26 maggio 2017

MINUTO PER MINUTO


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Qualche settimana fa è morto il giornalista sportivo Guglielmo Moretti che,insieme a Roberto Bortoluzzi e Sergio Zavoli fu ideatore della fortunatissima trasmissione Rai "Tutto il calcio minuto per minuto",dedicata al campionato italiano di calcio con radiocronache,interventi e commenti in diretta dai campi di gioco.Celebri radiocronisti furono Sandro Ciotti, Enrico Ameri e Alfredo Provenzali.E m'è tornato alla mente il "mio","Tutto il calcio". Per noi ragazzini di allora,che avevamo i nostri album dei calciatori dove incollavamo le mitiche figurine "Panini","Tutto il Calcio"era un appuntamento settimanale irrinunciabile.Ci si sedeva davanti a quelle splendide radio antiche di una volta,che oggi sono un reperto storico,costruite da marchi adesso scomparsi,come quella che avevo io,la radio "Allocchio Bacchini",e il rito cominciava.Oggi ci sono le cuffiette del walkman alle orecchie che non ci abbandonano per un istante:ma allora no,sedersi davanti la radio "Allocchio Bacchini" era come un rito sacro,con tutti i suoi preparativi e i suoi preliminari.Durante la radiocronaca c'era quel fruscio disturbato in sottofondo,al quale s'era ormai fatto l’abitudine.Anzi,quasi lo si voleva,per creare ogni domenica quell’atmosfera magica in cui ti bastava solo ascoltare la voce rauca di Sandro Ciotti e quella da gentleman inglese di Enrico Ameri per far correre la mente per i vari campi.Oggi sembra tutto così normale,con tv e moviole e tante trasmissioni di calcio in tv,ma non cambierei mai quei momenti di allora con quelli del mondo del calcio di adesso.Allora sentivi la voce di Alfredo Provenzali che elencava tutte le partite,dal campo principale a quelli delle serie inferiori e di fianco c'era la schedina da controllare,quella del "13",non tutte quelle dell'attuale mondo di scommesse,più o meno legittimo,che in un modo o nell'altro hanno corrotto innanzi tutto moralmente gli stessi ambienti del calcio.E c'era sempre il "campo principale",quello dello Stadio S.Siro(era così bello,perchè adesso lo chiamano il "Meazza"?)di Milano.Oppure il "Comunale di Torino o il "Dall'Ara" di Bologna o il "Luigi Ferraris" di Genova."Per tutti gli altri campi solo minuto e punteggio,linea ora al collega che stava parlando",era la frase tipica di Provenzali.E si ascoltavano le voci oramai familiari degli altri radiocronisti, che ormai s'era imparato a riconoscere dalla prima parola. “Attenzione è Bologna che deve intervenire,ha segnato Pascutti,pertanto al terzo minuto di gioco il punteggio cambia Bologna 1 Bari 0,linea a chi stava parlando.”Era un susseguirsi di emozioni che si rincorrevano;non vedevi il pallone rotolare ma è come se fossi li,a bordo campo.Le azioni si immaginavano nella mente,per poi  prendere forma alle 18 quando in Tv cominciava "Novantesimo Minuto" con gli indimentivabili Paolo Valenti e Maurizio Barendson.La loro trasmissione mostrava le immagini reali,con i collegamenti dai campi con i corrispondenti locali(ah,quel mitico Tonino Carino da Ascoli)e vedevi le principale immagini delle partita(quelle che oggi,con termine inglesizzato,per così dire,si chiamno "highlights")e tutti i goal della giornata da poco conclusa.Ma intanto sentivi ancora la radio,e aspettavi il risultato della squadra del cuore,e per lunghi minuti non succedeva assolutamente nulla.Poi la voce di chi sta parlando veniva interrotta bruscamente,senza preavviso,e si sentiva un boato di sottofondo.Irrompeva la voce baritonale Sandro Ciotti:“Rivaaaa,Cagliari in vantaggio.Ha realizzato con freddezza dal limite dell’area di rigore dopo essersi liberato dal suo marcatore.Ripetiamo,Riva ha portato in vantaggio il Cagliari,il punteggio all’Amsicora dunque cambia,minuto 33,Cagliari 1 Sampdoria 0.” Magari c'era qualche domenica non eri a casa,eri in giro con amici per le vie del centro,o da qualche altra parte.Ma subito si cercava un bar dove c'era una radio ed è lì che l'atmosfera dello stadio veniva ricreata.Oggi non serve più,la partita la puoi vederla in diretta ovunque,con un tablet o uno smartphone.Ma non è la stessa cosa.Una volta la partita la vedevi e la "facevi" tu e la immaginavi solo nella tua mente.Ed era quello il bello del calcio,o almeno di "quel" calcio.L’azione da goal era imminente,non serviva vederla,bastava ascoltare.C'erano poi le frasi rimaste famose,come quella storica,quella del:“Clamoroso al Cibali” pronunciata da Sandro Ciotti il 4 giugno 1961.Lo si tira in ballo ancora oggi,riferendosi ad un risultato assolutamente imprevisto,paragonabile alla vittoria di quel Catania che nello stadio di casa,appunto il "Cibali",riuscì a battere l’Inter per 2 a 0."Tutto il calcio" fu sin dal 1959,anno della prima puntata,una trasmissione imprescindibile fatta di un linguaggio tecnico ma in fondo comprensibile a tutti.La cosa bella e magica era quella sua ineluttabilità,quella sua imprescindibilità.La certezza di ritrovare quell'appuntamento tra 7 giorni,con nuove attese e nuove speranze.In quei 90 minuti(90,senza recupero)c'era la gioia e l'ansia e le aspettative di tutta una settimana.Ed in "Tutto il calcio"c'erano tutte le speranze di noi ragazzi,le speranze di un partita vincente,quella della tua squadra,e leopardianamente,quelle della tua vita.E dalla "Allocchio Bacchini" ci veniva il racconto delle cose ed il riscontro ai sentimenti,alle speranze.E "Tutto il calcio" ci raccontava quello che per noi non era solo un gioco,ma un qualcosa da cui è impossibile staccarsi.Perché è vero,la partita,la vita non è sempre come ce l'eravamo immaginata,ma abbiamo comunque il diritto e il bisogno di viverla e di immaginarla come allora,minuto per minuto.
 
 
 
 
 
 

08 maggio 2017

LA VITA E' ALTROVE

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E' l'epoca del Selfie.Il tempo degli autoscatti con lo smartphone,da pubblicare poi subito sui "social",per mostrare cosa chi uno è,cosa in quel momento uno fa,per raccogliero poi una manciata di "like".Nel tempo dell'Immagine e dell'Apparire,sembra quasi un'esigenza mostrarsi tramite un selfie.La cosa importante,per i "selfisti" è mostrare e mostrarsi agli altri per creare un alone di interesse su se stessi.Ognuno è convinto di avere sui "social" dei followers pronti a osannarlo,ogni volta che appare.Il selfista ritiene di essere così interessante da dover comunicare la sua presenza ogni volta che fa qualcosa che è necessario che il mondo intero sappia.Il significato principale degli scatti di oggi sembra essere motivato dall’assoluta necessità di comunicare quanto si è migliori.Attraverso la cura e l’esasperazione della propria immagine,i gesti e le espressioni del volto,i particolari dell’abbigliamento.Si vive per poter comunicare quanto siamo importanti e degni di attenzione.

Il selfie ha pure i suoi antenati,per dire così.Come nella favola di Narciso,per esempio.Quella morbosa considerazione di sé stessi,che si esprime nel culto e nella cura maniacale per il proprio corpo.Oppure,nella Pittura,con la quale tanti grandi artisti in tanti secoli hanno avvertito la necessità di "vedersi" in un loro autoritratto:da Leonardo a Raffaello;da Rubens a Rembrandt a Caravaggio;da Van Gogh a Renoir a Picasso e tantissimi altri ancora.Oppur'anche nella Fotografia:da Cornelius ad Andy Warhol;da Rosemary Williams a Helmuth Newton.E nella Letterartura,come nel romanzo di Oscar Wilde: "Il ritratto di Dorian Gray",nel quale dietro la sua bellissima immagine pittorica,il protagonista nasconde un devastante degrado e disfacimento morale o ne "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello,nel quale il protagonista scompare dal mondo e vive in uno stato di "non-vita".Ma l'autoritratto è qualcosa di diverso,dal selfie,poiché nell'autoritratto,accanto a capacità introspettive,si attua un processo cognitivo ed emozionale.Gli autoritratti rappresentano la necessità degli artisti di "guardarsi" dentro,di interrogarsi,magari con quei contrasti tra Luci ed Ombre,come fa il Caravaggio,per cogliere i contrasti e le contraddizioni esistenziali intorno a loro.Il selfie è superficiale rappresentazione di vite mediatiche,di aspetti esteriori,di un narcismo da condividere sui social con una "massa" di "altri" indistinti e sconosciuti.In questa Società dell'Immagine rappresenta l'incapacità di parlare e correlarsi agli altri,sapendo "connettersi" agli altri solo mediante smartphone,tablet e social,nemmeno poi veritieri perché pieni di "fake".Nessuna volontà di porsi dei perché,in questo Tempo di Egocentrismo,di arrampicamento sociale e di feroce rincorsa al Potere e al Denaro.Ma il selfie è anche,e all'opposto,una forma di fragilità e insicurezza.Il rischio maggiore è di “vivere per gli altri”,di non essere in grado di cogliere ciò che ci rende singolari,unici.Gli adolescenti sono spesso confusi rispetto a quale sia il loro reale valore,la loro personalità,il loro posto rispetto all’amore e nel mondo.Ecco poi perché si "sceglie" l'immagine migliore con cui mostrarsi agli altri:si vogliono nascondere le proprie fragilità ed insicurezze e si tende a mostrarsi invincibili,superiori e migliori.Nel selfie si vuole rappresentare un altro io e un'altra esistenza,si romanzano storie virtuali mutuate da mondi irreali ed improbabili.Tante "storystelling" in assenza di valori e certezze di ancoraggio e riferimento.Non c'è più politica,nè,tantomeno,Politica.Non ci sono più Valori aggregativi,ed anche la Chiesa,specie con l'attuale pontificato,sembra cedere alla difesa dei propri principi,incapace di sottrarsi alla cultura del Relativismo.E il selfista sembra recuperare coraggio e sicurezza strappando un selfie con le diverse forme del Potere Temporale e Spirituale;con Primi Ministri compiacenti a caccia di voti giovani,come un Renzi di passaggio,per esempio.Oppure con Obama,il Presidente della più grande potenza della Terra.Oppure ancora con l'Autorità morale più alta e presigiosa,come quella di Papa Francesco,ad esempio.Ma alla fine il selfie è solo l'impoverimento del proprio Essere e della propria Esistenza.Ci si muove in un grottesco desiderio di apparire,ma in realtà di nascondere la propria vita reale.A tu per tu con 'l'ingombro' della propria immagine:quella fragile,intima e profonda e quella invece trionfante,da essi stessi vagheggiata,idealizzata e costruita.E vien da chiedersi:ma quei ragazzi che sono morti su un binario ferroviario per farsi un selfie,non avevano null'altro da fare?Che so?Amare,divertirsi,giocare alla vita?Solo smarrimento,apatia avevano trovato nelle loro vite?Perchè non riuscivano ad essere felici per il semplice fatto di vivere?Avere persone "vere" e non virtuali da amare ed insieme alle quali vivere la pienezza di sentimenti vivi e non postati su Instagram.Magari anche con la capacità di affrontare le difficoltà della vita,e non di accontesatri dei "like".No,davvero.A volerla dire con Milan Kundera:"La vita è altrove".La vita non è su Facebook o Instagram.

04 maggio 2017

UNA STORIA SENZA FINE

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Ci sarebbe da meravigliarsi se qualcuno se ne meravigliasse.Alla fine la storia di Alitalia non è altro che l'ennesima puntata di una storia già letta,che si ripete oramai da più di mezzo secolo.E' la storia e stavolta anche la fine di Alitalia;la stessa di una lunga,troppo lunga,serie di aziende cosiddette di Stato.È la storia delle partecipazioni statali,dell'IRI,dell'ENI o dell'ENEL, per esempio.O delle Aziende municipalizzate;insomma quella storia che ha visto lo Stato infilarsi dappertutto e a sproposito.Ed è (anche)da qui che nasce l’immensa voragine del debito pubblico italiano;quella voragine per la quale,i nostri esecutivi,non potendo più ricorrere alla valvola della svalutazione monetaria,continuano a elemosinare "flessibilità" all'Europa,senza però pensare mai ad abbattere il Moloch della spesa pubblica,magari con tagli a privilegi e clientele,a sprechi ed ottantaeuro.Con buona pace dei tanti Commissari alla "spending review" che negli anni si sono succeduti,ma tutti inascoltati dai vari governi Monti,Letta e Renzi.E' da quelle due parole che nasce il problema.Aziende a "partecipazione statale":il che vuol dire che le nomine ai vertici di quelle aziende di supermanager(Prodi ad esempio)venivano fatte con il solito sistema della più becera spartizione politico-partitica,con la logica delle lottizzazioni clientelari per la raccolta di un consenso elettorale corrotto e corruttore e senza nessun piano economico-industriale.Certo,sarebbe un bel rompicapo,ma se ci mettessimo a fare la somma di quanto,a partire dagli anni '60,siano costate alle casse pubbliche e quindi agli italiani,le “controllate” o “partecipate",si rimarrebbe strabiliati,ma solo per poco,perchè poi tutto si spiegherebbe.Nemmeno il periodo degli anni Novanta,quando si cercò di operare delle privatizzazioni di quegli Enti,riuscì a risolvere il problema,tanto ipocrita,viziato e corrotto era quella specie di politica industriale.Solo in Italia,tra i Paesi occidentali,il più grande imprenditore è sempre stato la mano pubblica.Dalle banche(basti pensare ai finanziamenti statali alla banca che più politica non si potrebbe come "Monte Paschi di Siena",ma anche alle varie Banche Etrurie in giro per l'Italia).Alla meccanica(l'ILVA di Taranto),ai trasporti,all’energia,ai servizi di pubblica utilità,alla manifattura.Allegria!Tutto statale,tanto paga Pantalone.Tutto statale,direttamente o indirettamente,con una socializzazione delle perdite a carico del contribuente italiano.Da questa immensa rete a "partecipazione pubblica",sono derivati svendite,fallimenti,commissariamenti,fusioni e incorporazioni onerose e opache.Ecco perché la fine di Alitalia non è qualcosa che possa sorprendere,perchè,invece,è la storia senza fine che viene da molto lontano e che una classe dirigente economico-politica affarisitica,opportunista e avida di danaro e di potere non ha mai corretto per interesse o per mancanza del senso dello Stato.
In Italia la politica industriale ha seguito solo logiche di assistenza finalizzate al consenso elettorale,di favori agli amici degli amici da favorire e delle poltrone da distribuire con stipendi da sceicco.Senza voler dire delle "partecipazioni" sindacali,a quel sistema di relazioni industriali.Ecco poi perché abbiamo il sistema bancario che abbiamo,connesso e colluso con il potere politico,come Banca Etruria ha dimostrato.Ed ecco perché ci ritroviamo le municipalizzate colabrodo e aziende statali o parastatali in disfacimento,nonostante le centinaia di milioni di euro del contribuente buttate in quei pozzi senza fondo.Da noi lo Stato è entrato ovunque,e senza una logica di sviluppo,del mercato,e della responsabilità manageriale.
Così stiamo qui a parlare di cosiddetti salvataggi,rifinanziamenti,ricapitalizzazioni e riconversioni di un’infinità di gruppi aziendali che sono costati uno sproposito a perdere. 
Per questo non c'è da sorprendersi per la storia e la fine di Alitalia.Dentro questa fine c’è la sintesi di tutti gli sbagli della politica,del sindacato del management di Stato,in una storia da anni sempre negativamente uguale e senza fine,una storia senza fine.