02 luglio 2019

QUANDO MUORE LA RAGIONE





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Ma come siamo potuti arrivare fino a questo punto ? Come è successo che nel civilissimo e solidale popolo italiano si siano instillati questi sentimenti di odio,rancore,intolleranza,repulsione verso l'altro e il diverso, soprattutto se poi l'altro è un immigrato che arriva in Italia per sfuggire a guerre,fame, carestie e violenze subite anche nei campi libici di raccolta profughi(in realtà dei veri e propri lager,dove uomini e bambini subiscono soprusi e le donne sono sistematicamente violentate)?E così,mentre ogni volta quei 4 poveri diavoli sono lì,in mare,su una nave alla quale il Ministro col Rosario vieta di entrare in porto,non ci si indigna più,non ci si ribella più e anzi talora taluni entusiasticamente plaudono quando ad una famiglia di etnia rom,ma italiana a tutti gli effetti,viene impedito di entrare in una casa popolare,LEGITTIMAMENTE loro spettante.E non diciamo niente quando bambini,figli di extracomunitari che frequentano le scuole materne ed elementari italiane,vengono allontanati dalla mensa scolastica o viene loro negato il diritto a fruire del servizio di scuolabus,così come è accaduto a Lodi.Questo odio contro gli immigrati trascende e diventa un sentimento di più diffusa intolleranza anche tra gli stessi italiani,solo perché,magari,in qualcuno c'è un altro e diverso sentire ideale e culturale,rispetto al "mainstream" dominante.E' doloroso ammetterlo,ma siamo difronte ad una specie di guerra civile verbale,nella quale si cerca il soffocamento e non il confronto delle idee.Su ogni social,in ogni talk show,in ogni occasione che potrebbe essere luogo di confronto e di dibattito si cerca la degradazione di quello che viene visto come il nemico,non l'avversario politico,in un ottuso, e cieco sentimento di furore antagonista.Quali altre e alte parole usava,invece,a proposito del confronto delle idee,il liberale Luigi Einaudi:"sentire la gioia,una delle più pure che cuore umano possa provare,la gioia di essere costretti a poco a poco dalle argomentazioni altrui a confessare a se stessi di avere,in tutto od in parte,torto e ad accedere,facendola propria,alla opinione di uomini più saggi di noi......
Forse può aiutare a comprendere quello che sta accadendo oggi in Italia,il libro di Siegmund Ginzberg"Sindrome 1933,.Nel suo libro Ginzberg  indaga su un clima culturale,un ambiente politico cupo e oppressivo esistente nella Germania del 1933.Da questo contesto l'autore rileva impressionanti similitudini con la situazione oggi esistente in Italia.Certo,non si tratta di paragonare Salvini a Hitler,quella sarebbe davvero una sciocchezza.Ginzberg,invece,fa una ricostruzione di un clima sociale e culturale attraverso la rilettura dei quotidiani dell’epoca,trovando analogie nel panorama di testate di allora che somigliano così tanto a quelle attuali fascio-trash italiane,tipo "Libero","La Verità" di Maurizio Belpietro e altre.Era sulle pagine dei giornali tedeschi del '33 che si specchiavano i sentimenti peggiori della gente e li si legittimava,li si alimentava e aizzava all'odio,riempendo la testa ed il cuore di rancore e odio,invece che di ragionamenti e sentimenti.Era proprio lì,su quel tipo di stampa che si attaccavano ogni giorno gli immigrati,che allora erano ebrei in fuga dai pogrom nell’Europa orientale:ogni fatto di cronaca nera che avesse come protagonista uno di loro veniva urlato ed enfatizzato,per stimolare il rancore e il furore contro l'altro,appunto.Era su quei fogli che ci si indignava o si sghignazzava per i comportamenti degli ebrei,i loro cibi,i loro presunti privilegi.Gli ebrei di allora svolgevano esattamente la funzione degli immigrati di oggi:trovare allora come oggi,un colpevole verso cui indirizzare la rabbia per la crisi economica che aveva devastato la Repubblica di Weimar allora,gli Stati europei oggi,in seguito alla crisi finanziaria internazionale.Di qui la narrazione alla quale milioni di tedeschi credettero senza obiettare o dubitare:da un lato gli ebrei,i politici,i socialdemocratici,le élite degli stati europei;dall’altro il popolo,la Nazione,lo Stato sovrano.Il popolo:parola nobile rapidamente rapinata dal partito di Hitler,che iniziò a usarla a dismisura autorappresentandosi come portatore dei suoi interessi in contrasto con ebrei,élite,casta dei politici,intellettuali e i governi europei democratici.E poi ci fu il riduzionismo.In fondo,pensarono i  tedeschi,Hitler non era poi così brutto come gli avversari lo dipingevano,si va beh strilla in piazza,ma alla fine ci libera di quelli lì,degli ebrei brutti e cattivi.Così come oggi "ci pensa lui",il ministro col Rosario,a mandar via gli immigrati.Alla fine,però,la parte più interessante della ricerca di Ginzburg sul 1933 sono i “segnali deboli”,quelli che provenivano dalla società e che legittimavano la dittatura hitleriana.Piccoli fatti di cronaca appena riportati,di solito insulti per strada a ebrei,un tizio che rifiuta di farsi tagliare i capelli da un barbiere quando scopre che è ebreo,lettere ai giornali perché la negoziante ebrea fa i prezzi troppo alti,altra gente che scrive arrabbiata perché gli ebrei rubano loro i sussidi sociali.Proprio come oggi:devono venire #primagliitaliani ed è perciò che si nega la casa ai rom e il divieto della mensa e dello scuolabus ai bambini extracomunitari e il ministro col Rosario chiude i porti e vieta lo sbarco a bambini di pochi anni e a donne violentate,che sono stati per giorni e giorni sulla nave della Ong.Sono questi infiniti segnali deboli a farci rivivere il clima,oggi come allora.E oggi,come allora,chi si opponeva al mainstream antiebraico era un pappamolle,un membro dell’élite,un pietista.Questo libro può insegnarci che ciclicamente c'è una fase impazzita che evidentemente l’umanità ciclicamente attraversa,nei momenti di paura e di crisi economica e sociale.In fondo, ce l’aveva già spiegato bene Manzoni,con la sua "Storia della colonna infame",nella quale viene narrata la storia di iniquità e violenza del potere fondato sul pregiudizio,l'intolleranza e l'odio dell'uomo contro l'uomo.Ma ogni volta siamo sempre lì,al buon senso che cede al senso comune.

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