30 novembre 2018

UNA INFAMIA ITALIANA

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Quest'anno,il 30 di novembre,Enzo Tortora avrebbe compiuto 90 anni.E invece la sua vita fu molto più breve.Se ne andò nel 1988, quando aveva solo 60 anni.A togliergli anzitempo il suo tempo di vita,fu senz'altro l'infame sistema giudiziario e carcerario italiano,che lo afferrò nei suoi artigli e su di lui infierì in maniera feroce,disumana,spietata e violenta.Soprattutto l'incredibile,barbaro e kafkiano Processo che contro di lui fu messo su da giudici in cerca di notorietà e visibilità mediatica,incise sulle sue carni e sul suo corpo,segnandolo definitivamente e irrimediabilmente.Ma quel processo fece violenza anche sull'"Habeas Corpus" del diritto,su quell'antichissimo istituto giuridico che tutela la inviolabilità personale dell'accusato e il conseguente diritto dell'arrestato di conoscere la causa del suo arresto.Per Enzo Tortora niente di tutto questo.Aspettò per mesi e mesi,tra le mura del carcere,di sapere quale era il suo reato e chi lo accusava.Venne infine a sapere che alcuni folli camorristi "pentiti", dei veri e propri malati mentali,lo accusavano di spaccio di droga.Uno di questi,Pasquale Barra,era chiamato"'O animale",l'animale,la bestia per la sua brutale efferatezza,perchè,tra gli altri,aveva ucciso in carcere il bandito Francis Turatello,strappandogli poi le viscere ed il cuore).Evidentemente questi "signori" erano più degni di fede di Enzo Tortora se un giorno,durante un'udienza,il Pubblico Ministero Diego Marmo  lo accusò di essere "un cinico mercante di morte".Troppo nota è la vicenda per doverne qui riepilogare fatti e situazioni. Eppure di quella vicenda va mantenuta memoria per sapere,per capire cosa fu il "Caso Tortora".Un abominio di civiltà umana e giuridica.Un insulto allo Stato di Diritto,l'esercizio di una giustizia brutale e barbara da parte di giudici che certamente avrebbero ben figurato nei Tribunali della Santa Inquisizione di Torquemada.Ma Tortora(almeno questo)non fu lasciato solo in quei giorni sciagurati.Ci fu qualcuno,ci furono i Radicali di Marco Pannella,che con lui cominciarono a combattere una battaglia per una "Giustizia Giusta",contro lo Stato "ladro di legalità".E con Tortora ci furono centinaia di detenuti che da subito avevano capito che quell'uomo,quella "persona perbene",come una volta gli disse perfino il camorrista Raffaele Cutolo,era innocente.
 
Alla fine Enzo Tortora fu assolto e a distanza di 30 anni proprio quel Diego Marmo chiese "perdono" alla famiglia Tortora,perchè aveva,egli disse,sbagliato a chiedere la condanna di quell'uomo innocente.Evidentemente anche tra i giudici ci sono dei "pentiti".
Enzo Tortora,consumato nel fisico e nel morale se ne andò in una mattina dell'anno 1988.E se egli volle portare  nell’urna delle sue ceneri la “Storia della Colonna infame” di Alessandro Manzoni,una ragione c’è ed  è altamente significativa.Manzoni scrisse questa storia per dimostrare come la furia di ottenere un capro espiatorio da dare in pasto alla moltitudine che esige immediatamente il colpevole, è comportamento da barbari e non da civiltà del diritto.Forse quei giudici avrebbero dovuto leggere(e ancora oggi tutti i giudici italiani lo dovrebbero fare,giacchè quasi nulla è cambiato nell'agire della Magistratura)le parole di Leonardo Sciascia:" Ogni magistrato,una volta vinto il concorso,dovrebbe trascorrere almeno tre giorni di carcere fra i comuni detenuti e preferibilmente in carceri famigerate,come l’Ucciardone e Poggioreale.Sarebbe indelebile esperienza,da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello,ogni volta che si sta per firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza….(Corriere della sera 7 agosto 1983).
E fors'anche le parole di Piero Calamandrei dovrebbero rileggere:..."Non disdice all'austerità delle aule giudiziarie il Crocifisso:soltanto non vorrei che fosse collocato,come è,dietro le spalle dei giudici.In questo modo può vederlo soltanto il giudicabile,il quale,guardando in faccia i giudici,vorrebbe aver fede nella loro giustizia;ma poi,scorgendo dietro a loro,sulla parete di fondo,il simbolo doloroso dell'errore giudiziario,è portato a credere che esso lo ammonisca a lasciare ogni speranza:simbolo non di fede,ma di disperazione.Quasi si direbbe che sia stato lasciato lì,dietro le spalle dei giudici,apposta per impedire che lo vedano:e invece si vorrebbe che fosse collocato proprio in faccia a loro,ben visibile nella parete di fronte,perché lo considerassero con umiltà mentre giudicano,e non dimenticassero mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente.

 


















































































































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