Il concetto di “rivoluzione liberale” può forse essere meglio capito guardando al contesto storico in cui maturò quell'idea.Gobetti,già nell’adolescenza,era suggestionato,come tanti studenti della sua generazione,dal mito di un rinnovamento radicale della nazione attraverso l’esperienza bellica,sentendosi spiritualmente vicino al cosiddetto “interventismo democratico” espresso dalle correnti intellettuali e politiche rappresentate dalle riviste fiorentine «La Voce» di Giuseppe Prezzolini e «L’Unità» di Gaetano Salvemini.Appena 17enne,nel 1918,fondò la sua prima rivista,«Energie nove», coinvolgendo alcuni compagni di scuola(tra cui la futura moglie,Ada Prospero).Quella rivista fu molto apprezzata dagli stessi Salvemini e Prezzolini per il tentativo di dar voce all'inquietudine di un'intera generazione spinta dalla volontà di superare la politica e la cultura dell'età giolittiana.Ma già nel 1920 Gobetti si allontanò da quell'esperienza,e nonostante la fortuna che quella rivista ebbe,decise di chiudere "Energie Nove",per un bisogno di "raccoglimento" e di "silenzio" per elaborare percorsi assolutamente nuovi,come egli scrisse nell'ultimo articolo.
Cominciò così per Gobetti un lavoro di ripensamento critico della realtà storica e politica italiana,nel quale approfondì gli studi sul Risorgimento,sulla Rivoluzione russa e sul ruolo del movimento operaio.Questo portò Gobetti a formulare un bilancio drasticamente negativo dell’azione delle classi dirigenti liberali a partire dal Risorgimento e dal processo di unificazione,sino alla drammatica crisi del dopoguerra e all’affermazione del fascismo che,con una delle sue espressioni più geniali definì «l’autobiografia della nazione»,per significare che il fascismo non era imposizione dall'alto,quanto piuttosto un fenomeno radicato nella storia e nella cultura italiana,rivelando una tendenza collettiva ad una "servitù volontaria",sedimentatasi in una nazione culturalmente arretrata,non essendo avvenuti,come altrove in Europa,quei processi di modernizzazione della società.L'avvento del fascismo aveva certificato questa condizione ma,paradossalmente,proprio la lotta al fascismo poteva offrire l'occasione per una rinnovare la nazione con nuove "élites" per mezzo delle quali rigenerare il costume etico e politico degli italiani in senso liberale.
Gobetti si convinse che la criticità della realtà italiana consistesse nell’esclusione delle classi lavoratrici dalla vita politica e istituzionale del paese,dovuta all'egoismo delle classi dirigenti che impediva i processi di modernizzazione della società.Per Gobetti il mondo moderno s'era storicamente sviluppato proprio nei conflitti economico-sociali tra le classi,con la formazione continua di nuove élite che,nel battersi per i propri interessi, concorrevano a rendere vitale l’intera società.Il ruolo del movimento operaio risultava allora assolutamente decisivo,perché rappresentava il desiderio di emancipazione delle classi lavoratrici ma anche una risorsa delle società liberali.
Per queste sue posizioni, Gobetti andò incontro a numerose polemiche. Ci fu chi lo indicò come un comunista travestito da liberale,per la sua collaborazione con il giornale torinese «Ordine nuovo» di Antonio Gramsci.E significativo fu il commento che la «Critica sociale»(la prestigiosa testata diretta da Filippo Turati) dedicò all’uscita del volume "La rivoluzione liberale":"Chi è Gobetti?E' un liberale?Un conservatore?Un comunista?O tutte e tre le cose assieme? E come si possono conciliare?Di certo è un agitatore di idee,un tenace antifascista,dietro al quale vanno molti altri giovani".
In realtà Gobetti era e rimaneva un liberale, che dell’ideologia socialista non condivideva assolutamente nulla,né sul piano filosofico, né su quello economico e sociale.Egli rimase sempre fedele agli insegnamenti di Benedetto Croce e Luigi Einaudi.Epperò il liberalismo gli sembrava improduttivo se fosse rimasto ancorato (come ancora accadeva in Italia)a vecchi pregiudizi di classe e a concezioni ristrette e oligarchiche dello Stato.Bisognava quindi che le teorie liberali si rinnovassero profondamente, tornando a svolgere la loro originaria funzione di guida e lotta delle classi borghesi contro i privilegi feudali prima e aristocratici poi, affermando i principi di libertà e di autonomia degli individui,creando una morale pubblica basata sui valori della competizione e del merito.
Per questo era indispensabile confrontarsi con le forze organizzate del movimento operaio, senza timore di “sporcarsi le mani” e senza nulla concedere all’ideologia socialista.Ecco,dunque,cosa significava per Gobetti la formula “rivoluzione liberale”.Egli proponeva una riforma dei valori liberali classici nel mondo nuovo che stava nascendo.Il suo fu un impegno culturale e politico di rinnovamento della teoria e della prassi liberali,rivolto non solo al tradizionale mondo liberale, ma agli elementi più giovani e indipendenti di tutti i partiti, compresi quelli socialisti,comunisti e dei cattolici.Certo quel progetto,per le vicende storiche del periodo in cui la sua breve vita si sviluppò(morì a soli 26 anni,massacrato dalle feroci,molteplici aggressioni delle squadracce fasciste)non trovò pratica attuazione,ma riemerse più tardi in alcuni settori dell’antifascismo italiano, in particolare del gruppo di "Giustizia e Libertà" e poi nel "Partito d’Azione".
Il liberalismo di Gobetti non è una espressione ideologica ma una cultura politica di carattere universale,valida in ogni epoca e in ogni circostanza storica per gli individui in lotta per la propria indipendenza e libertà.Una cultura "rivoluzionaria",mirando essa a una continua trasformazione della società moderna.E' proprio perciò che ancora oggi Gobetti è un personaggio che continua ad affascinare.In un tempo come il nostro che sembra aver liquidato le ideologie socialiste e comuniste ma non quella della "dittatura della Democrazia",come diceva Tocqueville,l’idea gobettiana di coniugare “liberalismo” e “rivoluzione” è sempre una strada per chi voglia realizzare un mondo più giusto e più libero.
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