Passano gli anni e da allora 45 ne son passati ,quasi mezzo secolo.E durante questi anni tant'altre cose, sono accadute in Italia e nel mondo.Ci sono stati gli anni di piombo e il terrorismo e l'omicidio di Aldo Moro;l'inchiesta di Mani Pulite con lo stravolgimento dello scenario politico nazionale;e gli omicidi di mafia dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.E tanti anche gli eventi geopolitici,le guerre,i disastri naturali e sanitari che hanno sconvolto il mondo ambiandolo profondamente.La Caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica.Le Guerre jugoslave con le immani atrocità, genocidi e pulizia etnica sistematica.L'attentato Alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001.L'Epidemia di AIDS,e la Pandemia di COVID-19 con quest'ultima che ha causato milioni di morti, interruzioni economiche e sociali e il più grande lockdown della storia.
Sì,il tempo passa.Eppure per chi "quel" giorno c'era,"quel" giorno rimane fermo e ben chiaro nella memoria.Quel giorno e anche quell'ora.Il giorno era il 23 novembre dell'anno 1980.E gli orologi segnavano le ore 19,34.In quel giorno e a quell'ora ci fu il terremoto dell'Irpiniae della Basilicata.Novanta interminabili secondi durò quello scuotersi della terra,quel cupo boato nella sera;90 secondi in cui il sisma violentò piazze, strade, case; abbatté campanili, chiese, ospedali; sterminò intere famiglie, scovandone i componenti a uno a uno nei posti diversi in cui quella sera si trovavano: a casa di amici o parenti, nel bar della piazza, in chiesa per la messa vespertina, in auto sulla via del ritorno verso casa. Ma furono solo le luci dell’alba del giorno dopo che restituirono le immagini dell'immane tragedia,illuminando solo macerie, polvere e lamenti di gente ancora viva sotto i muri e le case crollate.Quella notte segnò una frattura temporale che divise mille biografie, mille storie, mille luoghi tra tutto ciò che era «prima del terremoto» e tutto ciò che sarebbe stato «dopo il terremoto» nella memoria individuale e in quella collettiva.
Del sisma del 23 novembre 1980 molto si è detto, scritto, visto nelle immagini restituite dai media dopo l’evento. L’informazione e la cronaca si sono concentrate, per lo più, su due fasi principali: i primi mesi dopo il sisma e il lungo periodo che segue la primavera del 1981,segnato dall’emanazione della famosa(famigerata?)legge 219 del 1981 che finanziava la ricostruzione. Il senso di un immane disastro, da un lato, il prezioso impegno di volontari e soccorritori, dall’altro, connotano l’immagine della prima fase; l’incertezza decisionale, il controllo politico del territorio, le logiche clientelari e l'affarismo cinico e spregiudicato della camorra sulle risorse finanziarie erogate per finanziarie la ricostruzione.
E’ un incubo che ancora non ci lascia.Che non può lasciarci.Oggi di anni da quel 23 novembre ne son trascorsi 45 ed anche quest'anno il ricordo di quel dolore si rinnova sempre profondo.Quest'anno,poi,l'anniverarsario cade proprio di domenica,com'era domenica quel 23 novembre 1980.E' un lungo cadenzato,inevitabile rituale.Perchè le cose,i ricordi,le ferite,il dolore di quella giornata son rimasti e si rinnovano e si acuiscono in particolare in questa giornata,anche se sono le stesse cose raccontate nel primo decennale e poi nel ventennale e poi ancora nel trentennale.Sono,a usare il titolo del libro di Fëdor Dostoevskij,come "memorie dal sottosuolo",quelle che,anno dopo anno, risalgono alla mente.Quel sottosuolo,però,ora non è più metafora esistenziale,come nel capolavoro dello scrittore russo,ma è autentico squarcio di terra e di anime.
Foto,immagini,ricordi che inevitabilmente si riproporranno tra 5 anni,per il cinquantesimo anniversario:appuntamento al 23 novembre 2030.Ma al di là della rilevanza di una data tonda e simbolica,quel giorno non è un semplice ricordo da lasciare nell’album del tempo.È uno squarcio nella memoria che,latente,fa visita a quanti hanno vissuto quel maledetto giorno,la rabbia raccontata dai sopravvissuti,di quanti attendevano inutilmente soccorsi e ricostruzione,conforto e occupazione.
E’ il riaffiorare di quel momento del quale i terremotati(termine dispregiativo con cui gli abitanti dell'Irpinia,del Sannio e della Basilicata ancora oggi vengono appellati su "certi" campi di calcio,una specie di equivalente di "meridionali")ricordano esattamente dove e con chi erano, che cosa stavano facendo o pensando, mentre la terra tremava così forte, alle ore 19 e 34 minuti del 23 novembre 1980.In quei 90 interminabili secondi una scossa ondulatoria e sussultoria vide l’Irpinia quale epicentro,in particolare nei comuni di Teora, Sant’Angelo dei Lombardi e Conza della Campania.I sismografi indicarono la forza del terremoto in una magnitudo di 6.9 nella scala Richter, pari al decimo grado della scala Mercalli che, nella valutazione dell’intensità sismica, che corrisponde a “distruzione completa”.
Era stata stranamente calda quella domenica di novembre su cui il crepuscolo ora stava scendendo in fretta.C'erano le ragazze che si preparavano per andare a cinema o a ballare coi loro ragazzi,e le vecchiette che tornavano dalla messa vespertina e che stavano preparando la cena,aspettando in paese i loro uomini di ritorno dallo stadio dove l’Avellino aveva battuto l’Ascoli per 4-2.Altri erano nei bar, dove la televisione trasmetteva la sintesi di Juventus-Inter.Si conosceva già il risultato della partita giocata nel pomeriggio,2-1 per la Juventus,perchè allora in tv veniva trasmesso un solo tempo di una sola partita di serie A e,dopo aver visto le reti di Brady e Scirea,si aspettava di vedere il gol dell’Inter,e poi via a casa.
Ma di andare a casa non ci fu più tempo perchè, ecco che la corrente elettrica mancò d'improvviso i paesi rimasero al buio, travolti dapprima da una furia di vento accompagnata da un boato fragoroso, poi da un movimento che provocava capogiro e non lasciava comprendere cosa stesse accadendo.Eppure mentalmente ognuno di noi si ripeteva: “Ora finisce, ora finisce”, ma non finiva mai. Anzi.Era come essere in sella a un cavallo da rodeo mentre attorno crollavano le pareti e si laceravano i muri e attraverso i muri ora squarciati una luna più grande del solito.Un fumo, che in realtà era polvere, si levò mentre il boato si allontanava e le grida si alzavano: “Il terremoto, il terremoto”.
Gente che piangeva,gente che pregava,gente che ripeteva a gran voce nomi di familiari o invocando quelli dei Santi, rassegnandosi infine a un evento che avrebbe cambiato la vita di intere popolazioni e singole vite e stravolto per sempre terre e paesi.
Il cielo divenne rosso, quella notte di 45 anni fa, una ventata di caldo africano e poi l’aria immobile, perché tutto era già accaduto.Con le linee telefoniche saltate e senza energia elettrica,fu difficile comunicare al mondo intero, nell’immediato,una tragedia che fu inizialmente sintetizzata come un fatto di cronaca di cui poco si sapeva.
A pensarci ancora adesso viene l'amaro in bocca.Dai centri delle sedi Rai provenivano le prime informazioni che raccontavano di un palazzo disabitato caduto a Napoli e dei danni causati ad alcune case di Potenza,con la rituale e rassicurante frase:“Non si registrano vittime”.Sì,proprio così dicevano i primi TG della sera:“Non si registrano vittime".Ed invece,alla fine,sarebbero state quasi 3.000.
Si cercava di capire cosa fosse successo ma le radio private locali non funzionavano.Le dirette dai luoghi del terremoto sarebbero iniziate nei giorni successivi.I primi morti erano stati scavati da poche ore quando le rotative dei giornali cominciarono a sfornare le copie dei quotidiani.
All’alba del giorno successivo al sisma, tra i cumuli polverosi di macerie, si scavava a mani nude per cercar di salvare chi,con un voce sempre più flebile,da sotto le macerie lanciava grida disperate,sorpresi per ogni brandello di stoffa ritrovato, guidati dall’illusione di avere sentito un gemito sepolto dai crolli, spinti dal coraggio della disperazione.
Dai racconti che poi anni dopo ne fecero giornali nazionali e locali,si possono comprendere le lentezze dei soccorsi,i ritardi indescrivibili e gravissimi di quelle lunghe colonne mobili di camion che portavano medicine,ospedali da campo,tende e generi di prima necessità che raggiunsero le zone terremotate dopo giorni,nonostante la generosità dei tanti volontari accorsi da tutta Italia.Da quei racconti vengono fuori denunce precise,ancora attuali a 45 anni di distanza,che lasciano spazio a riflessioni angoscianti.Avellino e i paesi arroccati sulle montagne dell’alta Irpinia erano le zone più colpite.Nelle stesse redazioni dei giornali si comprese che non c’era un modo diverso per sapere e poi raccontare: andare.Così ai cronisti che arrivarono numerosi, la realtà si mostrò peggiore di un incubo, con paesi praticamente rasi al suolo.
Le invocazioni di aiuto e soccorso, da parte della popolazione, furono sintetizzate con un titolo a tutta pagina che era il grido di dolore della gente impaurita e infreddolita, senza un tetto nè una speranza.«Fate presto», urlò “Il Mattino” a caratteri cubitali, tre giorni dopo la scossa che aveva cancellato dalla carta geografica paesi, seminato distruzione e morte, innalzato urla di rabbia e dolore.
Quelle parole de "Il Mattino" non furono una supplica, ma un monito, ancora oggi attualissimo.Un grido che risuonò a lungo nella coscienza di un popolo smarrito e di quanti avrebbero dovuto alleviarne le sofferenze.
Poi finalmente cominciarono ad arrivare i soccorsi e furono allestiti i campi di accoglienza.Chi ne aveva la forza, restava accanto alle case distrutte, a fare la guardia alla «roba» rimasta sotto le pietre per salvarla dagli sciacalli arrivati in fretta.Altri aiutavano i soccorritori a scavare i morti dalle macerie, fissando poi con lo sguardo nel vuoto i cadaveri di gente da tanto tempo conosciuta,raccolti nei cimiteri, vivendo angoscia e sgomento in attesa della sepoltura.
Con il trascorrere dei giorni si sarebbe avuta una dimensione reale della tragedia provocata da quei 90 secondi di terremoto distruttivo.Il bilancio definitivo contò 2.914 morti, 8.848 feriti e quasi 300.000 sfollati.
Nello stadio Partenio di Avellino atterravano gli elicotteri per i soccorsi; arrivò anche quello del Capo dello Stato, Sandro Pertini.
E con il dolore montava la rabbia contro le istituzioni: «Ci hanno lasciati soli», urlarono i terremotati a Pertini che registrò il ritardo inaccettabile dei soccorsi, la lentezza della macchina governativa, la confusione nei centri di coordinamento.Il Presidente ne fu scosso, andò in televisione e condivise le proteste dei terremotati scatenando un nuovo terremoto,quello politico.La sua celebre denuncia in televisione fu un atto di accusa contro i ritardi e le "mancanze gravi" dello Stato: "Qui non c'entra la politica, qui c'entra la solidarietà umana... Credetemi, il modo migliore per ricordare i morti è quello di pensare ai vivi." Parole che rimarranno incise per sempre nella coscienza nazionale, catalizzando in quel momento la mobilitazione di tutta l'Italia.E quelle parole incisero profondamente nella coscienza nazionale tanto.da far dimettere il Ministro dell’Interno Virginio Rognoni.Dopo il caos iniziale, la nomina del Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti,reduce dall’esperienza dell'altro recente terremoto in Friuli che avviò una fase di coordinamento più efficace, ponendo le basi per quello che diverrà il moderno sistema di Protezione Civile.
Oltre a migliaia di volontari, nelle terre della disgrazia cominciarono ad affluire soldi,tanti soldi, attraverso una generosa solidarietà.Fu così che sulla tragedia del terremoto si innestarono gli appetiti della camorra e di imprenditori spregiudicati.A seguito di queste infiltrazioni cammoristiche si aprirono numerose vicende giudiziarie che condizionarono inevitabilmente la ricostruzione.Le inchieste giornalistiche ne raccontarono i tempi e portarono alla luce le malefatte che avrebbero costretto la popolazione ad attendere decenni per avere un prefabbricato, dopo avere vissuto nei tendoni, nelle palestre o nelle chiese.Gente che avrebbe dovuto ottenere presto una casa realizzata coi soldi pubblici, con quella famosa legge 219 che fece arricchire progettisti, costruttori e politici corrotti.
Oggi, l'Irpinia è un luogo che porta sul corpo e nell'anima i segni di quella notte. I borghi ricostruiti, talvolta spostati, talvolta riedificati sulle antiche rovine, testimoniano una ferita indelebile. Il terremoto del 1980 non è solo una data, ma un monito potente sull'importanza della prevenzione, della rapidità dei soccorsi e di una ricostruzione che sia davvero al servizio delle persone e non del profitto. Nel ricordo dei quasi 3.000 morti.Perchè una cosa,chiara,nitida nella sua tragicità,è venuta fuori quella sera del 23 novembre 1980.La rappresentazione non solo di un Sud ma di tutto un Paese in cui primeggiano gli elementi negativi:impotenza,sconfitta, disorganizzazione,incapacità,corruzione,campanilismi e scarsa coscienza civica.
3 commenti:
Ho visto le immagini della chiesa Madre di Balvano in provincia di Potenza….
Non è ancora stata trovata la cura per questo cancro politico sociale che macina vittime da sempre. Pertini auspicava la condanna dei colpevoli. Ma come credo e vedo ancora oggi sono talmente tanti e ramificati che non faccio più distinzione tra delinquenti e politici perché sono la stessa cosa. La punizione causerebbe una catena di altre punizioni che toccherebbero livelli da far crollare il sistema. E il sistema ha terrore di questo. Quindi non vedo purtroppo soluzione. Il popolo ha perso la sua forza, lo hanno reso debole e dipendente da bisogni farlocchi. La tua voce giusta e coraggiosa dovrebbe moltiplicarsi per milioni di voci e farsi forza per cambiare le cose.
Grazie Clem per il tuo commento al mio post. Hai avuto sensibilità. Amo leggere Nietzsche e su Nietzsche. Mi affascina la sua persona e mi chiedo come mai menti simili non si affacciano più su questo mondo.
Buon dicembre anche a te
Ciao
PS
Bellissimo il tuo post sul tema della morte. Mi è piaciuto moltissimo, c’era tutto ciò che mi piace e mi interessa…
si Julia, la malavita e la delinquenza organizzata è sempre più introdotta nella politica e la cosa pubblica è divenuta "cosa nostra" anche a livello periferico (comuni, regioni) perché troppi e troppo grandi sono gli interessi economici in gioco, basti pensare agli appalti nella sanità o alla gestione dei rifiuti...ma non voglio fare il moralista ad ogni costo perché è anche vero che qui nel Meridione d'Italia soprattutto,ma non solo, continua a sopravvivere quel "familismo amorale" di cui parlava il sociologo americano Bansfield, in base al quale i singoli, i gruppi organizzati ed intere comunità pensano innanzitutto al proprio interesse, favorendo così clientelismi e corruzione, morale e materiale
ciao Julia e buon dicembre
Clem
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