06 dicembre 2025

IL PENSIERO COME RESISTENZA





50 anni fa,il  4 dicembre 1975,moriva a New York Hannah Arendt,una delle più staordinarie intelligenze europee di ogni tempo.Filosofa e studiosa di teoria della politica,fu a sua volta allieva di alcuni tra i più grandi pensatori europei come Edmund Husserl,fondatore del movimento filosofico della "fenomenologia",di Karl Jaspers che diede impulso alle riflessioni nei campi della psichiatria,psicologia,filosofia e della politica e Martin  Heidegger,già assistente di  Husserl e considerato inizialmente il maggior esponente dell'esistenzialismo (per quanto lui abbia sempre precisato la sua lontananza effettiva dal movimento francese).

La Arendt nacque ad Hannover e la sua vita ebbe una piega drammatica con l’ascesa del nazismo:in quanto ebrea, si trovò ad affrontare la persecuzione.La fuga di Hannah Arendt dal nazismo fu un'odissea in varie fasi: dopo l'ascesa di Hitler nel 1933, fuggì in Francia, dove lavorò per il movimento sionista;nel 1940 fu arrestata in un campo di internamento dal governo di Vichy, ma riuscì a evadere grazie all'aiuto di amici,emigrò negli Stati Uniti,dove visse fino alla morte, continuando la sua opera di filosofa e scrittrice.Questa esperienza influenzò profondamente le sue riflessioni sul totalitarismo e la dignità umana, come narrato nelle sue opere "Noi rifugiati" e "Le origini del totalitarismo". 

Di Hannah Arendt si ricorda di solito il suo famosissimo reportage sul processo Eichmann noto come "La banalità del male".Ma la sua opera fondamentale è certamente quella nella quale l'autrice riflette sul fenomeno del totalitarismo in tutte le molteplici forme nelle quali esso può manifestarsi e cioè Le origini del totalitarismo.La Arendt vide nel totalitarismo del suo secolo un fenomeno nuovo,completamente diverso da ogni altra tradizione precedente. Nei regimi totalitari gli individui sono come granelli di sabbia indistinguibili gli uni dagli altri.Ognuno sta nel proprio isolamento. In tali regimi la violenza è gratuita:è il terrore per il terrore.La Arendt parla di "male radicale", cioè del male fine a se stesso,senza senso e senza logica.

Di questo libro si discusse molto,perchè in esso la Arendt riflette proprio su una trasformazione nella natura umana.L’uomo che si era così perfettamente inserito negli ingranaggi dello sterminio della macchina nazista  era l’uomo massa,"un uomo senza qualità"(a dirla con Musil)un uomo senza coscienza morale che era adattabile ad ogni evenienza, capace allo stesso tempo di sterminare i propri simili come di portare a spasso il cane.Per questo il nazismo ha rappresentato l’apparizione del male assoluto nella storia:esso ci ha dimostrato che in certe circostanze l'uomo è un nulla,solo un agente passivo in grado di compiere qualsiasi atto perchè nessun valore indirizza il suo agire.

Anni dopo,però,proprio nell'altra opera di cui si diceva,La banalità del male,Arendt rivide questa sua posizione.La filosofa tedesca raccontò il processo al criminale di guerra tedesco Adolf Eichmann,uno dei principali esecutori materiali della Shoah.Il processo si tenne in Israele dopo che il Mossad lo aveva catturato in Argentina.Proprio seguendo quel processo l'intellettuale tedesca maturò una nuova convinzione:il male fatto dall’aguzzino Eichmann è spiegabile in un modo differente e cioè che il male non è più qualcosa di eccezionale ma fa parte di noi e delle persone che ci sono vicine.Infatti di fronte ai giudici che lo accusavano dello sterminio degli ebrei, Eichmann sostenne che non aveva fatto altro che "obbedire agli ordini". Ad Eichmann mancò quello che la Arendt chiama "lo spazio pubblico",cioè il "mondo comune",quell'arena dove gli individui, attraverso il proprio agire etico-politico emergono nella comunità,rivelando il proprio essere e la propria unicità,superando la mera sopravvivenza biologica per realizzare pienamente il proprio essere umano e politico.E' quella che la Arendt chiama vita activa,è qui che gli uomini appaiono e si relazionano l'uno all'altro,esercitano la libertà politica e costruiscono un mondo condiviso che li collega tra di loro.E questo reciproco relazionamento è un argine contro il totalitarismo.Al contrario tutta la vita di Eichmann è un esempio di impossibilità di esprimere il proprio essere.E’ la singolarità,l'individualità,la capacità di autorealizzarsi come individuo che si mostra come tale, che permette che vi sia uno "spazio pubblico".

Ora Eichmann è esattamente l’esempio di una vita che non ha mai raggiunto la singolarità perchè ha sempre e solo eseguito.Ed infatti la sua è una esistenza impostata nell’obbedienza agli ingranaggi burocratici di potere, qualsiasi essi siano. Dunque il suo non è un vero agire, ma una ripetizione degli ordini ricevuti.La sua non è neanche un esistenza,la sua è una non esistenza.

Le origini del totalitarismo" è l'opera più nota della Arendt.In questo libro monumentale la filosofa tedesca analizzò l’ascesa e la caduta dei regimi totalitari del XX secolo, in particolare il nazismo e lo stalinismo.La tesi principale del libro è che il totalitarismo è una forma di governo nuova e radicale, caratterizzata da un tipo di dominio mai visto prima nella storia.Nella sua concezione la Arendt sosteneva che il totalitarismo nasce dalla combinazione di elementi come l’antisemitismo, l’imperialismo e la politica di massa. La sua analisi ha avuto un profondo impatto sulla comprensione contemporanea del totalitarismo e ha generato un intenso dibattito accademico e politico.Lstato totalitario,per l'autrice,è una grande novità nella storia,resa possibile dai regimi folli e sanguinari di Hitler in Germania e Stalin in Unione Sovietica,che,nonostante avessero due ideologie del tutto diverse avevano anche diversi punti di contatto.

Ma perchè nazismo e stalininismo si erano così tanto diffusi? La Arendt ne attribuisce la ragione al fatto che i loro capi politici avevano messo in pratica un’attività di organizzazione e mobilitazione delle masse.Dopo la Prima Guerra Mondiale, infatti, si era diffuso un grande senso di solitudine e di profondo sconforto da parte delle masse,che invece furono organizzate dai regimi totalitari che le fecero sentire coinvolte e appartenenti a un qualcosa.

Un regime totalitario,nella concezione della Arendt,si caratterizza per alcuni elementi.Anzitutto: 1) il capo ha un ruolo fondamentale, perché la sua volontà è indiscussa e infallibile. Ciò comporta che il suo pensiero diventi il pensiero del suo partito e quindi tutti necessariamente devono rispettarne la volontà;c'è poi 2) la violenza:si sviluppa un vero e proprio terrore perché i cittadini devono sottostare alla volontà del capo e, quindi, anche del suo partito. Questa violenza si manifesta grazie alla polizia segreta,che tiene sotto controllo ogni momento della vita dei cittadini,sia pubblica che privata.Il totalitarismo individua così quello che l’autrice chiama "nemico oggettivo",che non è un avversario politico reale, ma una creazione ideologica del regime,definito non da azioni concrete ma da un'ideologia(razza,classe)che lo rende un "portatore di tendenze" nocive, un elemento da eliminare preventivamente per "purificare" lo Stato, anche senza accuse specifiche, portando allo sterminio di massa e alla creazione di categorie di "indesiderabilità.Nel caso degli ebrei, ad esempio, la caratteristica era il fatto stesso di essere ebreo.Ed infine: 3) l’annullamento dell’individualità:la personalità e la dignità individuale vengono schiacciate e annientate,con l'utilizzo dei campi di sterminio,sterminio fisico ma anche morale,con la privazione di ogni libertà.La stessa Arendt nel 1940,mentre era in Francia,fu rinchiusa nel campo di internamento di Gurs,nei Pirenei. La sua esperienza nel campo fu menzionata anche ne “Le origini del totalitarismo" e,di sicuro,questo fatto ha segnato e definito profondamente il suo pensiero.

Il pensiero della Arendt elaborato ne "La banalità del male" è collegato anche a quello che poi sarebbe rimasto famoso come "esperimento di Milgram cioè uno studio condotto nel 1961 dallo psicologo statunitense Stanley Milgram che,sebbene non direttamente legato al processo Eichmann,fu da esso ispirato.Nell'esperimento si  voleva indagare fino a che punto alcuni soggetti erano disposti ad obbedire a un’autorità,anche andando in conflitto con i propri valori etici e morali.Milgram vedeva l'esperimento come un tentativo di risposta alla domanda "È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?".I risultati furono scioccanti:risultò che una sorprendente percentuale di partecipanti era disposta a infliggere ciò che credevano fossero dolorose scariche elettriche ad un’altra persona,e solo perché un’autorità lo ordinava.Questo esperimento dimostrava ciò che Eichmann sostenne a più riprese:stava semplicemente mettendo in pratica ciò che gli dicevano di fare.

I risultati di questo esperimento ebbero una grande risonanza,specialmente se raffrontati col comportamento di Eichmann durante l’Olocausto.Il parallelo tra i due momenti mette in luce una preoccupante verità sulla natura umana:le persone possono commettere atti terribili,non per malvagità innata,ma per obbedienza cieca all’autorità.Fu questo che fece modificare alla Arendt la sua iniziale concezione  sul male innato nell'uomo.

Hannah Arendt seguì il processo a Eichmann a Gerusalemme per conto del New Yorker,con l'intento di analizzare il male, ma rimase colpita dalla insignificanza e dalla mediocrità del criminale nazista,dalla sua "assenza di pensiero",evidenziando come Eichmann non fosse un mostro,ma un burocrate zelante,incapace di capire la portata delle proprie azioni e le conseguenze,un "suddito ideale" del totalitarismo, un fenomeno che si manifesta nell'incapacità di distinguere vero e falso,mettendo in luce così,l'importanza del pensiero critico come antidoto. 

Hannah Arendt,infatti,con la sua tesi sulla "banalità del male",ha mostrato come il male possa nascere non solo da intenzioni malevoli, ma anche da un totale disinteresse per le conseguenze delle proprie azioni.La sua analisi del processo Eichmann e l’esperimento di Milgram, continuano a influenzare il nostro modo di pensare sulla responsabilità individuale,l’autorità e le azioni compiute in nome dell’obbedienza.


Ci furono molte polemiche sulla concezione della "banalità del male" della Arendt,a partire dallo stesso mondo ebraico,nel quale si riteneva che il fenomeno del nazismo era stato sottovalutato dall’autrice.In realtà ciò che Arendt cercava di sostenere era che i crimini compiuti dai nazisti non derivavano tanto dalla loro cattiveria d’animo quanto piuttosto dal fatto che fossero stati privati,nel tempo,della propria autonomia di pensiero.I nazisti sono delle banalissime persone, inserite in un meccanismo che li ha privati della propria individualità ma soprattutto della propria capacità di pensiero, spogliandoli del loro stesso essere uomini.Il messaggio finale dell’opera, infatti, è che il nazismo non è il male:il vero male sta nell’aver portato degli uomini banali a perdere talmente tanto la propria umanità da essere capaci di compiere delle atrocità mai viste prima.

In un'altra sua opera,“La via della mente“,la Arendt prosegue il suo percorso di indagine sulla capacità di pensare e di giudicare.Si tratta di un’indagine sulla natura del pensiero, su come questo incide sulla vita sociale e politica e può guidare l’agire umano.Tesi centrali dell’opera è la distinzione tra sapere e pensare:il sapere,legato alla scienza e alla tecnologia,tende a cercare risposte definitive, mentre il pensare è un’attività che non si risolve in una conclusione definitiva, ma è un processo continuo e critico. Il pensiero è l’attività che ci permette di riflettere sulle nostre azioni, di metterle in discussione, di cercare significati più profondi.E dunque per l'Arendt il pensiero è fondamentale:l’abilità di pensare in modo critico e di giudicare autonomamente è ciò che ci permette di resistere alle ideologie totalitarie e di agire responsabilmente nel mondo.“La via della mente" è, quindi, un testo fondamentale per comprendere il pensiero di Arendt e la sua visione della filosofia come strumento di resistenza contro la banalità del male e l’obbedienza cieca all’autorità.

01 dicembre 2025

CHARLES DICKENS,UN RACCONTO DI VITA




Il 1° dicembre 1870 moriva Charles Dickens,uno dei più straordinari scritttori di ogni tempo

Già da piccolo Charles si appassionò alla lettura, in particolare ai romanzi di Daniel Defoe e Henry FieldingNel 1823, la famiglia di Charles Dickens si spostò in un degradato quartiere periferico di Londra.L'anno seguente il padre di Dickens fu incarcerato a causa di debiti non pagati. A causa di ciò, all'età di soli 12 anni, Charles Dickens dovette impiegarsi in una fabbrica di lucido per scarpe. Questa fase della sua vita fu estremamente sofferta e le sue esperienze di vita influenzarono profondamente la sua opera letteraria.In particolare il pensiero di Dickens è caratterizzato da una feroce e impietosa critica sociale,che mette in luce i mali dell'era vittoriana,come la povertà,lo sfruttamento dei lavoratori,il lavoro minorile e le ingiustizie del sistema giudiziario(queste ultime vengono denunciate soprattutto nella sua opera "Casa desolata" (Bleak House), un romanzo in cui espone le lungaggini e le inefficienze della giustizia e le loro devastanti conseguenze sulle persone comuni.

E tuttavia Dickens non era un rivoluzionario, ma credeva nel miglioramento morale dell'individuo,nell'importanza dei valori come la famiglia e l'amicizia, e nella speranza di redenzione. La sua opera critica anche il razionalismo e l'utilitarismo a favore della compassione, della fantasia e di un'educazione che nutra il cuore e non solo la ragione.Egli non mirava a una rivoluzione politica, ma a un cambiamento interiore, credendo che la soluzione dei problemi sociali risiedesse nel miglioramento etico e morale delle persone.Dickens,cioè,era un sostenitore dei più deboli e credeva nell'importanza della carità, dell'empatia e del sentimento verso i più sfortunati.Ma nonostante la cruda rappresentazione delle ingiustizie,i suoi romanzi contengono un forte messaggio di speranza, dimostrando che la redenzione e il miglioramento sono possibili anche nelle condizioni più difficili.

Charles Dickens, dall'osservazione delle cupe periferie delle città industriali, della vita squallida dei poveri e delle pietose condizioni degli operai nelle fabbriche, arrivò a ritrarre realisticamente la società vittoriana e a sollecitare riforme sociali.Il tema più sorprendente nella narrativa dickensiana è la denuncia del problema dei rapporti tra le classi sociali,e il desiderio che tutti potessero ascendere nella scala sociale, con la consapevolezza dei problemi causati dallo sfruttamento del lavoro e dalla corruzione, dai mezzi capitalistici e utilitaristici o dall'inadeguatezza dei servizi sociali.Le questioni sociali si concentravano solitamente sul rapporto tra individuo e società e quindi il viaggio del personaggio principale dei romanzi di Dickens si svolge spesso tra questi due poli.In "David Copperfield" e "Oliver Twist", Dickens attacca proprio alcuni di questi mali sociali: le prigioni per debitori,le case di lavoro, l'istruzione repressiva,la pena capitale e il conformismo mascherato da religione e giustizia. In tutti questi romanzi c'è poi sempre una forte denuncia del lavoro minorile,essendo i bambini le vittime principali della Rivoluzione Industriale inglese,maltrattati,sfruttati in duri lavori(miniere,industria tessile),spesso lasciati morire di fame e picchiati a morte.

Altro tema importante è la sua critica al ruolo preminente del denaro nella società materialistica vittoriana."David Copperfield" trasse ispirazione dal lavoro di Dickens in un magazzino di fabbrica e dall'incarcerazione del padre per debiti.Charles Dickens, dall'osservazione delle cupe periferie delle città industriali, della vita squallida dei poveri e delle pietose condizioni degli operai nelle fabbriche,arrivò a ritrarre realisticamente la società vittoriana,sollecitando riforme sociali.

Negli stessi anni cominciò a pubblicare a puntate "The Pickwick Papers"("Il Circolo Pickwick"),un romanzo di carattere umoristico che racconta le avventure del Signor Pickwick e del suo servitore Sam Weller. Il romanzo non ebbe un successo immediato, ma successivamente le vendite aumentarono e finalmente raggiunse la fama sia in Inghilterra sia negli Stati Uniti.

Il romanzo divenne un genere popolarissimo durante l’epoca vittoriana, infatti, in questo periodo il numero dei lettori aumentò in modo considerevole anche perché un maggior numero di persone era in grado di leggere. I romanzi erano pubblicati a puntate in periodici settimanali o mensili, questa forma di pubblicazione era più economica e ciò rendeva i romanzi accessibili anche alle classi meno abbienti.Anche Charles Dickens pubblicò i suoi romanzi in forma seriale e per pubblicare il maggior numero di episodi possibile, sia a causa della pressione degli editori sia per il bisogno personale di denaro, scrisse senza sosta creando una gran quantità di personaggi e intrecci secondari all’interno dello stesso romanzo.Dickens pubblicò molti romanzi in forma seriale su famose riviste del tempo:tra questi Oliver Twist,David Copperfield,Little Dorrit (La Piccola Dorrit)i cui protagonisti divennero il simbolo dell’infanzia sfruttata, uno dei più gravi problemi sociali del tempo. Tra le altre sue opere più famose pubblicate sulle riviste del tempo ci sono:"La Bottega dell’Antiquario","Hard Times"(Tempi Difficili),"Bleak House"(Casa Desolata),"Great Expectations"(Grandi Speranze)"Our Mutual Friend"(Il Nostro Comune Amico) e il famoso "A Christmas Carol"(Racconti di Natale).

Nessun romanziere riuscì come Dickens a rappresentare il vasto panorama sociale dell’Inghilterra vittoriana. Ambientò la maggior parte dei suoi romanzi a Londra, città che conosceva  a fondo grazie al suo lavoro di giornalista che lo portava a fare indagini tra i quartieri londinesi più malfamati.Lo scrittore era consapevole della corruzione materiale e spirituale del tempo causata soprattutto dalla Rivoluzione Industriale e per questo sviluppò un atteggiamento critico nei confronti della società, denunciando le terribili condizioni in cui erano costretti a lavorare gli operai, il lavoro minorile, il crimine, la prostituzione e il sistema legale inglese verso cui non aveva alcuna simpatia, ma ebbe la capacità di affiancate descrizioni terribili della miseria e del crimine che imperversavano nella capitale inglese a episodi umoristici e comici

Dickens creò una galleria di personaggi, talvolta comici e grotteschi, appartenenti a diverse classi sociali (avvocati, commercianti,industriali,negozianti,insegnanti e operai) e descrisse i loro atteggiamenti, le loro ambizioni e vanità. Alcuni suoi personaggi sono tra i più memorabili nella storia della letteratura inglese, come l’orfano Oliver Twist o Ebenezer Scrooge, il protagonista di A Christmas Carol, il cui cognome “Scrooge” è diventato parte della lingua inglese per indicare una persona avara.

Oliver Twist è il secondo romanzo di Dickens, probabilmente il più popolare e fu pubblicato a puntate mensili tra il 1837 e il 1839 su una rivista chiamata Bentley’s Miscellany.Oliver Twist è un romanzo di forte condanna sociale verso la diffusione del crimine, il maltrattamento e lo sfruttamento dei bambini, l’immoralità delle istituzioni, in particolare gli ospizi di mendicità creati dalla Legge sui Poveri del 1834. Nell’Inghilterra vittoriana le classi aristocratiche non avevano bisogno di lavorare per vivere ed anzi per l'ipocrita moralismo borghese il duro lavoro era sinonimo di virtù morale,mentre la povertà era considerata come un peccato.Per la mentalità del tempo, infatti,la disoccupazione derivava dalla pigrizia,idea sostenuta anche da Thomas Malthus nel suo saggio Essay on Population, in cui affermava che la carità era inutile perché incoraggiava la pigrizia. Gli ospizi per poveri, che erano supportati dai fondi pubblici e dalle parrocchie, ospitavano gente senza lavoro e bambini orfani e abbandonati, le condizioni di vita in queste istituzioni erano terribili proprio per scoraggiare i poveri a entrarci.I mariti e le mogli erano separati tra loro e anche dai loro figli che erano costretti a lavorare duramente ed erano malnutriti. Oliver Twist, attraverso la cui storia Dickens descrive la crudeltà e l’ipocrisia dell’Inghilterra vittoriana, è un bambino buono che fugge dall’ospizio, ma dopo molte disavventure, scoprirà la sua vera identità e troverà la felicità.

Charles Dickens ha sempre goduto di una tale popolarità a livello mondiale che molti suoi romanzi sono diventati anche dei successi sia al cinema sia in TV. Le sue storie sono perfette per il piccolo e grande schermo grazie alla trattazione di temi di denuncia sociale rilevanti ancora oggi e alle descrizioni dettagliate dei suoi personaggi che dopo aver sofferto tante ingiustizie,riescono a riscattarsi e a realizzare i loro sogni.Sono almeno trecento le trasposizioni cinematografiche e televisive basate sui romanzi di Charles Dickens;tra le più famose ricordiamo: Oliver Twist,per la regia di Roman Polanski;"A Christmas Carol",prodotto dalla Disney Pictures per la regia di Robert Zemeckis del 2009 e il "Circolo Pickwick",una intelligente e originale miniserie televisiva prodotta dalla Rai in sei puntate,diretta da Ugo Gregoretti trasmessa nel febbraio 1968

Può passare il tempo ma leggere Dickens non stanca mai.Anzi.La vincitrice del Premio Nobel per la letteratura del 1996,la poetessa polacca Wislawa Szymborska addirittura sostiene che:«Preferisco Dickens a Dostoevskij».Ma come,verrebbe da chiedersi,il disgustoso ladruncolo Fagin contro Stavrogin,Pickwick vs Myskin?E perchè "Canto di Natale","David Copperfield" e "Oliver Twist" continuano a mantenere un’adattabilità immortale,come se non più dei Fratelli Karamazov?

Forse la risposta ce la dà il grande scrittore americano Philip Roth:«La gente-dice Roth-non legge pensando all’arte:legge pensando alle persone».E' qui il punto: Charles Dickens è uno straordinario inventore di storie al cui centro ci sono personaggi che diventano persone.È questo il segreto della grande letteratura.Dalle storie delle imprese di uomini,dal racconto di amori sofferti,sino alla denuncia del sopruso e del pregiudizio, la narrazione trasforma un’emozione individuale in sentimento che riguarda tutti gli esseri umani e l’essenza stessa dell’umanità. Palpitiamo per le vicende di David Copperfield e ci indigniamo per i soprusi che Oliver Twist subisce proprio come se fossimo noi stessi a subirli.Ed è come leggere il primo esempio di “romanzo sociale”, l’inedita rappresentazione anti-romantica della vita reale dei poveri, dei diseredati e dei delinquenti che popolavano la Londra della rivoluzione industriale,in cui lo sfruttamento del lavoro infantile e la prostituzione minorile erano condizione scontata e largamente condivisa.

Facile oggi affermare che Dickens è il “padre” della potente opera di denuncia sociale compiuta successivamente da Zola nei suoi romanzi.Altrettanto facile accostarlo a Steinbeck,che scrisse degli sfruttati americani del Novecento.Ma Dickens è altro,molto altro e infinitamente di più:è quello che si definisce un classico.Cioè quel genere di cosa (letteratura,pittura,architettura,scultura,musica)capace di annullare le barriere di spazio e tempo,inchiodandoci alla pagina e facendo diventare noi stessi protagonisti della storia che stiamo leggendo.