Piero Ostellino,scomparso il 10 marzo scorso,sarà certamente ricordato come una delle più belle firme del migliore giornalismo italiano.Fu un grande inviato,poi corrispondente ed editorialista,ed infine direttore del "Corriere della Sera".Ma sarà ricordato soprattutto come un liberale vero,interprete di un liberalismo coltivato soprattutto a Torino dove fondò dapprima il Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi e poi la rivista "Biblioteca della Libertà".Torino fu per Ostellino la città in cui si laureò avendo come relatore e correlatore due maestri del calibro di Alessandro Passerin d’Entrèves e Norberto Bobbio.Da allora divenne per tutti "il liberale Piero Ostellino",così senza altri aggettivi,lui fu "solo e "soltanto" un liberale.Come lo fu il suo amico Valerio Zanone,altro grande rappresentante del liberalismo italiano.Quel Valerio Zanone,uomo di raffinata e vasta cultura,prima ancora che uomo politico,il quale volle che sulla sua tomba fosse apposta solo una parola:"LIBERALE".Così fu anche Ostellino:uno dei pochissimi intelletti nel nostro Paese che ebbe il coraggio di rivendicare con convinzione l'identità liberale senza essere costretto ad aggiungere aggettivi né a specificare precedenti o successive appartenenze.Un liberale puro,capace di essere tale anche in tempi nei quali di liberali veri ce ne erano(e ce ne sono)pochi e quei pochi si trovavano( e si trovano)ad agire in un mondo dove è difficile e quasi "pericoloso" "parlare" liberale.Anche la passione per il giornalismo fu intesa da Ostellino come una forma di "militanza" liberale,in omaggio ai principi della propria formazione.Oggi tutti o quasi dicono e si vantano di essere liberali.Ma una cosa è il dire e l'altra è "fare" il liberale.Ostellino lo fece davvero il liberale,e lo fece,per giunta,in tempi in cui essere liberali era parecchio scomodo:quella sua condivisione per il pensiero che fu di Piero Gobetti e di Benedetto Croce e Luigi Einaudi lo mise in urto con i poteri costituiti nelle capitali dei Paesi comunisti da cui si trovò a scrivere,Mosca, Pechino,ma anche con i salotti buoni e rossi dell’intellettualità italiana,nei quali trionfava conformismo ed opportunismo e il sinistro "pensiero unico" italiota.Lui fu sempre in dissonanza con i tempi nei quali è vissuto.Una dissonanza colta,raffinata ed elegante,come l'uomo del resto.Liberale per davvero Ostellino.Ma per quella "leggerezza" culturale e le divisioni in tanti rivoli del pensiero liberale italiano,Ostellino non fu tenuto nel giusto conto dai liberali di casa nostra,se si eccettuano quelli che allora e in seguito gli hanno sempre testimoniato affetto e stima e cioè i radicali di Marco Pannella,e questo anche quando Ostellino criticò qualche loro iniziativa.
Più complicati,e si capisce il perché,furono invece i suoi rapporti con i comunisti,che non gli perdonavano il tono poco condiscendente di alcune delle sue corrispondenze da Mosca.
Piero Ostellino è stato anche questo:un uomo di profonda cultura,di mente aperta e proprio perciò autenticamente liberale.Se ne è andato con un solo rimpianto,di cui aveva parlato con gli amici:lasciare Parigi,dove da ultimo ha vissuto,e tornare a vivere a Torino,nella "sua" Torino,per occuparsi ancora,come quando tanti anni prima aveva fondato il Centro Einaudi e la "Biblioteca della Libertà",di quella che era la sua vera,unica passione:il pensiero liberale.
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