Di "loro",delle loro esistenze,ce ne siamo accorti solo forse adesso,in questo tempo di pandemia,quando,nelle nostre vite recluse,siamo restati forzatamente a casa,senza poter uscire e andare fuori con gli amici per una cena o una pizza.Così ci siamo accorti di loro,di quel ghost people,di quel popolo fantasma che sono i rider,i ciclisti,che sotto la pioggia,con il freddo e con il virus incombente per le vie delle città,ci portavano il pranzo o la cena calda nelle nostre case.E per portarcele calde dovevano correre sulle loro bici,con scatoloni termici in spalla:dovevano correre e lasciare per strada diritti e tutele lavorative,per eseguire consegne entro i ristretti tempi imposti loro dalle app e dagli algoritmi delle "Food Delivery",come Just Eat,Glovo,Deliveroo,Uber Eat,Foodora,cioè quelle società di consegna di cibo a domicilio,i "datori di lavoro" dei riders.Questi moderni "fattorini" sono,in realtà degli sfruttati o dei neo-schiavi,considerati merce,al pari delle merci che trasportano,poiché soggetti agli indici di gradimento di clientela e datori di lavoro.Perchè per il "servizio" effettuato,queste persone sono valutate con le stelline o gli emoticon,che indica l'indice di "soddisfazione" del cliente e il loro ranking è determinato da un algoritmo.Il tutto per una paga che,a seconda delle piattaforme,può anche rasentare i 2-3 euro a consegna più incentivi.Precarietà e miseria a due ruote.Una condizione che connota migliaia di persone in Italia,in maggior parte giovani e immigrati.Questi "nuovi schiavi",si muovono tutti i giorni dalle loro abitazioni,tornando poi a casa stremati dalle lunghe pedalate nel traffico e sotto lo smog.Sono gli ultimi tra gli ultimi delle categorie di lavoratori e,in questo tempo di pandemia,hanno messo a rischio la loro salute spesso per uno "sfizio" di sushi,pizza e patatine,un qualcosa che qualcuno può concedersi a danno di qualcun altro,come loro,che per star dentro i tempi di consegna,a stento riescono a consumare un panino.E' un mondo al nero quello dei riders,perché il mondo del food delivery si nutre di lavoro nero:tutto un mondo di applicazioni,appalti e gestioni dalla configurazione non chiara,con prestanome e vertici difficilmente individuabili.Di fatto oggi i riders vengono assunti senza alcune tutele fondamentali,con salari ridicoli e altri rischi di truffa,in un mercato che si è ancora più esteso dallo scoppio dell’emergenza sanitaria.Infatti da un’analisi del Censis è emerso che più di un italiano su tre(37%)ha ordinato,durante l’anno,dal telefono o dal proprio Pc pizza o piatti etnici.Già nel triennio antecedente la pandemia il delivery era un settore in rapida espansione.Poi,con lo tsunami del coronavirus,le grandi piattaforme della consegna del cibo a domicilio hanno moltiplicato i loro affari,proponendo ai clienti offerte vantaggiose,anche con un taglio sui prezzi sul "servizio".Il tutto è ricaduto,ovviamente,su di "loro",sui riders,che,a fronte di un aumento delle richieste di consegne,hanno dovuto provvedere in proprio alla protezione dal virus,non essendo loro fornito,dalle associazioni di Delivery,alcun presidio,nessunamascherina,guanti o gel.Praticamente le loro vite valevano quanto o meno di una di quelle pizze che andavano a consegnare.Ma intanto in quei giorni "loro" continuavano a correre sulle strade delle città italiane.E se qualcuno di loro per la fretta cadeva dalla bici,o peggio si beccava il covid,hai voglia a parlare di malattia o infortunio sul lavoro,come accade per un normale dipendente della Pubblica Amministrazione.Anzi,il lavoro lo perdevano,perchè "sforavano" i tempi dell'algoritmo.Qualcosa è stato fatto anche grazie ad alcune Sentenze di qualche giudice del lavoro e alcuni dei riders sono stati inquadrati come dipendenti a tempo indeterminato dalle Associazioni del delivery.Restano tuttavia senza risposta molte altre questioni.Anche in questa tragedia del covid s'è vista la grande disparità tra garantiti e meno garantiti o per niente garantiti.Perchè anche il covid non è stato uguale per tutti.Se molti di noi sono restati a casa a lavorare da remoto,in smart working,altri,come i riders e tanti altri precari,hanno visto trattate le proprie vite come vite "minori",sotto l'occhio del Grande Fratello,l'Algoritmo.Eppure questo tempo di pandemia ci dovrebbe insegnare che anche le nostre vite "normali" dipendono da quei ragazzi dei supermercati,dei riders delle Food Delivery e dei corrieri di Amazon e che perciò non ci sono,a dirla con Orwell,vite più "uguali" delle altre.Domani,usciti dall’emergenza bisognerà ripensare il nostro welfare e il mercato del lavoro.Sinora si è lasciata crescere in maniera incontrollata la fetta dei flessibili che in qualche modo compensava l’inflessibilità degli altri,andando a coprire ogni tipo di mercato e di servizio,lavorando questi precari,spesso senza straordinari né ferie pagate.Nei prossimi anni,però,i nati negli anni '90 usciranno dal mercato del lavoro,peraltro con pochi spiccioli di pensione.Se a questo si unisce l’inverno demografico del Paese,può avvenire il paradosso che non ci saranno abbastanza persone in grado di pagare le pensioni,sia dei precari che dei dipendenti.Ed è anche per questo che le vite dei riders e dei precari in genere,sono storie che riguardano tutti noi.
15 maggio 2021
06 maggio 2021
TEMPI MODERNI
Ha colpito un pò tutto il Paese quella morte,quell'incidente sul lavoro nel quale ha perso la vita Luana D'Onofrio,una ragazza di 22 anni,mamma di un bambino di 5,restata impigliata in una macchina in una fabbrica tessile in provincia di Prato.Quella notizia ha colpito la gente forse perchè era così carina,quella ragazza,forse perchè così giovane,forse perchè così piena di sorriso,di futuro,di felicità,come le sue foto su Instagram mostravano.Anche lei stava vivendo questo tempo nuovo e stra-ordinario,questo tempo pandemico che ha sospeso le nostre vite.Ed in questo tempo pandemico anche i modelli di lavoro stanno cambiando,con nuovi strumenti utilizzati in maniera nuova,con la parola "lavoro" coniugata con altre parole,come didattica a distanza e smart working,e l'Uomo sempre più "programmato" da un computer,da un algoritmo,da un’attività immateriale da svolgere alla scrivania.Tempi di telelavoro,come è successo nell’ultimo anno,tempi di video riunioni su zoom,di meetings su teams,tempi in cui l’Uomo e la Macchina sembrano non doversi incontrare se non da lontano,attraverso il filtro della telematica.E proprio la strabiliante evoluzione tecnologica,in forme sempre più raffinate,della Macchina,porterebbe a pensare che morire sul lavoro è solo memoria,terribile,di un’epoche che furono,quelle epoche raccontate nei romanzi di Dickens e di Zola,di Steinbeck e Cronin o di London,e in Italia da Verga o Bianciardi.Oppure memoria di film tipo "Tempi Moderni",nel quale,Charlot,in quella celeberrima sequenza,mentre è intento alla catena di montaggio,finisce letteralmente ingoiato da un meccanismo e si ritrova intrappolato tra le ruote dentate di un congegno che,come un enorme stomaco d’acciaio,lo ingurgita e lo digerisce e poi lo butta fuori,un po’ sbattuto ma tutto sommato illeso.Il film di Charlie Chaplin,uscito 85 anni fa,ci narra,appunto,le peripezie di un operaio che viene fagocitato dalla macchina e ci racconta simbolicamente dell’alienazione della fabbrica,che risucchia la mente,prima ancora del corpo,a causa di un tipo di lavoro in cui l’uomo diventa parte del meccanismo fino a diventare un tutt'uno con esso.Tutto questo dovrebbe essere solo memoria,si diceva.Ed invece ancora oggi,ancora nel 2021,torniamo a scoprire che,alla faccia della tecnologia e della telematica e dell'informatica,la lotta tra uomo e macchina è una battaglia che si continua a combattere,in Italia e nel mondo,e che non finisce come nel film di Chaplin,ma con le macchine che possono ancora “mangiare” le persone,non solo simbolicamente ma anche letteralmente. Scopriamo,allora,che non è cambiato niente,scopriamo che un posto di lavoro,che dovrebbe essere luogo di vita,può diventare un luogo di morte, e che i nostri tempi moderni,tanto moderni non lo sono affatto.E lo scopriamo attraverso la storia di quella ragazza,di Luana,così giovane e graziosa che al solo guardarla viene da pensare:ha tutta la vita davanti,con i suoi sogni e le sue speranze.L’immagine del futuro,insomma.E invece leggi di lei come dell’ennesima morte sul lavoro,proprio a pochi giorni di distanza dal 1° maggio,dalla ricorrenza che dei lavoratori ricorda i diritti e le lotte.E' passato quasi un secolo dal film di Charlot;ed in questo secolo ci sono state incredibili innovazioni industriali e tecnologici,autostrade informatiche,fibre ottiche,dati che viaggiano a velocità sempre maggiore,dispositivi così sofisticati da sconfinare nel magico e nel misterioso,mutamenti sociali,economici, politici,di costume.Ma per Luana D’Orazio e per tutti quelli che come lei ancora ogni giorno rischiano la vita lavorando,non è passata nemmeno un’ora.È sempre lo stesso tempo,un tempo in cui il corpo dell’uomo è ancora in balia della Macchina,è un corpo fragile,esposto alla potenza della Macchina,un tempo capace di fagocitare in pochi minuti la vita di un operaio,la sua famiglia,i suoi sogni e bisogni.E il tempo dei diritti scorre ancora più lento rispetto a quello della tecnologia,dell’economia,della scienza,delle comunicazioni.Anzi,ogni giorno è il tempo dei diritti,perchè è questo un tempo ancora non venuto del tutto,un tempo da costruire giorno per giorno,ricordando ogni singola vita interrotta,ogni famiglia spezzata,ogni sorriso cancellato.Altrimenti non saranno mai "tempi moderni".