Il 10 dicembre,giorno della morte di Alfred Nobel, Svetlana Aleksievic,riceverà il Premio Nobel per la letteratura 2015 per il suo libro:"Tempo di seconda mano.La vita in Russia dopo il crollo del comunismo"(Bompiani editore).Il libro fa riemergere memorie e macerie,materiali e spirituali,della storia russa recente. In esso e con esso torna prepotente la differenza mentale e culturale tra il «prima»,rappresentato dagli anni dell'Utopia e dell'Idea comunista e il "dopo" rappresentato dalla fine dell’Urss.Il libro è' come un romanzo,ma non è un romanzo.Potrebbe,invece,essere catalogato-come dice l'autrice-una specie di studio di una specie umana tutta particolare apparsa e (forse) dissoltasi nel corso del XX secolo:l’homo sovieticus,ossia il prodotto di settant’anni di laboratorio marxista-leninista.Una specie inconfondibile,diversa da tutte le altre,con un suo vocabolario,una sua idea del bene e del male,i suoi eroi e i suoi martiri,le tragedie che quella specie del genere umano ha vissuto,dalla guerra afghana al disastro di Cernobyl,sulle quali l'autrice ha scritto altri due suoi libri:"Ragazzi di zinco" e "preghiera per Cernobyl".
La Aleksievic rileva le tracce della civiltà sovietica ma non pone domande sul socialismo;"ascolta" e registra,col proprio magnetofono,la miriade di testimonianze, e racconta come questo homo sovieticus abbia reagito di fronte alla libertà inaspettata che si è a un tratto trovato davanti.Le vicende politiche e sociali del Paese vissute con Eltsin e Gorbaciov portarono alla fine della censura,alla liberazione dalle pastoie burocratiche,all’arricchimento vertiginoso, alla sensazione che il futuro stesse dietro l’angolo e che tutto fosse a portata di mano. Un’ubriacatura,un disorientamento che si vedono attraverso mille ricordi di mille persone diverse,dalle più alte cariche della nomenklatura, come quelle dei burocrati del Cremlino o del generale Achromeev,morto suicida proprio per la sconfitta del comunismo,a intellettuali,studenti, alle classi più umili di contadini e operai.
Tra tutte queste voci,l’autrice coglie una voce più grande e unitaria:la"forte domanda di Unione Sovietica"manifestatasi nella società russa negli ultimi anni,anche da parte di chi della dittatura sovietica è stata vittima."Rinascono-scrive la Aleksievic-idee di vecchio stampo:quella del grande impero,del pugno di ferro,della peculiare via russa… E invece del marxismo-leninismo,l’ortodossia".Questo libro è importante perché ci aiuta a capire i giorni presenti,il tempo di adesso.Perché ci mostra come,attraverso il marasma degli anni Novanta,l’homo sovieticus sia giunto fino a noi.Perché cosa altro è Putin,se non l’homo sovieticus riplasmato attraverso la distruzione dei valori del postcomunismo?Non a caso la mobilitazione generale per la guerra in Ucraina ha ricompattato il consenso neo-sovietico.Vien da chiedersi,quanto ci sia di nostalgico in tutta questa vicenda."L’immobile mongolo",aveva scritto Marx."Sono passati cent’anni -annota la Aleksievic - e di nuovo il futuro non è al suo posto.Siamo entrati in un tempo di seconda mano».
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