26 aprile 2021

L'ORA DELLA VERGOGNA






Di nuovo,qualche giorno fa,un'altra tragedia del mare.Un barcone,proveniente dalle coste della Libia,è affondato nelle acque del Mediterraneo,causando la morte di 130 migranti.E subito ritornano alla mente "quelle" foto,quelle immagini di qualche anno fa.Erano forti quelle immagini,tanto che all'epoca dei fatti,molti tg e giornali decisero di non mostrarle.Credo,però,che,proprio perché forti,quelle immagini vadano viste.Perché è proprio e solo l'immagine,in tutta la sua spietata crudezza,che sa rendere certe emozioni più di mille parole.Perché quelle immagini mostrano a che punto di degrado è arrivata la nostra (dis)umanità,il nostro disinteresse,la nostra indifferenza.Sono quelle immagini che devono farci rendere conto di quanto grande sia il nostro cinismo se difronte ad esse pure facciamo finta di niente e ci giriamo dall'altra parte.Quelle foto erano le foto di Alan Kurdi, il bambino che stava cercando di fuggire con la sua famiglia dalle violenze della guerra civile siriana e dell'Isis.Aveva solo tre anni quel bambino quando fu fotografato riverso e senza vita sulla spiaggia di Bodrum,in Turchia,dove le acque del mare lo avevano portato ormai morto.Lo scatto della giornalista turca Nilüfer Demir si diffuse rapidamente in tutto il mondo.E quel bambino diventò il simbolo del fallimento dell'Europa nella gestione dei flussi migratori in quell'estate del 2015 affollata di sbarchi e di Paesi che si rimpallavano l'accoglienza dei rifugiati."Mai più" dissero solennemente quel giorno tutti i governi europei.E cos’altro potevano dire davanti all'immagine di quel corpicino riverso su una spiaggia?Eppure quel "mai più" era già stato detto tante altre volte dall'Europa.Nel 2013,fu detto,per esempio,difronte alla prima,grande tragedia del Mediterraneo che vide la morte di 368 morti in un barcone che si incendiò davanti Lampedusa.E poi ancora tante altre volte,almeno 1250 altre volte,fu ripetuto quel "mai più",e le organizzazioni internazionali hanno calcolato che i morti di queste tragedie sono già oggi più di 23.000.E adesso,in questi giorni,la nuova tragedia che ha visto affogare nelle acque del Mediterraneo altre 130 persone.Il sentimento,l'emozione che si prova,o almeno che si "dovrebbe" provare difronte a quei corpi che galleggiavano sulle acque,senza vita,in balia delle onde,è quella espressa da Papa Francesco:"E' l'ora della vergogna".Ed infatti è proprio un senso di vergogna,quello che si dovrebbe provare,per il cinismo e la cattiva coscienza di un Paese,il nostro,e di un continente,l’Europa,che fingono di non accorgersi di queste tragedie.E non c'è alibi che tenga,nemmeno quello della pandemia,che possa giustificare le nostre coscienze.L'Europa,per calcolo politico ed ignavia,sta rinunciando anche solo ad immaginare una politica dei flussi migratori,del diritto di asilo e un sistema di soccorso che tenga insieme le ragioni della sicurezza dei confini,della lotta al traffico di esseri umani con i diritti fondamentali,primo fra tutti,quello di strappare un nostro simile alla morte terribile per annegamento.Il sistema,attuale,invece,fa si che decine di migliaia di persone affoghino in mare e che altre centinaia di migliaia  siano rinchiuse nei campi di concentramento della Libia,dove la norma è lo stupro,la tortura,l’omicidio,il commercio di esseri umani.
Non può bastare che ancora oggi,così come nel 2015,quando,di fronte al corpo senza vita di quel bimbo siriano,Alan Kurdi,si giuri solennemente ma ipocritamente:"mai più",per poi tornare tranquillamente nell'insensibilità delle nostre convenienze e della nostra indifferenza.O,peggio,che ci siano spettacoli osceni di sciacallaggio ideologico come quello del nostrano "campione nazionale" Matteo Salvini,secondo il quale quelle morti sono causate dai "buonisti" che sostengono le Ong(una nave di una di quelle Ong si chiama proprio Alan Kurdi).Certo.Nessuno può pensare che l'Italia possa fronteggiare da sola questa immane catastrofe umanitaria continentale.Ma il presidente del Consiglio Mario Draghi è uomo troppo intelligente per non comprendere che la strada per costruire una nuova Italia e una nuova Europa,non potrà essere percorribile se continuerà a essere ingombra di cadaveri innocenti senza nome,gonfi dell’acqua in cui sono annegati.E dunque proprio lui,proprio Draghi che,unico in Europa,ha avuto il coraggio di dire che Erdogan è un dittatore,dovrà ripensare a quanto siano state infelici le sue stesse parole con cui,nella sua recente visita a Tripoli,ha ringraziato la guardia costiera libica,la stessa che avrebbe dovuto evitare stragi come quella dei 130.Perché quelle sue parole equivalgono ad accreditare l’idea che la soluzione di questa immane tragedia passi attraverso la delega delle nostre responsabilità e di quelle dell’Europa ad uno Stato,la Libia,dove i diritti fondamentali sono quotidianamente soffocati.Un paese,la Libia,la cui ricostruzione e stabilizzazione richiederanno tempi lunghi e sulla cui sovranità pesano le ipoteche di due tiranni,aguzzini di libertà come Erdogan e Putin.Quando non era ancora Presidente del Consiglio,Draghi indicò all’Europa la necessità di cogliere l’occasione della pandemia per cambiare il modo e la ragion d'essere dell'Unione europea.Adesso,da premier riconosciuto a livello mondiale(il "New York Times" gli ha già riconosciuto la capacità di essere uno dei più grandi e autorevoli leader europei)può essere il primo interlocutore di Bruxelles per fare del nostro Paese la locomotiva di una rivoluzione che oltre a fronteggiare la pandemia,aggiunga un altro obiettivo e un altro aggettivo:Europa solidale.Un aggettivo che porti,con buona pace delle italiche forze populiste e sovraniste,guidate da Salvini e Meloni,a una riapertura immediata di corridoi umanitari,all’attivazione di evacuazioni di emergenza,alla riconfigurazione altrettanto immediata delle modalità del soccorso nel Mediterraneo e alla redistribuzione dei richiedenti asilo in tutta Europa.Per tornare ad essere,cioè,di nuovo "umani" e far finire questa triste ora della vergogna.

17 aprile 2021

LA VERSIONE DI BORDIN



"Buon giorno agli ascoltatori di Radio Radicale e benvenuti alla rassegna di Stampa e Regime".Era sempre con questo celeberrimo attacco che Massimo Bordin iniziava la sua rassegna stampa,dalla storica sede della Radio di Largo Argentina.Negli ultimi tempi aveva lasciato quel suo consueto appuntamento mattutino,a causa di una lunga malattia che se lo portò via due anni fa,quel 17 aprile 2019,quando quella sua voce calda e roca(interrotta da quei feroci colpi di tosse)non ebbe più a sentirsi.E quella mattina di due anni fa il tema del Requiem di Mozart che da sempre accompagnava le trasmissioni di Radio Radicale,ebbe un suono tristemente diverso.



"Una notizia che non avremmo mai voluto dare",disse Alessio Falconio, il direttore di Radio Radicale annunziando la scomparsa del giornalista:"una delle voci più celebri e stimate dell’emittente"egli disse.Era proprio così.Bordin era un Giornalista con la "G" maiuscola.Sin dal 1991,anno dal quale fu Direttore di Radio Radicale,accompagnò intere generazioni(alcuni si sintonizzavano sulle frequenze del network solo per ascoltare lui e la sua rassegna stampa e la domenica sera anche per le sue conversazioni con Marco Pannella,che spesso finivano in risse verbali,per il forte carattere dei due).Erano sempre riflessioni e commenti importanti per la società civile,per i politici e per tutto il mondo della stampa,almeno per quello libero da servilismi politici e giudiziari.Riflessioni e commenti talvolta anche sarcastici e sferzanti quelli che faceva Bordin dopo la lettura di un articolo di giornale,che si concludeva con quel suo indimenticabile:"vabbè".Riflessioni e commenti di uomo di cultura raffinata,di spessore morale e intellettuale diverso e più alto.Le 7,35 era l'orario di "Stampa e Regime":e Bordin aveva ideato quel modello di rassegna stampa in modo del tutto innovativo,una analisi, una "versione" interpretativa dei fatti e della politica diversa dal solito modo di fare rassegna stampa.Raccontare il Potere e il Palazzo,stando fuori dal Potere e dal Palazzo.Soprattutto dai palazzi giudiziari e anzi sempre contro quella cultura forcarol-manettara-giustizialista che da anni pervade l'Italia e le redazioni di certi giornali divenuti uffici stampa delle Procure.Era capace di vedere sempre più in là:ed infatti il "caso Palamara",raccontato nel libro di Alessandro Sallusti,dimostra,parafrasando Shakespeare,che c'è del marcio in quegli ambienti giudiziari.Bordin non faceva mai sconti a nessuno.Le sue invettive,sempre eleganti,colte e educate,erano talvolta delle vere e proprie "scudisciate" ai "colletti bianchi",ai lobbisti,alle congiure del malaffare e alla Casta potente della magistratura italiana capace di distruggere la vita e la dignità degli uomini,come ad esempio,nel caso di Enzo Tortora che solo i Radicali,come Farinata degli Uberti con Firenze,"difesero a viso aperto",difronte alla malagiustizia italiana.Bordin associava alla sua grande cultura la conoscenza di dati,di informazioni,di notizie,che permettevano ai suoi affezionati ascoltatori una comprensione delle dinamiche politiche,storiche e sociali di questa nostra Italia.Tra tanti quotidiani che leggeva,però,raramente riusciva a trovare qualche "voce" o trafiletto che riguardasse i radicali,che pure tante battaglie avevano fatto per i diritti civili,per la libertà del Tibet e del Dalai Lama,per una "Giustizia giusta" e per i tanti innocenti che finivano ingiustamente tra le ruote mostruose della macchina giudiziaria.Perchè poi non dar voce ai radicali significava non dar voce agli ultimi,agli emarginati,ai carcerati,ai dimenticati dal regime.Per circa 40 anni Bordin ha proposto,anche solo attraverso la lettura dei giornali,una sua diversa "versione" dei fatti,una visione del mondo diversa,regalando agli ascoltatori una nuova testata giornalistica:la sua,una sorta di quotidiano-Bordin.Inesistente nelle edicole ma reale nelle sue lucide analisi.Era come se s’inventasse ogni giorno un nuovo quotidiano,mettendo insieme articoli presi un po’ qua e un po’ là,tra le pubblicazioni di destra,di centro,di sinistra.La rassegna Stampa e Regime è sempre stata un punto di forza per la storica radio fondata dall’amico,a tratti "nemico",Marco Pannella,con il quale ogni domenica condivideva la consueta chiacchierata pomeridiana.


Chi li ascoltava,si immaginava quella saletta di Radio Radicale avvolta nel fumo del sigaro di Massimo e delle "Celtic",le sigarette preferite da Marco.Pannella era un amico che Bordin riprendeva spesso,rimproverandolo per gli errori politici commessi;ma lui era Bordin e solo lui  poteva permetterselo,con Pannella che si incavolava di brutto.Ma Bordin sottolineava anche tutto quello che Pannella aveva significato nella storia politica e sociale italiana:dai referendum per il divorzio e l'aborto,alle battaglie per una "Giustizia Giusta",combattuta a fianco di Enzo Tortora o dei carcerati per la rivendicazione dei diritti dei detenuti.Quella chiacchierata che ogni domenica Radio Radicale proponeva al pubblico,sino alla scomparsa di Pannella,era motivo di stima da parte di molti ascoltatori che apprezzavano la grande capacità dialettica del conduttore con il leader radicale.Pannella e Bordin affrontarono insieme battaglie civili,misero passione in quello che facevano,profusero ogni energia per difendere i diritti umani e civili,la laicità dello Stato,la parità di genere.Bordin fu un giornalista autonomo,indipendente;la sua intelligenza umana e politica,la sua ricerca costante per la verità,hanno fatto di lui un giornalista vero e serio,un punto di riferimento per chi amava ragionare fuori dai pregiudizi,dalle ideologie e dalle chiese di partito.Bordin ha insegnato il coraggio della coerenza,l'importanza di appartenere ad una comunità basata sul valore umano e perciò capace di distinguersi in un oceano di mediocrità,menzogne,bassezze,falsità di cui solo è capace la società e la politica italiana.Tutti quelli che lo ascoltavano sono sicuramente diventati,forse senza neanche accorgersene,più consapevoli della realtà che li circonda e più capaci di sviluppare,grazie a lui,gli "anticorpi" contro i tanti,troppi opportunismi e convenienze di cui è fatta questa politica e questa società italiana.E' proprio per questa sua "singolarità" che lui ci mancherà,anche se di lui non potremo dimenticare mai la sua "versione" e la sua lezione.

13 aprile 2021

FARE PRESTO



"Fate presto",fu il titolo del giornale "Il Mattino" di Napoli,all'indomani della tragedia del terremoto dell'Irpinia del 23 novembre 1980 che provocò quasi 3000 morti e 300.000mila sfollati.Fu un titolo per raccontare una tragedia e la paura,la trepidazione,l'angoscia di tutta una gente timorosa di esser abbandonata,dopo le scosse,in mezzo al niente che era rimasto,di rimanere in una vita priva di esistenza,solo macerie di vita estratte da sotto le macerie di mura.Ed era una richiesta forte ed urgente alla politica e alle Istituzioni ad intervenire per alleviare le sofferenze di quella gente:"Per salvare chi è ancora vivo,per aiutare chi non ha più nulla",recitava il sottotitolo di quell'appello disperato."Fate presto".Quelle due parole fecero il giro del mondo per la la loro capacità di sintetizzare ed esprimere i sentimenti di quella tragedia ed Andy Warhol rese quella pagina un'opera d’arte e la portò nelle gallerie,agli occhi di tanti,per far riflettere,per far sentire la sofferenza,per far scavare a tutti,dopo le macerie di cemento,le macerie dell'animo,mostrando poveri resti e sopravvissuti."Per salvare chi è ancora vivo,per aiutare chi non ha più nulla",recitava quel sottotitolo de "Il Mattino",per insegnare a tutti che in ogni tempo di sofferenza la condivisione del dolore deve essere la dimensione delle proprie scelte.Una richiesta di aiuto,ma anche la sollecitazione ai governanti di una visione "politica" che riuscisse ad andare oltre il limite dell’intervento immediato,immaginando già costruzione di un futuro di vita.Oggi c'è un altro terremoto,diverso e più devastante.A distanza di un anno e più,dopo i giorni di Codogno e Nembro e Alzano e quella lunga fila di camion militari con dentro le bare dei morti da covid,ancora oggi,quotidianamente,continua la conta dei morti da pandemia;una conta che si appropria con prepotenza degli spazi massmediatici.Ma oggi,forse,l’attenzione del lettore-spettatore scema ormai nell’abitudine,e i numeri diventano cifre che non sanno più rendere il significato di una morte,di vite recise,del calvario di chi,sotto quei caschi,cerca di afferrare aria che non arriva.Questa umanità sfinita da un anno di pandemia,cerca di sopravvivere non pensando che quei numeri dei morti segnano il confine tra un prima che è ancora "adesso" e un dopo che ancora non c’è;il limitare tra questa buia notte che ancora persiste ed un albeggiare di rinascita che ancora non c'è.E allora anche qui,anche oggi,torna quel titolo di quel giornale.Anche qui quel "Fate presto" è per i sopravvissuti alla nera e cupa notte del Covid che rischiano di non farcela a sollevarsi da sotto le macerie dell'immane tragedia della pandemia.Le regole restrittive,imposte dal coronavirus,dettate nell'urgenza della prima ora e che hanno retto per il sacrificio del NOI-Comunità,ora non funzionano più.Lo schema è cambiato,perché il numero dei morti non impressiona più difronte a alle nuove urgenze economiche e sociali.Quel sottotitolo del "Mattino" vale ancora oggi più che mai."Salvare chi è ancora vivo,aiutare chi non ha più nulla".Queste nuove,ma in fondo previste,emergenze economiche e sociali sono di una gravità tale che ci fanno perdere la coscienza di un altro numero e di un'altra  cifra:il numero di chi ogni giorno diventa povero e di quelli,che,già poveri prima,diventano sempre più poveri.Il numero dei nullatenenti è ogni giorno maggiore e le loro esistenze sono sempre più esistenze minori.Il passato di altre stagioni di pandemia deve far capire a chi ha l'obbligo di intervenire,che la situazione è enormemente drammatica.Ritardare anche di un solo  minuto le soluzioni possibili e dovute è un atto non solo miope,ma irresponsabile e criminale.Ogni ritardo può generare impensabili sovvertimenti perfino insurrezionali.Ritardare i vaccini è criminale.Ritardare gli aiuti alla precarietà economica è criminale.Ritardare la ripresa delle attività lavorative è criminale.La gente non ne può più e se perfino dinanzi ai morti,ai propri morti,grida forte la insopportabilità alla condizione di prigionia nella quale è stata costretta dal virus ma anche da chi non ha saputo essere all’altezza del proprio mandato con decisioni scellerate e incompetenza di Stato,allora bisogna stare attenti davvero alla rabbia della gente,perché al virus di oggi può seguire quello di un domani non troppo lontano.Un virus economico che può portare a ribellioni sociali che mai come in questi giorni sembrano essere già pronte a scoppiare."Fare presto" è l'obbligo,in quel poco tempo che ancora resta.Perchè sono questi i giorni nei quali si sceglie il futuro di pace e di benessere di questo Paese.Altrimenti il tempo di un futuro prossimo non sarà migliore di questo buio tempo di Covid.

02 aprile 2021

RICCHEZZA E POVERTA'





E' bastata una tempesta di sabbia,o forse la manovra sbagliata dell'equipaggio e tutto il mondo è andato in crisi.Quel portacontainer,l'Evergiven,messo lì di traverso,tra le due sponde del Canale di Suez,ha impedito per due settimane il transito di quasi 400 navi,con il blocco di traffici,commerci e trasporti su scala mondiale.Quella nave incastrata ha dato la plastica dimostrazione che nessuna tecnologia,nessun sofisticato dispositivo,nessun ricorso al web,ha potuto impedire e risolvere il problema creato da quel blocco,che ha comportato grandi ricadute economiche e geopolitiche sui governi e sulle Nazioni che su quel canale hanno costruito fortune e ricchezze,dichiarato guerre,sacrificato vite umane.Suez,come pure gli altri "Stretti" del mondo,come Hormuz,Malacca,i Dardanelli,Panama e Gibilterra,sono quei "colli di bottiglia",quei passaggi obbligati attraverso  i quali le parti del mondo sono più rapidamente collegate e dai quali passa l'80% delle merci del pianeta ed il cui controllo diventa perciò strategico.Gli inglesi,popolo di grande tradizione marinara e commerciale,già 200 anni fa fondavano la potenza del loro Impero sul controllo degli snodi marittimi più importanti,soprattutto per la Rotta delle Indie.Attraverso il Canale di Suez passa ogni giorno tanta parte dell'economia mondiale,con enormi risparmi se si pensa che prima il trasporto di merci avveniva mediante la circumnavigazione dell'intera Africa.Proprio perciò questo angolo del mondo desta così grandi interessi nelle potenze mondiali.Da un lato c'è la Cina che finanzia il raddoppio di una parte del Canale,per potersi assicurare uno "hub" privilegiato per le proprie merci.Dall'altro c'è la Russia che prosegue la sua geopolitica per "affacciarsi" nel Mediterraneo,costruendo proprio in Egitto,grandi zone industriali.Quella nave incastrata sta perciò a dimostrare quanto gli Stretti delle varie del mondo incidano sull'economia mondiale,mettendo in rilievo,oltretutto,la dipendenza dell'economia Occidentale dalle molteplici catene di approvvigionamento e la conseguente vulnerabilità del Vecchio Continente.Come sempre antenna sensibile di questa situazione è stato il prezzo del greggio:nei giorni del blocco,nel giro di poche ore,c'è stato un rialzo del prezzo del 5%,allo stesso modo di quanto accade quando c'è un incidente o un attentato nel Golfo Persico.Lo stesso vale per ogni altro tipo di commercio e componentistica industriale e informatica.Ogni ora di ritardo nella consegna delle merci può dar fuoco ai prezzi al consumo in un periodo,poi,di una economia mondiale già devastata dalla pandemia.Del resto l'alternativa al Canale sarebbe soltanto il periplo dell'Africa,come accadeva un secolo e mezzo fa,con ritardi e ricadute pesanti sui prezzi.Ecco l'importanza degli stretti nella circolazione continua del commercio,dell'industria e del trasporto mondiale.E subito le grandi potenze e le grandi economie mondiali hanno cercato di approfittarne ai propri fini,muovendo le proprie pedine sullo scacchiere geopolitico mondiale.La Russia ha rilanciato il famigerato "Passaggio a Nord Est",la rotta nel Mare del Nord che farebbe risparmiare 7400 km,allungandosi lungo la costa artica della Siberia.Un percorso una volta proibitivo perché bisognava passarci con le navi rompighiacci,ma ora più percorribile a causa del riscaldamento globale e quindi dello scioglimento dei ghiacci.La Cina,invece,sta cercando di implementare i suoi collegamenti economici e tecnologici con l'Europa attraverso la sua "Belt Road Initiative"(la "Via della Seta")che,interessando anche l'Italia,riuscirebbe a bypassare lo stretto di Malacca,controllato virtualmente dagli USA,la cui chiusura anche per un solo  mese,strozzerebbe l'economia cinese.Tutto un gioco di grandi potenze,di economia e geopolitica mondiale.Che alla fine,però,finisce per colpire i popoli e le genti in tutto il mondo.Aumentando,per esempio,la povertà e la fame dei popoli africani costretti a migrazioni verso il Nord del mondo.Ma che adesso incide anche sulla vita e l'economia della di tanti popoli,messi in ginocchio e così impoverita in questi tempi di pandemia mondiale.