30 ottobre 2021

EINAUDI OGGI


60 anni fa,il 30 ottobre 1961,moriva Luigi Einaudi.Era nato nel 1874,cioè nel secolo XIX.Eppure il suo pensiero,la sua opera,i suoi progetti rimangono tuttora validi.Luigi Einaudi fu molte cose:finissimo intellettuale,economista di fama mondiale,cattolico,liberale,Governatore della Banca d'Italia,componente dell'Assemblea Costituente,senatore del PLI.Fu anche  opinionista del "Corriere della Sera" e "The Economist".E poi,proprio lui,che nel referendum del 1946 aveva votato per la monarchia,diventò Presidente della Repubblica.Tanta parte della sua vita fu dedicata alla produzione di scritti,politici ed economici.Ma il meglio di sé lo diede con le sue virtù civili,oggi così rare.Al di là delle ideologie,egli fu incarnazione delle virtù pubbliche italiane,con un'etica rigorosa e quasi religiosa di servizio dello Stato,tipica di chi sa mettere al primo posto non la propria carriera personale,ma gli interessi generali,la solidità e il prestigio delle Istituzioni che rappresenta.In questo egli fu un grandissimo,un vero padre della Patria.Per avvertire ancora oggi la vitalità del pensiero di Einaudi basterebbe fare solo questo:immaginare che cosa potrebbe dire e scrivere oggi,in una situazione che pare rimettere in discussione molte delle sue convinzioni e dei suoi insegnamenti.Se lo si fa con la sua onestà e limpidezza intellettuale,si comprende bene quanto sia utile leggere le sue "Prediche inutili",tanto più oggi quando sembra prevalere proprio quel mondo politico,morale e intellettuale così lontano dalle sue idee.Attraverso Einaudi possiamo capire cosa sono e come affrontare i problemi che oggi minacciano le condizioni della libertà,le prospettive del mondo aperto,l’idea stessa della democrazia,il destino della politica,le sorti dell’Europa,la lotta ai sovranismi da lui tanto odiati.Ancor più,poi, in presenza delle problematiche connesse alla crisi pandemica.
Democratici illiberali,no vax,antipatizzanti del mercato,neo-statalisti di ritorno,nazional-populisti,euro-scettici,giornalisti conformisti e conduttori tv cinici cadrebbero sotto i suoi strali e le sue critiche espresse sempre con precisione di argomentazioni.Ai facinorosi di ogni risma che gridano nelle piazze e sguaiano nei talk televisivi,Einaudi certamente riproporrebbe la sua visione della libertà come "fatto morale".E farebbe giustizia della deformazione di certa stampa,poi amplificata nelle piazze,di chi identifica la libertà col sopruso e chi non riconosce i limiti alla propria libertà nel rispetto di quella altrui.
Agli oppositori del mercato,Einaudi spiegherebbe che la visione della libertà non può essere svincolata dai vincoli morali:per lui, la libertà – in politica e in economia – non può mai trasformarsi in lotta di tutti contro tutti,perchè è solo così che si costruisce un'etica e una moralità,individuale e pubblica.Quella moralità che si realizza nel poter perseguire il proprio disegno di vita,la propra capacità creativa senza essere ostacolato dalle pastoie e dalle protezioni dello Stato-Moloch e degli interessi organizzati,restando ancorato a una visione morale basata su virtù quali l’intelligenza,l’operosità,il rispetto per le idee e i beni degli altri,il rifiuto dell’odio sociale.In questo senso certamente a Einaudi non piacerebbero molte quelle deviazioni del capitalismo moderno e neanche quell'assistenzialismo statale nel voler difendere,più che gli spiriti basati sul coraggio,l’innovazione e il rispetto reciproco,quelle posizioni acquisite,i  privilegi oligopolistici e le fruttuose collusioni con la politica.
C'è oggi in Italia un numero incredibile di crisi aziendali,con conseguenti gravi pericoli occupazionali,aggravati dall'arrivo del Covid.Queste crisi sono in gran parte la conseguenza di avventati modelli di sviluppo industriale e di svendite "politiche" a privati di Aziende (si pensi all'ENI e all'IRI)e di un'economia assistita dalla mano pubblica.Eppure ancora oggi si continua ad invocare,per ciascuna di queste crisi(da Monte Paschi di Siena,all'Ilva,all'Alitalia,ad Autostrade)l'intervento "salvifico" dello Stato.A costoro Einaudi spiegherebbe che il modello liberale riserva allo Stato un posto importante."Lo Stato non deve stare con le mani in mano",egli scriveva,ma non deve governare direttamente l’economia,fonte fatale di "corruzione politica e amministrativa per ottenere favori dallo stato che si interessa di tutto".Lo Stato,invece,deve garantire quei presupposti di libertà,competizione e iniziativa che nella sua visione rappresentavano le condizioni irrinunciabili per spingere verso l’alto l’ascensore sociale e realizzare una società più equa.
C'è poi la crisi dell'istituto proprio di ogni liberaldemocrazia,cioè lademocrazia rappresentativa.A quei tanti,a quei troppi che per delusione o scoraggiamento,disertano in numero sempre crescente le urne e più in generale la politica,Einaudi probabilmente ricorderebbe che in una democrazia liberale sono insostituibili  la garanzia di una società plurale,il dibattito e il confronto,nonché le procedure per garantirli e per condurli a decisioni d’intesse comune.Le scorciatoie violente e intolleranti,il rifiuto delle competenze(perchè Einaudi ben sapeva che uno non vale uno),il dileggio delle istituzioni possono solo sfociare nel successo dei demagoghi.E di questi già troppi ne abbiamo visti sul teatrino della politica italiana.
Infine già ai suoi tempi Einaudi volse la sua azione a contrastare ogni tipo di populismo e nazionalismo,che tanto piede hanno preso ai giorni nostri.Egli,infatti,nella Costituente,affermava che:"il nemico numero uno della civiltà,della prosperità(..…)è il mito della sovranità assoluta degli Stati".E certo ancora oggi ribadirebbe che:"gli Stati esistenti in Europa sono polvere senza sostanza.Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma.Solo l’unione può farli durare.Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione.È fra l’esistere uniti e lo scomparire".Ecco,c'è da rimaner semplicemente esterefatti dinanzi alla lungimiranza e perciò all'attualità del pensiero einaudiano,che egli espresse,oltre che nelle sue "Prediche inutili" e nel suo "Scrittoio del Presidente" anche nel sostegno ad attività editoriali come quella visionaria ed eroica di Piero Gobetti.Ecco perchè,oltre che attuale, davvero Einaudi è un patrimonio di tutti.

14 ottobre 2021

RIFARE L'ITALIA E L'EUROPA




L’assalto alla sede romana della Cgil da parte di alcuni manifestanti No Green Pass,aizzati da forze di estrema destra tra cui Forza Nuova,movimento neofascista guidato dai leader nazionale Roberto Fiore e romano Giuliano Castellino ,riportano le lancette della Storia italiana indietro di un secolo,agli inizi dell’epoca fascista.Son giusto 100 anni,infatti,da quel cosiddetto biennio nero(1921-22)segnato dagli attacchi ripetuti delle squadracce fasciste di Mussolini al movimento operaio e alle istituzioni dello Stato liberale.Assalti,saccheggi,devastazioni si susseguirono con cadenza quasi giornaliera,culminando il 28 ottobre del 1922 con la marcia su Roma e la conseguente presa di potere da parte di Mussolini,senza che lo Stato e l'imbelle monarchia si opponessero.Il fascismo infatti appariva alla classe dirigente italiana come l’unica forza in grado di tener testa al movimento operaio e di riportare l’ordine nel Paese agitato da grandi scioperi e dall’occupazione delle fabbriche del 1920-21.Alle devastazioni delle Camere del lavoro,dei partiti,dei giornali e delle sedi istituzionali,seguirono subito dopo gli omicidi politici,come quello del deputato socialista Giacomo Matteotti e le morti dei liberali Giovanni Amendola e Piero Gobetti,








vittime dei pestaggi delle bande armate fasciste.
Così,quando sabato 9 ottobre 2021,si son viste in tv le immagini dell'assalto e della devastazione della sede della CGIL e gli scontri dei manifestanti contro la polizia davanti al Parlamento e Palazzo Chigi,è stato come rivedere dei "frame" di filmati dell'epoca del primo ventennio fascista.Quei facinorosi che sfondavano porte e finestre per assaltare la sede nazionale della Cgil,che penetravano all'interno,che sfasciavano tutto quel che trovavano,che distruggevano computer e strumenti di lavoro,non hanno fatto altro che replicare lo squadrismo che violentò l'Italia cent'anni fa,aprendo la via al regime fascista.Incursioni,devastazioni,distruzioni,abusi e soprusi furono la cifra caratterizzante del fascismo.Certamente oggi nessuno pensa che si possa replicare quell'avventura che trascinò il Paese nella tragedia.Tutto è diverso:più forti le istituzioni repubblicane,più salda la consapevolezza e la coscienza democratica,e c'è poi oggi l'inserimento del nostro Paese nel contesto di un'Europa che,pure con i suoi mille difetti,ci sta garantendo e proteggendo economicamente in questo tempo pandemico.E tuttavia fa impressione vedere una minoranza di gente trasformarsi in forza violenta nelle mani dei capi fascisti di Forza Nuova,che usano il No Green Pass per suscitare una disobbedienza organizzata,per trasformare la protesta in rivolta anti Stato.Attorno gente esasperata ma strumentalizzata,magari anche gente "normalmente" tranquilla,che manifesta in buona fede,ma che protesta confusamente un pò contro tutto:No Vax,No Mask,No Green Pass,No tamponi.Ci sono poi i politici della destra sovranista e populista che soffiano sul fuoco,alimentando il malcontento,sobillando,anche solo con le parole,la rabbia delle piazze.
In questi episodi si saldano egoismo,rabbia,invidia sociale per disuguaglianze accentuate dalla pandemia,divenute insopportabili,e un ceto medio impoverito,escluso e deluso.Viene alla luce una realtà finora nascosta dal buio della pandemia:ci sono movimenti violenti come Forza Nuova,che vuole fare prove tecniche di sovversione del sistema e che trova  nel virus una straordinaria occasione politica.La lotta alla pandemia,infatti,mette sotto stress la tenuta del sistema,per via delle restrizioni alla libertà e della riduzione di ogni autonomia individuale.La regola democratica soggiogata allo "stato d'eccezione" di Carl Schmitt.C'è poi la demagogia e l'irresponsabilità della destra populista,alla quale non sembra vero sfruttare senza scrupoli questo stato di cose per aizzare le piazze,contestando qualsiasi decisione l'esecutivo adotti per proteggere la salute della comunità nazionale l'economia e il lavoro.
C'è dunque uno sfruttamento politico del virus,della sua pressione emotiva sui cittadini,che si sentono esposti ad un governo,ritenuto incapace di tutelare la gente.Da qui una diffidenza per la scienza,un rigetto per le élite,una sfiducia per la politica,fino alla sconfessione della competenza,così come già segnalava lo studioso e scrittore americano  Tom Nichols nel suo saggio:"La conoscenza e i suoi nemici".
La carica antipolitica e antistatuale di questi movimenti,spinge questo indistinto ceto sociale ad attaccare il Palazzo politico,ma anche il sindacato.Perchè il sindacato viene visto come incapace di dar voce, difronte al Governo,a questo malessere sociale;anzi esso viene ritenuto complice con le politiche governative.Così,mentre i dati Istat ci dicono che dilagano povertà e disoccupazione,i movimenti fascisti,sfruttando anche la violenza verbale della destra sovranista e populista di Salvini e Meloni,cercano uno spazio nel malcontento sociale.La questione del green pass viene presa a pretesto per dare sfogo a un malcontento che ha radici ben più profonde,come,per esempio,lo sfacelo dello Stato sociale squassato dalla pandemia.Ed è inutile chiedere a questa destra di condannare le violenze e di rinnegare le sue amicizie e affinità con le destre totalitarie e illiberali europee di Orban in Ungheria e Morawiecki in Polonia,Paesi nei quali sono soppresse democrazia e libertà.Del resto Salvini e Meloni già rifiutarono di sottoscrivere un documento di condanna del Parlamento europeo  per l'assalto al Congresso Americano(Capitol Hill) da parte dei sovranisti trumpiani americani.
Salvini e Meloni,in questi anni,hanno fatto dell'odio contro gli immigrati e i diversi,della violenza verbale,della demagogia,della faziosità e della falsa informazione deviante il loro tratto identificativo.E questo tratto non vogliono cambiarlo,perchè è da lì che nascono che le loro fortune politico-elettorali.
Così,mentre continua la lotta contro il covid,ci si rende perciò conto della necessità di battere sovranismi e i populismi e con essi le violenze da essi strumentalmente istigate.C'è un solo modo per sconfiggere il sovranismo e liberare questo Paese da ogni violenza,razzismo e assicurare una crescita culturale,civile:spezzare le reti corporative che imprigionano la società italiana,la giungla degli interessi e delle rendite parassitarie.Fare le riforme,il cui elenco è sempre più lungo e cogente,ma la cui attuazione diventa sempre più urgente anche alla luce dei vincoli imposti dall'Europa con il PNRR.Le sta tentando Mario Draghi.Ma si tratta di un tentativo al quale l’attuale maggioranza anti-sovranista si limita a dare un appoggio alternato a riserve mentali e furbizie demagogiche.Perciò è necessario fare un un nuovo e deciso "appello ai liberi e forti" di sturziana memoria,per la costituzione di un polo liberale,cattolico e socialista,un polo come quello che si costituì all'indomani della fine della guerra,e che diede vita alla rinascita del Paese ed elaborò l'idea e il sogno di una grande Europa dei popoli,unita e solidale.Utilizzare,cioè,la tragedia della pandemia per costruire una nuova Italia e una nuova Europa. 

 

12 ottobre 2021

GLI OCCHI NEL DOLORE DEL MONDO




Come sta accadendo oramai da un pò di tempo,anche quest'anno l'Accademia di Svezia ha assegnato,a sorpresa,il Premio Nobel per la letteratura al di fuori di quella cerchia di scrittori di grande popolarità,che sembravano essere i grandi favoriti.Tra queste forse la sorpresa più grande fu quella del 2016,quando il Premio Nobel per la letteratura fu assegnato al cantante americano Bob Dylan.Anche quest'anno i bookmakers avevan dato grosse probabilità di vittoria allo scrittore giapponese Haruki Murakami(tra le sue opere più famose  1Q84 e Kafka sulla spiaggia )oppure la scrittrice canadese Margaret Atwood(L'assassino cieco)e la scrittrice francese Annie Ernaux,già vincitrice del Premio Strega europeo nel 2016 per il romanzo "Gli anni",nonchè Premio Marguerite Yourcenar 2017 alla carriera e del  Premio Hemingway per la letteratura 2018.C'era,poi,chi addirittura non escludeva l'assegnazione del Nobel  al "politicamente scorretto" Michel Houellebecq,noto  soprattutto,per la narrativa con Sottomissione e per la poesia "La ricerca della felicità" e "La vita è rara".Ed invece il Premio Nobel 2021 per la letteratura è stato assegnato allo scrittore tanziano Abdulrazak Gurnah,con questa motivazione:"Per il suo approfondimento appassionato e senza compromessi sugli effetti del colonialismo e sul destino dei rifugiati al confine fra le culture e i continenti(.....)e per "la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato tra culture e continenti".Gurnah è il 5° scrittore africano che vince il Premio Nobel per la letteratura,dopo il nigeriano Wole Soyinka nel 1986,l'egiziano Naguib Mahfouz nel 1988,la scrittrice sudafricana Nadine Gordimer nel 1991 e l'altro sudafricano John Maxwell Coetzee nel 2003.

Nato nel 1948 a Zanzibar,Gurnah è arrivato nel 1968 nel Regno Unito con lo status di rifugiato.La sua riflessione è stata sempre rivolta ai temi del postcolonialismo africano,caraibico e indiano.Forse il suo romanzo più importante è "Paradise" (del 1994),storia delle violenze subite da un giovane ragazzo tanzaniano,Yusuf,che agli inizi del '900 è venduto a un mercante arabo e,al seguito della sua carovana,esplora i contrasti vivissimi di mondi e culture diverse e amori contrastanti,alla vigilia della prima guerra mondiale e della leva forzata che l’esercito tedesco impose alla popolazione locale.In Paradise l'impegno di Gurnah è quello di una lotta ai preconcetti e quello di mostrare quanto diversificata sia la cultura africana.


Tra gli altri  libri di Gurnah i più importanti sono "By the Sea" ("Sulla riva del mare") del 2001


e "Desertion" ("Il disertore") del 2005


In tutti i suoi romanzi Gurnah esplora lo sradicamento dei rifugiati,un tema che attraversa tutta la sua opera a partire da quando egli stesso si trovò ad essere rifugiato all’età di 21 anni in Inghilterra.Quasi tutti i personaggi dei suoi libri sono rapiti,venduti,costretti a combattere battaglie altrui,a volte anche guerre contro le proprie genti.Essi sono protagonisti sradicati,che però vogliono costruire un’immagine di sé che sia veritiera e mai riflessa dall’occhio della distorsione coloniale:sono figure che viaggiano fra continenti e culture diverse,conservando,però la memoria delle proprie radici.Appartenenza,rottura,dislocamento:sono le parole del "fuori" per Abdulrazak Gurnah,a cui corrispondono quelle del di "dentro":perdita,dolore,recupero.Con i suoi libri e in alcune interviste Gurnah ha invitato l’Europa a cambiare la sua visione dei rifugiati dall’Africa e in generale della crisi migratoria:"Molte di queste persone vengono in Europa per necessità,fuggono da guerre,fame  e carestie e hanno qualcosa da dare.Non arrivano a mani vuote.Molte hanno talento ed energia".La migrazione e lo spostamento,dall’Africa all’Europa,sono al centro di tutti i romanzi di Abdulrazak Gurnah.I suoi personaggi,spesso dei rifugiati o degli espatriati,talvolta figli di immigrati,vivono una costante scissione tra un passato doloroso e un presente in cui non riescono mai a realizzarsi pienamente né come individui né come cittadini,anche a causa di pregiudizi,razzismo e delle invalicabili barriere tra la cultura di provenienza e quella di approdo.Se solo si guardano le date di pubblicazione dei suoi romanzi ("Paradise" è del 1994,"By the sea" del 2001,"Desertion" del 2005)si comprende come Gurnah sia un anticipatore di quella letteratura della migrazione e della multiculturalità oggi così attuale.Infatti,nello scrivere i suoi libri Gurnah ha saputo "leggere" un mondo che sarebbe venuto e che infatti è venuto,ha saputo vedere fenomeni ancora in divenire,poi esplosi in tutta la loro forza deflagrante.I bambini dei suoi libri,venduti e "arruolati" dalle truppe colonialistiche,sembrano raccontarci anche della sorte dei bambini somali o iraniani o afghani,tolti ai loro giochi e alla loro età per farne soldati bambini,a volta piccoli,poveri inconsapevoli esseri di morte con una cintura di bombe addosso.E Gurnah ha anticipato anche altri temi sui quali oggi si discute e che coinvolgono il senso stesso del presente e del futuro dell'Europa.Come,ad esempio,la migrazione di interi popoli che fuggono dalla fame e dalle guerre,le cui vicende pure in questi ultimi tempi abbiamo mediaticamente osservate attraverso le immagini che ci venivano dall'Afghanistan.Una migrazione di gente disperata in cerca di un incerto futuro che passa attraverso i campi di violenze e di tortura libici,o lungo le strade ghiacciate della rotta balcanica o che spesso finisce in una morte atroce in barconi inghiottiti dalle acque del Meditarraneo.E intanto l'Europa costruisce muri culturali e materiali sempre più alti fondati sull'odio e l'intolleranza di populismi e nazionalismi sempre più feroci.Ma il fenomeno migratorio non si ferma innanzi ai muri,perchè rappresenta un fatto storico ineluttabile che costringe a fare i conti con quello che noi europei siamo stati e abbiamo fatto contro l'Africa,dei saccheggi materiali e culturali delle terre e delle culture africane e del Medio e dell'Estremo Oriente.E probabilmente ha ragione Gurnah quando dice che:"c'è una sorta di avarizia dietro al motivo per cui è così difficile per gli Stati europei fare i conti con questa realtà".Ecco perché  in certo qual modo dobbiamo ringraziare la giuria di Stoccolma:anche se inatteso,è quanto mai opportuno l'assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura ad Abdulrazak Gurnah:perché costringe noi europei a guardare al dolore del mondo,al di là di ogni odio ed egoismo.