30 novembre 2020

LA NOTTE DELLA DEMOCRAZIA



In quest'ultimo,diverso,inaspettato anno ci siamo trovati difronte a nuove angosce e fragilità del fisico e dell'anima.Ci siamo trovati ad avere una pandemia come indesiderata compagna di vita,e,a causa sua,siamo stati costretti e ristretti in nuove solitudini materiali ed esistenziali.Se non altro,però,abbiamo trovato tempo,chiusi nelle nostre case,per tornare a leggere,a riscoprire opere letterarie di autori che altre epidemie hanno descritto e raccontato.Abbiamo letto il racconto della peste di Firenze,fatto da Boccaccio nel "Decamerone".O,quello,forse il più celebre di tutti,della peste a Milano del 1630,nelle pagine dei "Promessi Sposi" e della "Storia della Colonna infame" di Alessandro Manzoni.Abbiamo sfogliato l'opera di fantasia del premio Nobel Albert Camus "La peste",con i simbolici significati esistenziali che ad essa conferisce l'autore.Ed ancora abbiamo letto "Cecità" dell'altro Premio Nobel,José Alberto Saramago,o Jack London("La peste scarlatta")e Thomas Mann("Morte a Venezia")Ma siamo stati in pochi,però,a leggere il Trattato sulla peste del 1714,dello storico e filosofo illuminista Ludovico Antonio Muratori:" Delgoverno della peste e delle maniere di guardarsene .Epperciò,seguendo un amicale suggerimento,sono andato a leggere il testo del Muratori.E' stata una sorpresa leggere quelle pagine.Sembra di leggere un quotidiano di oggi piuttosto che un testo del 1714:sembra di ritrovarsi nell'Italia di oggi,nell'Italia pervasa da questo oscuro male,davanti agli stessi problemi sanitari,di governo e di uso politico dell’epidemia e alla proposizione delle stesse soluzioni.Ad esempio in esso si parla del modo di bloccare i commerci e i contatti fra le persone;di chiudere i confini;di evitare quelli che oggi chiamiamo “assembramenti”;di isolamento domestico(“distanziamento sociale”)dei malati;di norme igieniche come l'uso di fazzoletti bagnati nell’aceto a copertura di nasi e bocche(le nostre “mascherine”);della classificazione dei contagiati in sani,infetti,sospetti,guariti(sembra quasi di ascoltare i bollettini quotidiani dell'Istituto Superiore di Sanità).Nel "Governo della peste" si parla ancora di gestione degli orari di uscita da casa e di apertura delle osterie;di tenere sotto controllo le dicerie(le odierne “fake news”).E,quando il filosofo avverte di diffidare del “narcisismo” degli scienziati,si pensa,sorridendo,a quei tanti virologi,infettati dal virus da telecamera,che ogni giorno pontificano in tv.Per Muratori,la politica dell’emergenza va gestita su tre basi:’“oro,fuoco,forca”.Oro,cioè rimborsi,ristori e altri istitui come le odierne casse integrazioni come obbligo dei governi di venire incontro alle difficoltà di chi non può lavorare."Fuoco e Purificazione",cioè misure sanitarie come disinfestazione e sanificazione continua degli ambienti e degli abiti.Ed infine "forca".Per lo storico e filosofo emiliano,i governanti devono saper alternare "con somma sapienza",la necessità dei provvedimenti con un “salutare terrore”,con un atteggiamento,cioè,utile a far comprendere,con pene giuste ed equilibrate,ai trasgressori dei provvedimenti sanitari,la necessità dei provvedimenti adottati.Senonchè,in questa pandemia dei giorni nostri,in questa nuova "normalità" che stiamo vivendo,il "salutare terrore" di cui parla Muratori,si presenta piuttosto come una specie di silenzioso,strisciante regime sanitario,giustificato da norme anticontagio.In questi mesi,nel nome della salute sono state revocate libertà,sospesi diritti elementari e sono state imposte norme restrittive,fino al coprifuoco.È stato possibile mettere un paese agli arresti domiciliari,isolare gli individui,impedire ogni possibile riunione di persone.Qui non si vuole discutere della necessità di misure di prevenzione,ma non si può certo tacere sul contenuto di certi provvedimenti,su tempi,modi e aree di applicazione.Tutti abbiamo accettato queste restrizioni col sottinteso che si sarebbe trattato di un periodo breve,transitorio,uno stato provvisorio "d’eccezione",come dice Carl Schmitt.Ma adesso che il rischio sanitario si sta protraendo,il timore è che si possa protrarre anche la quarantena e con essa ulteriori restrizioni di diritti e libertà di un popolo.Per questo senso di "oppressione" autoritaria,molti hanno sentito la necessità di leggere altri libri su altri temi che alla pandemia si collegano.Il tema del potere,per esempio.Il potere che si regge sulla paura:lo diceva Hobbes quando disegnava la figura del "Leviatano",e lo diceva,in modo diverso,Machiavelli.E la paura è sempre,alla fine,paura di morire.Perchè la vita,per tutti è il tutto,la vita è l’assoluto e per lei siamo disposti a tutto.Siamo in balia di chiunque possa minacciarla o,al contrario,proteggerla.Di conseguenza davanti al terrore di contaminarsi e al rischio di morire,non c’è diritto,libertà,voto od opinione che tenga.Prima di tutto la salute che diventa una priorità assoluta.Sono questi i temi della "biopolitica" di cui parla Michael Foucalt.E' per questi motivi che,nel mezzo di questa Notte delle Libertà,abbiamo riletto i romanzi distopici "1984" di George Orwell o "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley.In quei libri c'erano un "Grande Fratello" o un "Henry Ford" come titolari di poteri assoluti che sopprimevano qualsiasi volontà dell'individuo.Se quei libri fossero scritti oggi,si potrebbe ben immaginare un potere totalitario che usa la sanità e la protezione dal contagio come arma di dominazione assoluta.Certo,stiamo parlando di letteratura.Però la letteratura a volte esprime alcune latenti ma reali preoccupazioni della gente.Pensiamoci un attimo.Fino al primo lockdown vivevamo questa tremenda situazione come riscoperta di alcuni principi:l’ordine e la disciplina,il senso della casa e della famiglia,l'orgoglio nazionale con i canti sui balconi.Ora ci accorgiamo delle "controindicazioni" di questa "medicina",dei suoi effetti collaterali e "indesiderati" propri di un terrore sanitario collettivo.Ognuno di noi,anche attraverso la lettura di quei testi letterari,patisce interminate prove tecniche di fine umanità:metropoli assordate da angoscianti,insostenibili silenzi.Tempi e Templi del Sapere,dello spirito e del fisico,come Scuola,Teatri,Cinema,Stadi e arene,chiusi a doppia mandata.Quella semplice passeggiata che facevamo nella vita di prima,oggi ci appare quasi come una "colpa",costretti come siamo a giustificare quei pochi passi che facciamo con carte di identità e autocertificazioni,sapendo poi di essere controllati da silenziosi droni,nuovi occhi di questo Nuovo Grande Fratello.Ma troppo lungo sta diventando questo regime di vigilanza e controllo,questa persistente dimensione emergenziale,questa sospensione di libertà e diritti che sta stancando gli italiani.Non si tratta di respingere le necessarie norme sanitarie,ma di contestare questo modello ideologico,etico e politico,di gestire il diritto alla salute.La paura di morire non può impedirci di vivere.E di vivere da uomini liberi.

23 novembre 2020

QUEL GIORNO, 40 ANNI FA





Per noi,gente dell'Irpinia e del Sannio,sono questi i giorni di un ricordo.40 anni fa,il 23 novembre 1980,ci fu il terremoto dell'Irpinia.Era una domenica il 23 novembre di 40 anni fa.Rai Due trasmetteva il secondo tempo in differita della partita Juve-Inter,e nell’altra stanza le donne preparavano la cena,in attesa che tornassero i figli e i mariti,usciti per andare a Messa o al bar o al circolo a celebrare il "rito" dell'aggregazione domenicale,secondo gli accordi della mattinata("ci vediamo stasera al bar")E al bar o al circolo ci si vedeva per chiacchierare e fumare o per la partita a "tresette".I soliti discorsi.I giovani,la politica,le donne,le stagioni che non sono quelle di una volta e il lavoro da fare domani nei campi.Poi,improvviso,tremendo,spaventoso,alle 19,34 un boato sordo e profondo squarcia la quiete della sera.La terra trema,la casa sobbalza e poi oscilla.90 secondi che sembrano non finire più.Un minuto e mezzo di terrore.La paura che ti taglia le gambe.Il movimento che ti trascina insieme al resto della casa,insieme al divano sul quale sei seduto.Buio.La luce che se ne va.Urla e grida.Preghiere ai Santi e alla Madonna,rumore di assi che scricchiolano,di mura che si squarciano,di tetti che cedono,di fondamenta che si aprono,di qualcosa che crolla in strada.L’odore di zolfo,di gas.Il senso di impotenza assoluta.Poi,così come è iniziato,tutto si ferma.90 secondi,una vita.E giù di corsa tutti insieme in strada,nel buio della notte,quella notte ancora più buia.Ed è tutto un vocio,un pianto,un trambusto,grida di gente che cerca gente.Gente smarrita,angosciata,terrorizzata.Ma dov'eravamo dopo quei 90 secondi?Non si riconoscevano più i luoghi,le strade,le case,i posti della nostra normale vita di "prima".Niente luce,niente telefono.Strade bloccate.Nessuna possibilità di chiedere e ricevere soccorsi.Poi cominciano ad uscire le prime voci che chiedevano aiuto da sotto le macerie.Ma le altre scosse che seguivano obbligavano a smettere di scavare con le mani.E continuavano,strazianti e disperati,i pianti e le grida e le voci di là sotto.Per giorni si sentirono quelle voci.Sempre più flebili,poi nulla più.Le mani nude e i pochi attrezzi non riuscivano a superare il groviglio di assi,di legna,di travi di ferro contorti,di pietre e mattoni di tufo.Solo 5 giorni dopo quella scossa assassina cominciarono a vedersi le prime camionette degli alpini e i volontari partiti da tutte le parti d'Italia,che si inerpicavano su masse di detriti e macerie per arrivare a Teora e Balvano,a Laviano e Lioni e Sant'Angelo dei Lombardi,tutti paesi sconosciuti fino allora,fors'anche alle carte geografiche.E così,senza saperlo,alle 19,34 di quel 23 novembre un mondo finiva.Luoghi,storie,persone e parole scomparivano per sempre.I morti furono 2914.Novemila i feriti.Trecentomila i senzatetto.All'inizio,di fronte a tutto quel dolore,ci fu un'ondata di solidarietà sincera e generosa.In tanti accorsero in Irpinia.Arrivò l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini,che volle andare tra quelle macerie nonostante i suoi 84 anni.E arrivò anche Giovanni Paolo II e Lech Walesa,il capo di Solidarnosc,e Claudio Abbado e Nanni Moretti.Scrissero sull'Irpinia Alberto Moravia e Leonardo Sciascia.Pure Andy Warhol si unì al grido di quella gente con la gigantografia della prima pagina del "Mattino":"Fate presto".E i giornalisti Giovanni Russo e Corrado Stajano pubblicarono un libro:"Terremoto".Dopo,invece,arrivarono i finanziamenti per la ricostruzione:60.000 miliardi,praticamente più di 2 manovre finanziarie.E  su quei soldi arrivò la camorra in combutta con la malapolitica per mettere le mani su lavori,appalti,progetti.Una provvidenziale manna per affaristi senza scrupoli,camorristi,politici corrotti,imprenditori.Un'infame e cinica strategia sulla pelle di chi aveva perso tutto:accordi tra i politici che distribuiscono gli appalti con gli imprenditori che vengono a lavorare,che pagano la "tangente" e assumano la gente giusta e cedano i subappalti.L'accordo con la camorra per pagare il pizzo;l'accordo,per la camorra,significa intimidire,minacciare,incendiare cantieri,mettere bombe.Oggi,a distanza di 40 anni,molti vorrebbero rimuovere quelle macerie,archiviare la memoria di quel giorno.Sarebbe un tragico errore, oltre che un insulto a chi è rimasto sepolto sotto quelle macerie.Nello scandalo del dopo terremoto,infatti,affondano le radici profonde di quella delle nuove “ecomafie”.Parte proprio da quel disegno criminale progettato e sperimentato sulle macerie del sisma,quel sistema economico-criminale che porterà fino ai nostri giorni allo sfruttamento sistematico e illegale del territorio e delle risorse ambientali della Campania e dell'intero Paese.In quegli accordi si salda quel patto scellerato tra politici e amministratori locali,imprese e boss camorristici che trasmetterà il virus dell’illegalità allo Stato,all’economia.Dopo 40 anni non dobbiamo perdere la memoria,le immagini di quei posti e di quella gente,le straordinarie prove di generosità,la solidarietà concreta, l'impegno di decine di migliaia di volontari.Una lezione ci lascia "quel" giorno.L'ambiente è una risorsa strategica dell’Italia,che non va lasciata impunemente in mano a chi la saccheggia,per trarne profitto. Approfittando persino di un’immane tragedia,come quella del 23 novembre 1980.

19 novembre 2020

DIVIETO DI CULTURA





Con la seconda ondata del virus è ricominciata l'alluvione dei Dpcm.Nuove regole,altri divieti e obblighi.Obbligo,per esempio,di chiudere i servizi non essenziali.E "non essenziali",per il premier Conte,sono i luoghi della cultura:musei,teatri,biblioteche.Tutto chiuso,a tempo indeterminato.Questi luoghi,per questo governo rozzo ed incapace,sono considerati solo come un "numero",per il numero,cioè, di visitatori,potenziali contagiatori per eventuali assembramenti:un numero,niente più,come se questo fosse l'unico criterio da seguire per evitare contatti e contagi.Oltretutto non si capisce come mai cinque persone in una stanza di museo rischino il contagio più di cinque persone in un negozio di alimentari di identica superficie.E così bisogna accontentarsi di visite "virtuali",almeno per quanto riguarda i musei.La chiusura di teatri,biblioteche e musei conferma così quale sia il "sentimento" di questo governo nei confronti della cultura:essenziale è(con tutto il rispetto)il negozio di giocattoli per bambini,non i musei,i teatri e le biblioteche.Invece il teatro e i musei e le biblioteche sono altro e di più,ed anzi dobbiamo prepararci a un diverso modo di fare cultura,di avere bellezza,di coltivare memoria,di mantenere sensibilità di cui c'è sempre bisogno.Ed è in questo nuovo,inaspettato tempo che tale bisogno si fa sentire ancora più necessario.La memoria culturale ci ricorda quel che eravamo e ci proietta verso il futuro.Ci dona ricchezza interiore,alimenta speranza.E ci cura l'anima.Diceva il pittore Lucien Freud,nipote del padre della Psicoanalisi,Sigmund:"Vado alla National Gallery come si va dal medico".Nell’art. 9 della Costituzione c'è scritto che:"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".E' qui il senso di tutto.È nel nostro patrimonio artistico,nella nostra cultura che risiede il cuore della nostra identità nazionale.Anzi.Mi piace immaginare la cultura italiana come un'immensa agorà senza Tempo nella quale,ad esempio,Seneca passeggia con Leopardi riflettendo sull'ineluttabilità del dolore;più in là Dante e Manzoni discutono del senso religioso della vita,mentre Pasolini e Caravaggio si raccontano le loro vite travagliate;e poi ancora Verdi e Vivaldi e Mascagni e Paganini e Donizetti e Puccini,si dicono di quanto avesse ragione Platone nel dire che:"La musica fa bene al cuore".E Croce e Gentile ragionano di Platone e Aristotele,guardando la "Scuola di Atene" di Raffaello.E poi ancora Leonardo e Michelangelo,discutono della Creazione dell'Umanità,come loro l'hanno concepita nel "Vitruviano" e nell' "indice" della Cappella Sistina.E poi Pirandello,Montale e Ungaretti che si chiedono quale sia il significato esistenziale dell'Uomo.Ecco,questa Italia è dentro ciascuno di noi,espressa nella cultura umanistica,dall’arte figurativa,dalla musica,dall’architettura,dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo.Non a caso quell'articolo 9 si trova nella sezione "Principi fondamentali" della Costituzione."Principi fondamentali",altro che servizi non essenziali.E allora fatelo quest'altro Dpcm:che tutti i musei e i teatri e le biblioteche siano aperti.Sarebbe un segnale di vita e di speranza.L’affermazione che arte e cultura sono necessarie,anche e soprattutto in un momento come questo.Sarebbe la consapevolezza che la ripartenza richiede memoria della nostra cultura,storia e bellezza.Che il museo,il teatro,le biblioteche sono macchine del pensiero,il simbolo di una società che non si limita a sopravvivere a se stessa.Un modo per prepararci al mondo nuovo che verrà.La pandemia ci obbliga alla consapevolezza della nostra fragilità.Ma anche alla consapevolezza della nostra forza che è la nostra immensa cultura.




13 novembre 2020

UN CAFFE' AL GAMBRINUS

Ci sono posti nei quali si riassume il significato di un tempo,la memoria e la cultura di un popolo.Uno di questi posti,ad esempio,è il "Gambrinus",il "Caffè" di Napoli famoso in tutto il mondo.Inizialmente chiamato “Gran Caffè”,fu poi ribattezzato “Gran Caffè Gambrinus”.Esso fu fondato nel 1860 dall'imprenditore napoletano Vincenzo Apuzzo.Nel 1890 i locali furono rinnovati dall'architetto Antonio Curri(celebre per aver realizzato la Galleria Umberto,nel cuore di Napoli)che creò un gioiello di arte Liberty con specchi,divani rossi e oltre 40 dipinti di artisti della scuola di Posillipo.Il Gambrinus è nel "salotto" della città,tra Piazza Plebiscito,il Teatro San Carlo e Castel dell'Ovo.Durante la Belle Epoque il Gambrinus ospitò le più grandi menti del periodo:letterati,artisti,musicisti.e anche dopo,nel corso dei suoi 160 anni,il Gambrinus ha rappresentato il cuore della vita mondana,culturale e letteraria della città:re e regine,politici, giornalisti,letterati e artisti di fama internazionale lo hanno eletto a luogo di incontro dove discutere di filosofia,politica,letteratura.In quel Caffè Letterario amava venire Benedetto Croce e più volte è stato ospite Oscar Wilde con il suo amante,nel loro periodo napoletano.Lì si decideva molto del futuro del Regno e della vita politica cittadina.Qui passava lungo tempo Gabriele D'Annunzio che ne amava i fasti e l'aria lussuosa.Agli stessi tavolini la scrittrice e giornalista Matilde Serao e il poeta Eduardo Scarfoglio progettarono "Il Mattino",ancor oggi il più diffuso quotidiano meridionale.Le stesse sale furono frequentate da Filippo Tommaso Marinetti,Hemingway,Sartre,Woody Allen,Totò,i fratelli De Filippo.Tanti uomini politici e cariche istituzionali italiane e straniere vi passarono:i Presidenti della Repubblica,Cossiga,Ciampi,Napolitano e Mattarella,la signora Merkel e da ultimo perfino Papa Francesco.Ma il Gambrinus è anche la memoria di tante tragedie di Napoli.La memoria delle bombe durante la seconda guerra mondiale e delle 4 giornate del settembre '43,le giornate dell'insurrezione contro i nazisti.La memoria dell’eruzione del Vesuvio del 1944,richiamata anche da Curzio Malaparte,nel suo libro "La pelle",nel quale lo scrittore racconta anche la fame del popolo napoletano subito dopo la guerra:il contrabbando,gli "sciuscià",i ragazzini lustrascarpe e le ragazzine "vendute" agli americani per qualche Am-lire per campare.E c'è la memoria del terremoto dell'Irpinia del 1980:2 minuti di distruzione che lasciarono un senso di precarietà per decenni.Di tutte queste memorie i napoletani hanno parlato e conversato e discusso,davanti a un caffè,al "Gambrinus".Per questo non è un caffè come gli altri,il Gambrinus.Per questo la notizia della sua chiusura a seguito delle difficoltà economiche causate dal covid e l’idea stessa di quella serranda abbassata,l’assenza dei tavolini in piazza non passano senza lasciare smarrimento in un popolo già smarrito.Per carità,questo triste destino è condiviso da centinaia di aziende,e non c’è provvidenza o ristoro che possa risolvere una crisi che minaccia di essere esiziale per un intero mondo commerciale.E tuttavia, esistono i simboli.Quelli che rappresentano un po’ tutto il resto,quelli che racchiudono in sé significati molto maggiori di quelli materiali.Il Gambrinus significa capacità di guardare oltre.Di pensare che la vita riprenderà,come dopo la guerra e il terremoto,quando il Gambrinus non chiuse.E invece questo virus,sterminatore di uomini e umanità,è riuscito dove non riuscirono le grandi catastrofi.È questo il motivo per cui,a leggere questa notizia in mezzo alle altre che raccontano le così grandi tragedie di questo tempo,all'angoscia generale si aggiunge altra angoscia,sapendo quello che nel Gambrinus è stato.