28 marzo 2012

L'APPELLO INFAME


Dal 30 marzo sarà nelle sale cinematografiche italiane il film "Romanzo di una strage" che rievoca le vicende di Piazza Fontana a Milano e dell'omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi.Con questo film riemergono alla memoria collettiva fatti,persone,momenti di anni tra i più bui della democrazia italiana,quelli che Sergio Zavoli raccontò nel suo bel libro "La notte della Repubblica".E aspettando di vedere il film,scorrono nei ricordi personali,nella memoria collettiva,le foto,le immagini,le notizie dell'orrore di piazza Fontana,della Banca dell'Agricoltura.E ti tornano alla mente le indagini,o per meglio dire il "modo" di condurre le indagini su quella strage.Di pista "anarchica" si parlò subito.E subito dopo di pista "neofascista".E poi di "servizi e pezzi deviati dello Stato".E ovviamente di CIA.
Ma nel film,così come racconta Mario Calabresi,figlio del commissario Calabresi e oggi direttore della Stampa,e che ha già visto il film, è sparita la campagna di linciaggio di cui fu vittima il padre.Un’aggressione che chiamare  schifosa è poco e che durò mesi. Un veleno preparato e diffuso dall'intellettualità della sinistra italiana: il meglio del meglio della cultura,del giornalismo, del cinema dei salotti rossi milanesi.
Il linciaggio si fondava su un pre-giudizio non avallato da prove e cioè che il commissario Calabresi era l’assassino di Giuseppe Pinelli,l’anarchico fermato dopo la strage di Piazza Fontana,morto tre sere dopo, cadendo da una finestra della questura di Milano.Su Calabresi si scatenò una serie di infamità e di falsità senza vergogna. Si disse di tutto:un colpo mortale di karate dato da Calabresi.Poi si sostenne che Calabresi era un agente della Cia addestrato in America, quando invece lui gli USA li aveva visti solo in cartolina.Ma non era ancora niente rispetto a quello che doveva venire dopo.Fu un congegno terrificante che durò mesi e mesi,anni e che si concluse con l’assassinio del commissario che andava in ufficio in "500" e senza scorta.
Fu naturalmente il giornale "Lotta Continua",espressione di quel movimento dalle cui fila vennero fuori i materiali esecutori dell'omicidio di Calabresi che cominciò quella campagna di odio.Ma subito dopo entrò in scena un pezzo da novanta: l’Espresso con la sua firma più famosa, Camilla Cederna.E da quel momento la vita del commissario diventò un inferno.
Così scrivevano Sofri e i suoi "compagni" su "Lotta Continua":“Sappiamo che l’eliminazione di un poliziotto non libererà gli sfruttati. Ma è questa, sicuramente, una tappa fondamentale dell’assalto dei proletari contro lo Stato assassino”.E fu proprio il diffondersi di frasi e concetti come questi che fece scatenare a Milano ed in tutta Italia una tremenda campagna di odio,una via crucis orrenda,giorni e mesi terribili per Luigi Calabresi e per la sua famiglia.
Ma il culmine dell’infamia fu toccato quando "L'Espresso" grandi firme lanciò per tre settimane una raccolta di firme nell'assoluta ed indiscussa certezza che Calabresi fosse un torturatore e un omicida.Ben ottocento eccellenze intellettuali di sinistra.Ottocento tra filosofi, registi, scienziati, editori, storici, architetti, pittori, scrittori, politici, sindacalisti e un buon numero di giornalisti firmarono l'appello che era una condanna senza appello per Luigi Calabresi.
Disgusto profondo e ribrezzo sono i veri,unici sentimenti che si possono nutrire per chi sottoscrisse quell'appello.Disgusto e ribrezzo.Perchè quell'appello puzzava di faziosità sfrenata,di furibondo partito preso,di certezze proclamate con il sangue agli occhi, di dubbi rifiutati con disprezzo.In quel clima, se non partecipavi al gioco del linciaggio di Calabresi una penale comunque la pagavi.Eri fascista,stavi con i "padroni" e la polizia assassina.Stavi sul libro paga del Viminale.Oppure dovevi essere una spia dei servizi segreti.
Un elenco (infame) di ottocento firme.Scorrerle una per una, ti induce a pensare che la “meglio gioventù” del Sessantotto era stata messa al mondo dal peggio della sinistra italiana.Molti di quei "sottoscrittori" di quelle eccellenze intellettuali sono scomparse,come Norberto Bobbio e Giorgio Bocca.Ma tanti altri sono ancora in vita.E ancora oggi sono venerati e adorati come i soli maestri legittimati a dare sacre lezioni di moralità,perchè migliori loro erano/sono.E se proprio vogliamo ricordare qualche nome,facciamolo pure:Eugenio Scalfari, Umberto Eco, Dario Fo, Furio Colombo, Lucio Villari, Bernardo Bertolucci, Toni Negri, Dacia Maraini…Ecco,questi erano solo alcuni degli Ottocento.C'è bisogno di continuare? Non credo.....

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