Sono tante le rivolte e le manifestazioni di piazza che si stanno svolgendo da parecchi mesi in ogni angolo del mondo.Nessuna area del mondo si può dire immune da questi sommovimenti.E adesso tante crisi divampano anche in quei luoghi che si consideravano stabili e sicuri o per via di salde democrazie o,al contrario,per la presenza di regimi o governi autoritari.E' come se ci fosse un’unica grande crisi di carattere globale ed internazionale in cui è difficile districarsi ma in cui è comune il denominatore:la popolazione è in rivolta e i governi si stanno lentamente indebolendo e le loro politiche sono insufficienti a governare un mondo che cambia.Una miscela esplosiva da cui discende un’instabilità ed una debolezza dell'intero assetto globale.Le immagini delle tv e di internet parlano chiaro.Il Cile vive una delle sue crisi politiche,sociali ed economiche più profonde,mentre la capitale,Santiago,ha visto tornare i blindati per le strade come non accadeva dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet.E non è stato certo un aumento del biglietto dei mezzi pubblici a scatenare la rabbia di un intero popolo.Rabbia che ha caratterizzato anche pochi giorni prima l'Ecuador,dove le rivolte hanno costretto il governo a fermare un nuovo aumento delle tasse.E sempre in Sud America c'è l'Argentina sull'orlo del collasso economico con una inflazione al 54%.E poi ancora un Venezuela che vive sull’orlo del precipizio sotto il regime di Nicolas Maduro,e il Brasile sotto il governo populista e illiberale di Bolsonaro.Venti di protesta,fiamme di rivolte e ribellioni esplose anche a Hong Kong,iniziate a seguito della legge sull'estradizione forzata in Cina,con la protesta(la rivolta degli ombrelli,come è stata chiamata)che da mesi si svolge contro l'oppressivo regime cinese di Xi Jinping e che non accenna a placarsi.E in questi giorni, alla guerra e alla debolezza politica endemica del Medio Oriente si è unito anche il fattore Libano,un Paese crocevia di interessi internazionali che adesso si è scoperto di nuovo in grado di esplodere.Anche qui, come in Cile,non si può certamente credere che sia stata una piccola sovrattassa su Whatapps a portare migliaia di persone in piazza e i blindati a presidiare le strade di Beirut e di Tripoli.C’è qualcosa di più profondo,un malessere diffuso al pari di una crisi politica dai contorni oscuri e in cui si incrociano interessi nazionali e internazionali,etnici e confessionali.Anche l'Europa vive giorni delicati in un contesto di estrema debolezza delle istituzioni europee e nazionali.Mai come in questi anni l’Europa ha subito un tracollo delle sue strutture politiche,della loro credibilità e della capacità dei governanti di raccogliere il malessere diffuso dei governati,con l'espandersi inevitabile di sovranismi e demagogie populiste.Un sentimento strisciante che ribolle in ogni angolo del Vecchio continente.Così in Catalogna,dove i gruppi indipendentisti più radicali hanno messo a ferro e fuoco Barcellona,devastando il centro della città e riportando la Spagna ai giorni del referendum secessionista.Una violenza cui si unisce una debolezza del Paese iberico,incapace di uscire da ogni crisi:da quella politica nazionale a quella delle regioni separatiste.Questo vento di instabilità e di incapacità di uscire dalla crisi è lo stesso che sta attraversando il Regno Unito,mai così debole e fermo come in questi mesi di negoziato e di voti sulla Brexit e che si è dimostrato ferito e spaccato come mai lo era stato nella sua storia,mentre i movimenti separatisti provano di nuovo ad alzare le pretese e il governo a cercare disperatamente una soluzione prima che sia la piazza a imporre il cambio di passo.Quella stessa piazza che si è vista diventare così violenta in Francia nella protesta dei gilet gialli.
In Europa c'è un ulteriore elemento che accomuna le varie proteste di piazza.E' la crisi dello strumento della democrazia parlamentare.Difronte a questa debolezza del parlamentarismo nelle sue forme classiche e tradizionali e al contemporaneo rigorismo delle istituzioni finanziarie europee finanza si inserisce la protesta scomposta di movimenti sovranisti che,giocando sulle paure della gente sui problemi del lavoro e della sicurezza, guardano all'immediato e al contingente senza capacità di analizzare i problemi nella loro globalità con uno sguardo prospettico del futuro.E così si costruiscono miraggi di visioni nazionali,di indipendentismi e piccole patrie,distorte e controproducenti rispetto alla necessità di una superiore democrazia sovranazionale e vite degli umani.Ci troviamo di fronte ad una transizione internazionale.Ma l’urgenza che resta scoperta è quella di trasformare l’istanza sociale in un programma di cambiamento della politica e delle istituzioni,recuperando le categorie della protesta e della rivolta come costitutive di quella bella parola che è Democrazia,che significa coinvolgimento e partecipazione e controllo di ogni cittadino sull'esercizio del potere.E quando parli di Democrazia,quella vera e partecipata,non puoi non ricordare le parole che Alexis di Tocqueville proprio su questo tema scrisse quasi 2 secoli fa nella sua famosa opera."La Democrazia in America":
"Tra le novità che attirarono la mia attenzione(.....)nessuna mi ha maggiormente colpito dell’uguaglianza delle condizioni.Senza fatica constatai la prodigiosa influenza che essa esercita sull’andamento della società:essa dà allo spirito pubblico una determinata direzione,alle leggi un determinato indirizzo,ai governanti dei nuovi princìpi,ai governati abitudini particolari.Subito mi accorsi che questo fatto estende la sua influenza assai oltre la vita politica e le leggi,e che domina non meno la società civile che il governo:infatti crea opinioni,fa sorgere sentimenti,suggerisce usanze e modifica tutto ciò che non crea direttamente.
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