23 maggio 2022

IL CORAGGIO DELLE SCELTE





In quel pomeriggio di 30 anni fa,il 23 maggio 1992,tre auto correvano sull’autostrada A29 verso Palermo.A bordo c'erano il giudice Giovanni Falcone,sua moglie Francesca Morvillo,magistrata anche lei e gli uomini della scorta.Ma la corsa di quelle auto e la vita di quelle persone finirono tragicamente alle 17 e 58 minuti,quando esplosero i 500 chili di tritolo sistemati sotto l’autostrada,all'altezza dello svincolo di Capaci.Agli occhi dei primi soccorritori si presentò una scena allucinante:l'asfalto sventrato,un'enorme voragine nell'autostrada,tutto un inferno di lamiera,terra e detriti.L’auto in testa al corteo proiettata a 50 metri dalla carreggiata.Fu un'esplosione talmente potente che fu avvertita dall'osservatorio di geofisica e vulcanologia di Erice,distante 70 km.
Sono 30 anni da quella strage di mafia.Perché di mafia si trattò.Quella mafia che Falcone stava combattendo con gran senso delle istituzioni e dello Stato:di quello Stato e di quella sua Sicilia che avrebbe voluto cambiare anzitutto eticamente,per ridar dignità a un patrimonio morale e ideale secolare,oppressi dal malaffare criminale.

Da quel 23 maggio 1992 son trascorsi altri trenta 23 maggio,ma quell'esempio di moralità e senso dello Stato non é stato ancor oggi recepito,soprattutto dalla politica italiana.Al di là delle solite vuote e formali celebrazioni retoriche,di lapidi  scoperte e di corone di fiori,la politica italiana mai,concretamente,ha assunto come esempio la figura e l'esempio di Falcone.Anzi.Il tema della mafia sembra scomparso nell'azione quotidiana di governo e opposizione.Quasi come se la mafia non ci fosse più in questo Paese.E invece eccome se esiste ancora oggi la mafia.Ma non é tanto la mafia dei mitra o delle bombe quella più pericolosa.E' una mafia finanziaria quella di oggi,ed è proprio la mafia che già allora Falcone aveva cominciato a disvelare.Lui fu il primo a "raccontare" una mafia "diversa",che contava sui consulenti finanziari,sulle banche e sugli affari,più che sulle pistole.Una mafia "diversa",perché mafia non vuol dire soltanto estorsioni,minacce,omicidi,droga.E' Mafia quella che fa fallire aziende,per poi "riaprirle" per riciclare denaro.E' mafia quella che fa violenza a imprenditori coraggiosi,sconfitti da una concorrenza invincibile perché basata sui profitti illeciti,grandi opere pubbliche realizzate al risparmio sulla pelle dei cittadini.Ancora oggi,nonostante l'insegnamento di Falcone,quell'intreccio perverso tra malavita,politica e burocrazia corrotte continua ad esserci negli appalti pubblici,nel mondo finanziario e dei grandi affari.

Ma Falcone  prima che a Capaci,morì altrove.Morì in quei posti dove politici,giornalisti a loro vicini e perfino i suoi colleghi magistrati,lo combatterono con lo strumento della delegittimazione che é quella condizione di cui parlava il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa,poco prima di essere ammazzato,quand'era prefetto di Palermo:il personaggio pubblico viene eliminato:   "quando(.....)è diventato troppo pericoloso ma lo si può uccidere perché è isolato".



Come con Falcone.Si attacca un magistrato nel personale,si scava nella sua vita familiare,gli si nega un incarico che potrebbe ufficializzarne il prestigio,lo si emargina,in una parola.Morì anche per l’invidia dei colleghi di Palermo,per l’arretratezza culturale del Consiglio Superiore della Magistratura che bocciò la sua candidatura.Neppure fu nominato Alto Commissario Antimafia.E fu ucciso idealmente da una classe politica che non ne aveva capito il suo inestimabile valore(o che lo aveva capito fin troppo bene e lo lottava proprio per questo).Anche di quella classe politica che poi su presunte battaglie contro Cosa Nostra costruì le proprie fortune poltiche,pur senza,in realtà,mai aver mosso un dito.Erano(e sono)tutti quei politici che il  grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia chiamò i "professionisti dell'Antimafia".

Giovanni Falcone fu sottoposto a infami linciaggi,ad accuse vili e spregevoli,tese a rovinarne la reputazione e il decoro personale e professionale.Oggetto di torbidi giochi di potere,tentativi di strumentalizzazione della partitocrazia,di meschini sentimenti di invidia e di gelosia da parte dei colleghi magistrati.Fu tutto questo che consentì alle mafie di metterlo più facilmente nel mirino.Che poi ad ucciderlo materialmente siano stati altri,poco importa.

Ogni anno l'Ente internazionale "Transparency International" stila la classifica sulla corruzione nel mondo.E come ormai da un pò di tempo accade,l'Italia non é certo ben messa in questa classifica.Ciò deriva da fenomeni diffusi non soltanto nella politica e dalle sue connessioni mafiose,ma anche da comportamenti della popolazione:le tangenti,che siano esse corruzioni o concussione,la politica clientelare,la sottomissione personale a qualcuno in cambio di favori e benefici,il compromesso politico/criminale e quella mentalità diffusa e radicata a non rispettare le regole che in Italia è normale quotidianità.

A 30 anni da Capaci,se vogliamo davvero onorare la memoria di Falcone,dobbiamo imparare e replicare la sua lezione.Non rassegnarci,anzitutto.Non rassegnarci,non adeguarci a ciò che per tanti,per troppi é divenuta quotidiana "normalità".Quei tanti,quei troppi che frodano,imbrogliano,prendono tangenti stando nella politica,nella società,nelle istituzioni e nei partiti.Perchè poi l'illegalità e il malaffare non si espande solo per le minacce della mafia,ma anche per gli stili di vita e i modelli economici e sociali cui guardiamo per vivere tra gli agi.Ecco.Occorre il coraggio di fare scelte,anche di rinunciare,per "fare sempre il proprio dovere,qualsiasi sia il sacrificio da sopportare".Proprio queste erano le parole di Giovanni Falcone.Proprio questo l'esempio che ci ha lasciato.Questo esempio s'ha da riprendere,per non farlo finire a Capaci.

"Che le cose siano così, – diceva Falcone – non vuol dire che debbano andare sempre così.Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche e cambiare,c’è un prezzo da pagare.Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”.

E' questa deriva,questa pigrizia mentale che ci fa rassegnare e adeguare.Repingerla e re-agire é l'impegno che ognuno di noi,nella propria vita,deve prendere per onorare veramente e degnamente Giovanni Falcone.E dopo toccherà allo Stato fare la propria parte.30 anni fa Giovanni Falcone ci ha lasciato una responsabilità di grande impegno,che però é anche un modello di bellezza della vita che non si può disattendere.Falcone aveva ragione:"possiamo sempre fare qualcosa".

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