18 agosto 2024

APPIA, IL CAPOLAVORO DELLA STORIA

 









Nei mesi scorsi l'Unesco ha dichiarato la Via Appia Patrimonio universale dell'Umanità.
Nel suo celebre romanzo Notre-Dame de Paris,Victor Hugo diceva che l’architettura è stata la prima grande scrittura dell’umanità.Dai dolmen, alle piramidi, ai templi, alle cattedrali gotiche e sino al XV secolo e alla scoperta della stampa, l’architettura è stata il grande libro dell’umanità.I monumenti di pietra sono il modo più naturale e duraturo per “scrivere nel suolo” la memoria.Uno di questi "libri" nella pietra fu certamente la Via Appia,la più grande e la più straordinaria delle vie costuite dai romani,che proprio per questo venne chiamata la "Regina Viarum",per quel progetto visionario con il quale venne concepita.Essa congiunge Roma con Brindisi e fu fatta costruire  nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco,dal quale prese il nome.Fu  costruita con tecniche innovative, veri e propri capolavori di ingegneria civile e costituisce ancora oggi uno dei monumenti più durevoli della civiltà romana.Ed ora,dopo secoli di vita,l'importanza culturale di quest'opera viene riconosciuta dall'Unesco che l'ha dichiarata patrimonio universale.

E dunque la Via Appia come libro e come racconto.Ma cosa ci dice,cosa ci racconta la Via Appia?E' la domanda a cui cerca di rispondere il giornalista e scrittore Paolo Rumiz nel suo libro Appia nelle cui pagine egli racconta il viaggio fatto a piedi con altri amici sul tracciato dell'antica strada da Roma fino a Brindisi,passando per tanti luoghi e realtà,geografiche,storiche e culturali.Quella strada,come tutte le strade,costituiva anzitutto un’infrastruttura adibita a fini militari e commerciali.Eppure l'Appia non era solo questo. La via non era finalizzata soltanto all’espansionismo militare e commerciale:essa apriva Roma verso gli altri popoli.Con l'Appia questi popoli,con le loro tradizioni differenti non furono più isolati. L’Appia esprime nel suo più alto grado l’apertura romana verso l’altro e verso il futuro, la possibilità di entrare in relazioni di contatto e scambio con civiltà diverse, avvalendosi dell’altro grande ‘monumento’ romano: lo ius.Il diritto romano è anzitutto diritto dei privati e una sua grande parte si è sviluppata proprio nell’incontro con altre popolazioni, con gli stranieri.

Nelle pagine del libro di Rumiz ci sono,però,anche parole dolorose quando egli denuncia l’abusivismo edilizio che ha quasi cancellato la strada con esiti quasi più devastanti di quelli prodotti dall’Isis o dai Talebani nel loro furore ideologico contro la cultura:dalla decapitazione dei Buddha nelle pareti di roccia in Afghanistan,all'immane devastazione della città di Palmira in Siria.Sotto questo aspetto Rumiz rivive gli stessi sentimenti del grande giornalista e intellettuale Antonio Cederna,uno dei padri dell'ambientalismo italiano,fondatore di Italia Nostra,che nelle sue collaborazioni a "Il Mondo","Corriere della Sera","La Repubblica","L'Espresso" e in tutti i suoi numerosi scritti,denunciò gli scempi subiti dal patrimonio ambientale e architettonico italiano,per via delle urbanizzazioni selvagge fatte da una politica affamata,affaristica e senza scrupoli.Tra gli altri Cederna denunciò quello consumato ai danni della Via Appia,e si può immaginare quale dolore e strazio questo gli procurasse,lui che si definiva un "appiofilo".Così scriveva infatti Cederna in un artitcolo intitolato "I gangster dell'Appia":

"L’Appia antica è diventata il luogo geometrico di tutta la cattiva architettura romana, la palestra per gli speculatori principianti, il banco di prova di tutte le più ordinarie e impunite illegalità. I ruderi sono scaduti a miserabili comparse, hanno perduto la loro grandezza, la loro meravigliosa cornice di deserto e di silenzio, immeschiniti, corrosi, spellati. Le stupende rovine della via Appia antica vengono chiusi tra sipari male intonacati, tra muriccioli e filo spinato, come animali esotici e pidocchiosi: statue e rilievi spezzati e trafugati, le iscrizioni usate come materiali da costruzione: la via Appia antica è diventata il canale di scolo dei nuovi quartieri,tagliata,sminuzzata, sventrata”.
Quanta verità in quelle parole.Doveva essere "intoccabile" per Cederna l’Appia,intoccabile come l'Acropoli di Atene.Ed invece nuove grandiose ville affacciate sul tracciato antico hanno cannibalizzato strutture antiche e medievali lungo tutto il suo percorso.Hanno stravolto l’aspetto tradizionale per incrementare loschi interessi,con il dilagare dell’abusivismo edilizio e di una arroganza del potere senza limiti.
Paolo Rumiz nel suo libro "Appia",racconta il cammino fatto a piedi su quella strada insieme ad alcuni amici:ne vien fuori un’istantanea dell’Italia d'oggi.Essi hanno ripercorso la strada che Orazio (Satira I, 5) fece insieme con Virgilio per raggiungere a Brindisi l’amico Mecenate.Una strada che ancora oggi conserva, in alcuni tratti, il suo originale basolato, ma che è in larga parte scomparsa sotto le brutture che in questi due millenni hanno continuato inesorabilmente ad avanzare e che Rumiz duramente condanna, conferendo così al suo viaggio e al suo libro anche una valenza di denuncia ed impegno civile.
Nel tragitto la costante è una mescolanza di aspetti positivi (meraviglie archeologiche e naturalistiche,memorabili soste gastronomiche in trattorie d’altri tempi…) e negativi (incuria, abusivismo,inquinamento…)che sono una sintesi vera dell’Italia: e non solo di quella del sud. Così come sono una sintesi vera dell’Italia le persone che Rumiz incontra nel suo viaggio:agricoltori generosi,pastori filosofeggianti,ostesse accoglienti,studiosi e archeologi competenti e battaglieri; ma anche automobilisti maleducati, giovani fracassoni, proprietari di terre o albergatori malfidenti e scontrosi davanti all’inusuale comitiva di camminatori.Insomma,una fotografia precisa e fedele dell'Italia d'oggi.

Una cosa che nel libro colpisce è lo scempio,legato al business delle pale eoliche in Campania e Basilicata o il mostruoso (e famigerato) complesso industriale dell’Ilva di Taranto proprio lungo il tragitto dell’Appia che sono dei veri pugni nello stomaco.
Epperò ci sono anche momenti toccanti nel libro,come quegli incontri dei camminatori con dei contadini dell’Agro Falerno(da cui il nome del famoso vino)che,scrive Rumiz,“posseggono una cosa che la gente di città ha perduto:il senso del limite”.Essi non sfruttano mai la loro terra al massimo della sua potenzialità, perché “quacche frutto ‘ncopp a pianta lo devi sempre lasciare, per far mangiare ‘e passarielli”: e per chiunque passi di lì e anche per i "cristiani" fave, acqua fresca, vino non devono mancare mai, perché questa è “ ‘a legge di Dio”.
L'Appia era(anche)questo:un percorso di uomini e umanità;un percorso da Roma a Brindisi,dove ci si imbarcava verso i porti della Grecia.Su di essa passavano mercanti e legionari, pecorai dell’Epiro e carrettieri venuti dalla Tracia o la Bitinia e patrizi di Neapoli.L'Appia è simbolo della dinamica vita di quei tempi, quando Roma era signora del mondo che sapeva quanto era importante il controllo e l’amministrazione del territorio.
I secoli son passati ma,nonostante i molteplici "tentativi" di cancellarne il ricordo,l'Appia continua ad esserci e soprattutto ad "essere" civiltà,storia,memoria e il riconoscimento dell'Unesco ne rappresenta solo la presa d'atto.Tanti nel tempo sono stati i letterati e i pittori che hanno percorso o raccontato l'Appia Antica restandone ognuno di essi da essa incantato.Da Goethe(che non a caso si fece ritrarre in un dipinto con l' Appia sullo sfondo)a Byron,da Sthendal a Zola,da Charles Dickens a Giosuè Carducci.E fu Raffaello a scrivere al Papa per rappresentargli l'urgenza di salvaguardarla.E lungo l' Appia c'è la Tomba del grande filosofo romano Seneca. 

Nonostante lo sfruttamento e lo scempio fatto mediante privatizzazioni,abusivismo edilizio,spoliazione dei monumenti antichi, concessioni di cave a bordo strada,essa è ancora lì con la sua linea che ci chiama e che ci invita a percorrerla a piedi,per ritrovare le tracce del passato, percepire le trasformazioni del presente e farci trascinare dal suo fascino.Perchè,come scrisse Goethe,gli uomini che hanno lavorato alla realizzazzione dell'Appia "lavoravano per l'eternità".

Alla fine di questo post non posso non richiamare le pagine che nel suo libro Paolo Rumiz dedica proprio alla mia terra(il Sannio e Benevento)e ancor di più quelle nelle quali egli racconta del paese dove abito e vivo,Montesarchio,dove egli visita “il bel museo archeologico sulla rocca di Montesarchio,(che)sembra costruito per dar loro (i Sanniti, ndb) l’immagine  di una grande civiltà sepolta e non di un’accozzaglia di bellicosi burini.I magnifici crateri ellenici a figure rosse trovati qui, in terra sannita, ed esposti in celle buie che paiono una finestra sul tempo, svelano un mondo conviviale, capace di percepire il divino in modo semplice e gioioso”(.....)Nemmeno nei Musei di Londra o Berlino ho visto qualche cosa di simile.Grande doveva essere il Sannio".

Sì,grande è stato il Sannio e la sua cultura.Peccato che proprio sanniti siamo i primi ad essercene scordati.




Nella foto in alto la Torre e il Castello di Montesarchio;nella foto sotto gli antichi vasi("Crateri") ritrovati in zona ed esposti nel Museo che in quell'antico castello ha sede.

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