse una affermazione di valore politico in un Paese dove la grande maggioranza della gente era propensa al compromesso piuttosto che al rigore,ed era portata all’unanimità del conformismo piuttosto che all’eresia della critica.Bisogna concepire il nostro lavoro "come un esercizio spirituale,che ha la sua necessità in sé,non nel suo divulgarsi.C’è un valore incrollabile al mondo:l’intransigenza e noi ne saremo,in un certo senso,i disperati sacerdoti".Nell' "Elogio della ghigliottina",scriveva poi che evidentemente necessitavano "persecuzioni personali perché dalle sofferenze rinascesse uno spirito,perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso".Questo ideale di intransigenza derivava dalla convinzione che "la vita è tragica",una concezione,questa,maturata attraverso le letture degli intellettuali che avevano maggiormente contribuito a formare la sua visione della vita,come Benedetto Croce,Giovanni Gentile,Giuseppe Prezzolini,Gaetano Salvemini,Luigi Einaudi, Vilfredo Pareto,ma anche Karl Marx,oltre agli scrittori del suo Piemonte, come Vittorio Alfieri,al quale dedicò la sua tesi di laurea,perchè con il "grande astigiano" si sentiva affine per l’odio verso la tirannide e l’amore per la libertà.Il sogno di rigenerazione nazionale di Gobetti era mosso sempre da quell’urgenza etica,prima che politica,di accelerare i tempi di attuazione della sua rivoluzione liberale.Eppure anche nel solco della sua idea liberale egli vedeva soprattutto nel "movimento operaio una genuina forza di emancipazione capace di svolgere una funzione autenticamente liberale,capace(…..)di concludere in una nuova etica e in una nuova religiosità la lotta contro le morte fedi".Libertà,autonomia,disciplina volontaria,religiosità laica,disponibilità al sacrificio:erano questi i concetti e gli ideali fondamentali della rivoluzione liberale che Gobetti voleva promuovere in Italia e nel popolo italiano nel quale quei concetti e quegli ideali fossero qualità del carattere,virtù essenziale della sua azione e dei suoi obiettivi.In questi nostri giorni di insorgenti nuove forme di totalitarismi e furori ideologici di governi fasciogrilloleghisti,in questo tempo nel quale il popolo chiede ancora l'uomo forte che tutto risolva senza il proprio impegno e il sacrificio etico e ideale,in questo lungo sonno della Ragione,c'è bisogno di riscoprire le parole di Gobetti,invece che di osannare,come una volta si faceva sotto Palazzo Venezia.Questo popolo italiano può riscoprire il proprio grande valore senza populismi,può cambiare le proprie sorti senza governi di un supposto cambiamento.

09 febbraio 2019

OBLIO E MEMORIA






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Le Foibe.Con questo nome sono chiamate le cavità carsiche,quelle spaccature nel terreno,localizzate nelle montagne del Carso in Friuli.Ma quel nome è oggi più tristemente conosciuto per la tragedia che,nell'immediato dopoguerra,si consumò in quelle terre.Esse,tra il 1943 e il 1947,furono il palcoscenico di sommarie esecuzioni da parte dei partigiani comunisti di Tito che nelle foibe gettarono migliaia di persone,in quella che fu una vera e propria "pulizia etnica" della  popolazione italiana dei territori dell'Istria e della Dalmazia,anche per reazione alle violenze consumate in quelle terre dal regime fascista durante la guerra.Al massacro delle foibe seguì l'esodo forzato della maggioranza dei cittadini di etnia italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia,territori del Regno d'Italia che furono successivamente annessi alla Jugoslavia.Si stima che gli italiani cacciati dalle loro terre ammontino ad un numero compreso tra i 300.000 e i 350.000 unità.Dal 2004 il Parlamento Italiano ha istituito il 10 febbraio quale "Giornata della Memoria" per ricordare quella tragedia.La Memoria,appunto.Nietzsche,nella sua filosofia,si poneva la domanda:la Storia,la Memoria è utile   o dannosa?E' la risposta che lui si dava era che sì,la Storia e la Memoria hanno una loro utilità se servono ad alimentare il presente,a vivificare le nostre vite,ad "energizzare" il presente attraverso la memoria di ciò che è stato.Il "pericolo",per Nietzsche era però un "eccesso di storia".Troppo passato,troppa Memoria,troppa attenzione a ciò che è accaduto ieri, schiaccia il presente, pesa sui cuori e sulla testa degli uomini impedendo l’azione,la libertà,la manifestazione del coraggio.E allora per Nietzsche il modo per evitare che un eccesso di storia limiti l’agire dell’uomo è solo uno: l’oblio.Noi dobbiamo imparare a dimenticare,diceva il filosofo tedesco.Dobbiamo coltivare l’oblio:"chi non sa sedersi sulla soglia dell’attimo,dimenticando tutto il passato, chi non sa stare su un punto senza vertigini e paura, come una dea della vittoria, non saprà mai che cos’è felicità”.Ma davvero può essere vera una cosa così?Veramente si può dare spazio all'oblio,alla dimenticanza,davvero siamo oggi difronte ad un "eccesso di storia e di Memoria"?Se solo si guardano le immagini dei campi di sterminio di Auschwitz ma anche le immagini delle Foibe e dei profughi istriani,non può che dirsi che la Memoria,elaborata attraverso la Storia,non è mai abbastanza e che anzi è proprio la sua persistenza che può farci capire che cosa  l'Uomo è diventato in questi tempi di nuovi Muri,di chiusure etniche,di misantropia,di odio razziale,di disprezzo nei confronti dell'altro o del diverso.Che poi questi nuovi modelli politici e sociali sono proprio l'antitesi dell'essere Uomo,essendo questi,come diceva Aristotele,un "animale sociale.

Con le immagini,dunque,la Memoria.Ma anche con una voce e una canzone.La voce è quella di Sergio Endrigo,che da profugo istriano,ricorda nella sua canzone "1947",il dramma che lui,poco più che bambino,visse con tutta la sua gente.La canzone è sopra richiamata,ripresa dal web.

 

07 febbraio 2019

QUEL SOGNO CHIAMATO EUROPA




Sono oramai 10 anni che quel grande sogno d'Europa,come concepito nelle menti di De Gasperi,Adenauer,Spinelli,Schumann,Monnet,Spaak,sta malinconicamente declinando sotto i colpi degli interessi della grande finanza internazionale,che hanno devastato le economie di singoli Stati e le vite quotidiane delle genti d'Europa.In questo contesto si sono affermati in tutto il Vecchio Continente quei movimenti da sempre contrari all'idea di una Europa Unita.Sono quelle forze che si autodefiniscono "populiste" e "sovraniste" nella loro contestazione degli istituti di democrazia rappresentativa,dei  rappresentanti delle istituzioni,nella rivendicazione di una sovranità nazionale contro ogni organizzazione sovranazionale.Anche in Italia sono queste le caratteristiche dei due movimenti(Lega e 5 Stelle)che insieme hanno dato vita al "governo del popolo".E anche in Italia,come in Europa,c'è un altro elemento caratterizzante il populismo:lo statalismo,il moderno Leviatano di Thomas Hobbes.Già dopo la tragedia del ponte Morandi di Genova,gli esponenti del governo gialloverde affermarono che bisognava togliere la concessione ad Autostrade e nazionalizzare la rete autostradale italiana.Questo perché,nella narrazione pentaleghista,la presenza dello Stato è sempre rassicurante e "conveniente" per il "popolo".Il privato è da guardare sempre con diffidenza,mentre lo stato è un manager al di fuori di ogni sospetto.Quando poi in un Paese come il nostro,proprio la gestione diretta di attività economiche da parte dello Stato ha causato una colossale degenerazione del sistema politico ed economico(con relativa esplosione del debito pubblico).La cultura delle nazionalizzazioni è propria del populismo e del sovranismo.Infatti,se si guarda il contesto internazionale,si vede che lo statalismo costituisce una componente necessaria del sovranismo.Le forze politiche affermatesi con il rifiuto della globalizzazione economica,lo hanno fatto in nome del ritorno alla sovranità statale.I leader sovranisti,dove sono al potere,hanno proceduto alla nazionalizzazione delle principali imprese economiche e finanziarie.Il sovranismo porta con sé il controllo politico del governo delle risorse principali di un Paese.Basti pensare alla Turchia di Erdogan o al Venezuela di Maduro oppure,all’interno dell’Unione europea,all’Ungheria di Orban o alla Polonia di Kaczyński.Attraverso il controllo politico si rafforza il partito di governo,attraverso la proprietà pubblica si costruisce consenso,clientele e assistenzialismo,distribuendo posti e risorse(pubbliche)ai propri sostenitori(i provvedimenti di "reddito di cittadinanza" e "Quota 100" sono esemplari al proposito).Ma al di là delle favole delle narrazioni grilloleghiste c'è la realtà.E la realtà è che,ad esempio,nella Turchia di Erdogan o nel Venezuala di Maduro,il controllo statale ha condotto al tracollo delle rispettive monete nazionali e in Venezuela,c'è addirittura il paradosso che la popolazione di un Paese ricchissimo per i giacimenti petroliferi,è letteralmente ridotta alla fame.Nell’Ungheria di Orban o nella Polonia di Kaczyński, il controllo sovranista ha portato quei Paesi all’isolamento totale in Europa.Il consenso interno, conta,certo,ma questo non basta.Il governo sovranista ha fatto ampio ricorso alla retorica statalista.Lo stato deve controllare Autostrade e Alitalia e Ferrovie,e,se possibile,i principali servizi pubblici.I 5Stelle sono nati con i movimenti sui servizi pubblici locali(che hanno portato al controllo pubblico su quei servizi,ma anche all’indebitamento di 2/3 delle agenzie municipali di gestione).Il governo sovranista del "cambiamento",nonostante le promesse dei suoi leader,non ha cambiato le pratiche dei precedenti governi,per il controllo delle principali istituzioni finanziarie del Paese(dalla Cassa Depositi e Prestiti alla Rai,fino addirittura al Consiglio Superiore di Sanità)nominando persone affidabili e "controllabili".Per i sovranisti lo Stato deve riaffermare il controllo della sovranità territoriale(fino all'assurdo,magari,di sequestrare una propria nave militare-la "Diciotti"- se il suo Comandante è rispettoso del diritto internazionale piuttosto che del volere del ministro dell’Interno italiota).Sembra che “la rivoluzione sovranista” del 4 marzo e il governo del "cambiamento" sia stata fatta per restaurare il passato piuttosto che per promuovere il futuro.Del resto la cultura statalista è sempre stata molto diffusa in Italia.Ed anche oggi,ed anche all’esterno del governo,essa trova adesioni nella sinistra radicale di Liberi e Eguali(e in componenti del Pd)e nella destra nazionalista di Fratelli d’Italia.Comunque sia, questo statalismo ci sta già portando in rotta di collisione con l’Europa.Si deve però pur dire che il ritorno allo statalismo assistenziale riflette una richiesta da parte degli stessi cittadini,che si sono sentiti penalizzati economicamente.Per loro,lo Stato è la garanzia per avere un lavoro oppure un reddito.Lo statalismo populista non sa realmente rispondere a quelle esigenze.Occorre invece,trovare risposte in avanti,e non all’indietro, per quel malessere.Creando alleanze con gli altri Stai per riformare l’Europa,dotandola di strumenti e risorse per promuovere politiche di solidarietà sociale.E c'è da riformare profondamente l’economia italiana,per coniugare l'intrapresa privata con le regole di una Pubblica Amministrazione meno burocratica e pachidermica.Tenendo anche conto delle esigenze sociali e ambientali che il Nuovo Mondo ha portato in rilievo,tenedo conto che il profitto abbisogna di una legittimazione sociale e non solo aziendale.Populismo e sovranismo sono il passato e perciò stesso sono destinati a perdere.Ma per contrastare lo statalismo sovranista occorre la cultura e i protagonisti di un nuovo riformismo europeista.Protagonisti come  De Gasperi,Adenauer,Spinelli,Schumann,Monnet,Spaak,appunto,che seppero realizzare quel sogno chiamato Europa.