L’8 settembre 1943 non é solo la data dell'annuncio della firma dell'Armistizio dell'Italia con gli angloamericani.Sì,quel giorno,dai microfoni dell’EIAR(l'Ente Radiofonico di Stato)il Maresciallo Badoglio annunciò agli italiani l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile,.Il documento sanciva il disimpegno dell’Italia di Mussolini dall’Asse con la Germania di Hitler e in molti si illusero che così la tragedia della guerra,nella quale il Fascismo aveva trascinato l'Italia,fosse finita.Ed invece quella data segnò l'inizio di un'altra tragedia,fu l'inizio di un’altra guerra,che fu guerra civile.Ci furono così altri bombardamenti,rastrellamenti,donne violentate e interi battaglioni di truppe italiane catturati e passati per le armi,in Italia come all'estero(ad esempio nelle isole greche di Cefalonia e Corfù dove il 22 settembre 1943 l'esercito tedesco consumò crudeli rappresaglie e fucilazioni di massa,contro i soldati della divisione Acqui proprio a seguito di quell'Armistizio).
Da quella data cominciò la Resistenza con una guerra civile che vide contrapposti i fascisti della Repubblica di Salò di Mussolini,insieme ai nazisti,a combattere contro gli antifascisti italiani,comunisti,socialisti,liberali e cattolici,riuniti nelle varie brigate partigiane.
Ma al di là dei fatti storici,l'8 settembre é anche la narrazione del modo di essere italiano e di appartenere a una comunità chiamata Patria.Cosa resta,infatti,negli italiani dell’8 settembre del ‘43?Nella memoria poco o nulla,nel carattere tanto o tutto.Resta lo s-paesamento,anche nel senso di perdita del Paese.E resta la de-solazione,anche nel senso di privazione del suolo.Resta la fine di uno Stato che era diventato ricettacolo di egoismo e familismo.E dell’8 settembre resta il disprezzo per la monarchia e le classi dirigenti,scappate via da Roma subito dopo la firma dell'Armistizio.Quella Monarchia e quelle classi dirigenti che avevano favorito l'avvento del fascismo,che adesso scappavano dalle proprie responsabilità.Una fuga dalla storia,sulla via del tradimento.E resta il peggiore degli antifascismi,quello del giorno dopo e della convenienza,di quello facile a farsi,tanto il fascismo era già caduto.
Roma rimase,così,senza Re,senza Governo,senza alcuna direttiva per le truppe:se l’erano tutti data a gambe dimostrando la cifra di un ventennio.Tanti sono i racconti del periodo,dal celeberrimo film "Tutti a casa",di Luigi Comencini con Alberto Sordi,
al romanzo "La Pelle" di Curzio Malaparte,che descrive una giornata di festa e balli,armi buttate e uniformi militari sostituite con abiti civili.Perché,appunto,la stragrande maggioranza della gente era persuasa della fine della guerra.Come se bastasse così poco,una roba all'italiana:immaginare che l’essersi messi al fianco del mostro germanico,con la sua folle politica di dominio e i campi di sterminio,fosse colpa redimibile con una strizzata d’occhio.E che i tedeschi l’avrebbero presa con un’alzata di spalle,tanto vabbé,non era successo niente.
Gli storici Renzo De Felice e Rosario Romeo prima e poi ancora Ernesto Galli della Loggia,definirono l'8 settembre "la morte della Patria".Romeo,in particolare,scrisse:eravamo un popolo di "antifascisti e antitedeschi dalla 25° ora",un popolo "moralmente e intellettualmente" incapace di cogliere la gravità dei suoi atti,o della sua indolenza.Quel giudizio valeva per il re,naturalmente,che aveva appoggiato ogni scelta autoritaria e liberticida del Duce,e che mai aveva trovato il coraggio di trarre le conseguenze drammatiche di quel regime e di quella guerra,restandosene imbelle al Quirinale,aspettando magarsi l'accendersi del famoso stellone italico.Ma valeva anche per la gran parte del popolo italiano,che per opportunismo,convenienza od interesse aveva dato il suo più o meno tacito assenso alle nefandezze del regime,anche a quelle più vergognose,come le leggi razziali.Perché,in fondo,questo é stato il fascismo:semplicemente una "autobiografia della Nazione",che uno spirito illuminato e visionario come quello di Piero Gobetti ebbe la capacità di vedere nel suo "Elogio della ghigliottina".Questo chiedeva Gobetti:una ghigliottina culturale,etica e morale,secondo la kantiana legge del "cielo stellato sopra di me,la legge morale in me".Una ghigliottina di cui il Paese necessitava(e di cui ancora necessita)per scrollarsi di dosso il suo opportunismo e le sue colpe storiche.Ma troppo pochi,allora come oggi,erano e sono gli "eroi" e i "sacerdoti" morali come Piero Gobetti.
Dunque la Patria morì l’8 settembre.O forse era già morta il 10 giugno 1940,quando un popolo euforico e incosciente esultò alla dichiarazione di guerra.O magari morì il 28 ottobre 1922,con la marcia su Roma che giunse come risposta alla richiesta delle classi dominanti di poteri forti.Quel 28 ottobre di 100 anni fa fu il tempo in cui la monarchia,i militari,gli imprenditori,la grande borghesia,e giù fino alle mamme che donavano la fede d’oro,si entusiasmavano alle pompose e vuote cerimonie del Regime.
Forse allora l’8 settembre è il risultato di una storia lunga e non ancora conclusa.Quei pochi non asserviti intellettuali italiani si son posti la domanda durante gli anni del terrorismo e quelli di Tangentopoli e la risposta è stata SI.Gli italiani sono sempre gli stessi,sempre "quelli" dell'8 settembre.Siamo quelli perché abbiamo una classe politica pavida,incapace,buona soltanto a rinviare le decisioni impopolari,come rinviava ieri davanti alla pandemia,come rinvia oggi,difronte alla drammatica crisi economica.E proprio per questa pavidità e incapacità é poi costretta poi a chiamare l'uomo della Provvidenza,ovvero il Mario Draghi di turno.Ma non solo la politica.Ci sono i grandi industriali che sono "prenditori" dallo Stato,piuttosto che imprenditori disposti al rischio.E abbiamo una borghesia tendenzialmente disonesta e furbastra,pronta a rifugiarsi in una autoassolutoria protesta antipolitica,dopo essersi per anni acconciata alla pratica della "raccomandazione" e del clientelismo politico,salvo poi linciare quella stessa politica con lancio di monetine fuori dall'Hotel Raphael.
E così da quell'8 settembre la storia dell'italica gente é sempre la stessa.Come diceva Ennio Flaiano la più grande fatica degli italiani é sempre una:correre in soccorso del vincitore,ogni santa,benedetta mattina.
Nessun commento:
Posta un commento