E' l'epoca del Selfie.Il tempo degli autoscatti con lo smartphone,da pubblicare poi subito sui "social",per mostrare cosa chi uno è,cosa in quel momento uno fa,per raccogliero poi una manciata di "like".Nel tempo dell'Immagine e dell'Apparire,sembra quasi un'esigenza mostrarsi tramite un selfie.La cosa importante,per i "selfisti" è mostrare e mostrarsi agli altri per creare un alone di interesse su se stessi.Ognuno è convinto di avere sui "social" dei followers pronti a osannarlo,ogni volta che appare.Il selfista ritiene di essere così interessante da dover comunicare la sua presenza ogni volta che fa qualcosa che è necessario che il mondo intero sappia.Il significato principale degli scatti di oggi sembra essere motivato dall’assoluta necessità di comunicare quanto si è migliori.Attraverso la cura e l’esasperazione della propria immagine,i gesti e le espressioni del volto,i particolari dell’abbigliamento.Si vive per poter comunicare quanto siamo importanti e degni di attenzione.
Il selfie ha pure i suoi antenati,per dire così.Come nella favola di Narciso,per esempio.Quella morbosa considerazione di sé stessi,che si esprime nel culto e nella cura maniacale per il proprio corpo.Oppure,nella Pittura,con la quale tanti grandi artisti in tanti secoli hanno avvertito la necessità di "vedersi" in un loro autoritratto:da Leonardo a Raffaello;da Rubens a Rembrandt a Caravaggio;da Van Gogh a Renoir a Picasso e tantissimi altri ancora.Oppur'anche nella Fotografia:da Cornelius ad Andy Warhol;da Rosemary Williams a Helmuth Newton.E nella Letterartura,come nel romanzo di Oscar Wilde: "Il ritratto di Dorian Gray",nel quale dietro la sua bellissima immagine pittorica,il protagonista nasconde un devastante degrado e disfacimento morale o ne "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello,nel quale il protagonista scompare dal mondo e vive in uno stato di "non-vita".Ma l'autoritratto è qualcosa di diverso,dal selfie,poiché nell'autoritratto,accanto a capacità introspettive,si attua un processo cognitivo ed emozionale.Gli autoritratti rappresentano la necessità degli artisti di "guardarsi" dentro,di interrogarsi,magari con quei contrasti tra Luci ed Ombre,come fa il Caravaggio,per cogliere i contrasti e le contraddizioni esistenziali intorno a loro.Il selfie è superficiale rappresentazione di vite mediatiche,di aspetti esteriori,di un narcismo da condividere sui social con una "massa" di "altri" indistinti e sconosciuti.In questa Società dell'Immagine rappresenta l'incapacità di parlare e correlarsi agli altri,sapendo "connettersi" agli altri solo mediante smartphone,tablet e social,nemmeno poi veritieri perché pieni di "fake".Nessuna volontà di porsi dei perché,in questo Tempo di Egocentrismo,di arrampicamento sociale e di feroce rincorsa al Potere e al Denaro.Ma il selfie è anche,e all'opposto,una forma di fragilità e insicurezza.Il rischio maggiore è di “vivere per gli altri”,di non essere in grado di cogliere ciò che ci rende singolari,unici.Gli adolescenti sono spesso confusi rispetto a quale sia il loro reale valore,la loro personalità,il loro posto rispetto all’amore e nel mondo.Ecco poi perché si "sceglie" l'immagine migliore con cui mostrarsi agli altri:si vogliono nascondere le proprie fragilità ed insicurezze e si tende a mostrarsi invincibili,superiori e migliori.Nel selfie si vuole rappresentare un altro io e un'altra esistenza,si romanzano storie virtuali mutuate da mondi irreali ed improbabili.Tante "storystelling" in assenza di valori e certezze di ancoraggio e riferimento.Non c'è più politica,nè,tantomeno,Politica.Non ci sono più Valori aggregativi,ed anche la Chiesa,specie con l'attuale pontificato,sembra cedere alla difesa dei propri principi,incapace di sottrarsi alla cultura del Relativismo.E il selfista sembra recuperare coraggio e sicurezza strappando un selfie con le diverse forme del Potere Temporale e Spirituale;con Primi Ministri compiacenti a caccia di voti giovani,come un Renzi di passaggio,per esempio.Oppure con Obama,il Presidente della più grande potenza della Terra.Oppure ancora con l'Autorità morale più alta e presigiosa,come quella di Papa Francesco,ad esempio.Ma alla fine il selfie è solo l'impoverimento del proprio Essere e della propria Esistenza.Ci si muove in un grottesco desiderio di apparire,ma in realtà di nascondere la propria vita reale.A tu per tu con 'l'ingombro' della propria immagine:quella fragile,intima e profonda e quella invece trionfante,da essi stessi vagheggiata,idealizzata e costruita.E vien da chiedersi:ma quei ragazzi che sono morti su un binario ferroviario per farsi un selfie,non avevano null'altro da fare?Che so?Amare,divertirsi,giocare alla vita?Solo smarrimento,apatia avevano trovato nelle loro vite?Perchè non riuscivano ad essere felici per il semplice fatto di vivere?Avere persone "vere" e non virtuali da amare ed insieme alle quali vivere la pienezza di sentimenti vivi e non postati su Instagram.Magari anche con la capacità di affrontare le difficoltà della vita,e non di accontesatri dei "like".No,davvero.A volerla dire con Milan Kundera:"La vita è altrove".La vita non è su Facebook o Instagram.
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