12 novembre 2014

L'ALTRO PROCESSO



In Italia oramai le sentenze,prima e più che nelle aule dei Tribunali,si celebrano nelle piazze dinanzi al Tribunale del Popolo chiamato "pubblica opinione".E certi giudici,pur di compiacere la pubblica opinione e pur di acquistare visibilità,emettono poi proprio quelle sentenze che il Tribunale del Popolo della pubblica opinione VUOLE che siano emesse.E se queste sentenze non sono poi date,subito si alza alto e forte il grido:"Vergogna".Forse sarebbe opportuno,invece,che invece di urlare:"Vergogna" contro una sentenza di assoluzione emessa "PERCHE' LE ACCUSE NON SONO STATE DIMOSTRATE"(questa la motivazione di assoluzione degli imputati nel processo Grandi Rischi), ci si interrogasse sul modo di condurre le indagini  e delle prove portate dinanzi ai giudici,i quali,a dispetto delle condanne già emesse dall’opinione pubblica,fanno(devono fare)una valutazione sugli elementi probatori certi che a loro vengono sottoposti.Che fiducia può dare uno Stato,quale certezza del diritto si potrebbe più avere,di quale "giusto processo" si potrebbe più parlare se si seguisse il sentire generale senza valutare le prove?Che significato avrebbe più il diritto costituzionalmente garantito alla difesa in ogni grado e stato del giudizio che costituisce così tanta parte della nostra democrazia?

Detto questo, all’Aquila,in realtà,ci sarebbe dovuto essere un processo che nessuno ha mai aperto.E non è un processo alla Commissione Grandi Rischi quello da farsi,ma un procedimento nei confronti di ben altri soggetti che dovrebbero sul banco degli imputati:quegli imputati sono coloro i quali permisero che la città arrivasse così impreparata a un terremoto come quello del 6 aprile,in una zona,oltretutto,ad alta sismiscità come quella regione dell’Abruzzo.Basti pensare che la prima brochure per la popolazione sul rischio sismico è arrivata tre anni dopo il terremoto è stata preparata,stampata e diffusa dal sindaco solo dopo due anni dal terremoto.
in occasione della sentenza di primo grado, venne sollevata anche un’obiezione che coloro che gridano“Vergogna” non possono ignorare: “Quale scienziato vorrà esprimere la propria opinione sapendo di poter finire in carcere?”,si leggeva in un comunicato dell’Istituto di geofisica e vulcanologia.“La sentenza di condanna di L’Aquila rischia,infatti,di compromettere il diritto/dovere degli scienziati di partecipare al dialogo pubblico tramite la comunicazione dei risultati delle proprie ricerche al di fuori delle sedi scientifiche,nel timore di subire una condanna penale. Condannare la scienza significa lasciare il campo libero a predicatori che millantano di sapere prevedere i terremoti, rinunciando di fatto al contributo di autorevoli scienziati”.Già,è proprio così.Senza contare poi un altro fatto.Se gli scienziati chiamati a "prevedere" i terremoti danno l'allarme e poi l'evento sismico non avviene,gli stessi scienziati potrebbero teoricamente essere condannati a rispondere per il reato opposto e cioè quello di "procurato,falso allarme"(Art. 658 del Codice Penale).E allora il vero processo che va celebrato è un altro.Le indagini dovrebbero ricomprendere tutte le autorizzazioni a costruire date da quegli amininistratori locali nei decenni precedenti,anche da quei sindaci che,con il loro comportamento clientelare,hanno permesso alla città di sgretolarsi sotto l’effetto del terremoto del 6 aprile 2009.Se le case, gli edifici e le infrastrutture aquilane avessero retto e fossero state a norma, infatti,non ci sarebbero state le 309 vittime che invece ci sono state.Ma un processo così sembra ben lontano dall’essere celebrato.

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