Mai stato comunista.Non c'è niente di più lontano dalle mie idee che le idee e l'ideologia comunista.Quel modo di intendere la politica,la società,l'economia e l'individuo erano e sono agli antipodi rispetto al mio personale credo politico.Nella consapevolezza di quanto la Storia ci ha fatto sapere sulla natura totalitaria degli Stati che a quell'idea avevano dato materiale applicazione e che è sempre finita nell'oppressione fisica e morale dell'individuo così come testimoniano i fatti accaduti nell'URSS e in Cina,a Cuba e in Cambogia,in Ungheria e in Cecoslovacchia.Tutto questo,però,non mi ha mai tolto il rispetto per quell'altrui "sentire" comunista,e per quelle persone,soprattutto le più umili,che al comunismo credevano veramente e fermamente,quelle che alle "Feste dell'Unità" vendevano il "quotidiano fondato da Antonio Gramsci" o preparavano salamelle e piadine per la "causa" del partito.Ed è proprio per questo che l'altro giorno,camminando per le strade di Roma,son passato per via delle Botteghe Oscure,sotto quel palazzo che dall'ottobre del 1946 ha ospitato gli uffici della sede nazionale del Partito Comunista Italiano. E m'ha fatto un senso vedere i portoni di quel palazzo chiusi e sbarrati ed in una parte di esso addirittura un supermercato dentro.In questi locali dove è stata tradotta in italiano l'ideologia di Marx,Palmiro Togliatti si incontrava segretamente con l'amante Nilde Iotti,Enrico Berlinguer annunciò lo storico 34.4% alle elezioni del giugno '76 e Achille Occhetto decise lo scorporo definitivo del partito.Ora quei portoni sono chiusi e sbarrati.Sono state la finanza e le banche,i simboli di quel capitalismo da sempre combattuto dal Pci,che adesso hanno prevalso:gli interessi passivi insostenibili,che hanno portato ad un lento declino finanziario del Partito Comunista,hanno determinato un vero e proprio assalto alla diligenza che non ha risparmiato niente e nessuno.Così l'immobile,nel corso degli anni e pezzo dopo pezzo,è finito ad essere di proprietà dell'Abi (Associazione Bancaria Italiana).Dapprima l'attico di Botteghe Oscure fu venduto,negli anni '90,per 3 miliardi.Poi fu la volta dei posti auto(200 milioni di lire ciascuno)e,lentamente,di tutto lo stabile comprato da Bancaria Immobiliare Spa,braccio operativo immobiliare dell'Abi.Triste fine per quelli che furono i locali dove c'era lo studio di Togliatti al secondo piano,e poi l'ufficio Propaganda del 3° piano,e il grande salone del 4° piano e,sempre al quarto,l'Organizzazione,che recepiva le direttive da Mosca e fungeva da cabina di comando(ci passarono tutti,da Togliatti a Longo,da Berlinguer a D'Alema).Un’ultima parte pareva capace di resistere al «nemico» capitalista:l’ex libreria «Rinascita».Ma alla fine anche quella parte è stata venduta,per far fronte ai debiti accumulati e all'opera sterminatrice di Matteo Renzi.E così venne il giorno in cui gli operai di una ditta scaricarono,nel Partito degli operai,scaffali e frigoriferi,montarono il banco dei salumi,attrezzarono i registratori di cassa nell’ala un tempo destinata alla storiografia gramsciana.Quella parte divenne un punto vendita «Pam»,catena leader in Italia.L’ampio sotterraneo, teatro dei dibattiti in cui si formarono almeno tre generazioni di quadri,è ora adibito a magazzino.La fine di un'epoca,l'istantanea di un decesso,mentre Renzi surgela la minoranza ex diessina."Quando ci si dimentica della storia tutto può accadere e può accadere anche questo"ha twittato un "sopravvissuto" dell'era geologica del comunismo italiano.Colpa anche questa del renzismo?Già perché dopo la chiusura del "Palazzone" di via delle Botteghe Oscure,ha chiuso,anche l'Unità,fondata da Antonio Gramsci,ha smesso di stampare .E con essa sono finite anche le tradizionali Feste dell'Unità.Segno dei tempi.Tutte le sedi dei partiti storici di una volta(Via Frattina per il Pli,Piazza dei Caprettari per il Pri,Piazza del Popolo per la DC)sono scomparse,sparite,sotto l'insegna di un supermercato o nel migliore dei casi sotto la bandiera del consolato di un lontano paese caucasico.Ma nessuno poteva mai prevedere che quella che fu la sede del Pci di Togliatti,Amendola,Pajetta,Ingrao,Iotti e Berlinguer fosse occupata da scaffali non di libri e documenti ma di pesce surgelato,insalate e sofficini.E il deposito di carrelli della spesa dove un tempo c'era la libreria "Rinascita".Segno dei tempi e dell'imbastardimento della politica italiana.Non più pensieri e idee,non più cultura e formazione civile,sociale e politica;solo sguaiati personaggi e giovanotti incolti declamanti parole approssimative e superficiali che a stento si avvicinano ad un qualcosa che può definirsi come una frase,con tanto di storture grammaticali,per giunta.Questo è il Parlamento e questa è la politica dei Salvini e dei Di Maio.Ma forse,e più in generale,è questo il livello dell'attuale sentire politico del popolo italiano se un Salvini o un Di Maio hanno voluto come premier di questo sventuratissimo Paese.Chissà,forse se chiedi ad un pentastellato o a un padano chi poi sia Marx,ti sentirai rispondere:"Come no? Ho visto tante volte i film di Groucho.Da morire del ridere".In effetti non sai se ci sia più da ridere o da piangere per un Paese che può "permettersi" il lusso di due leader come quelli.Beato il Paese che non ha bisogno dei Salvini e dei Di Maio !
31 marzo 2018
15 marzo 2018
UNA SOLA PASSIONE
Piero Ostellino,scomparso il 10 marzo scorso,sarà certamente ricordato come una delle più belle firme del migliore giornalismo italiano.Fu un grande inviato,poi corrispondente ed editorialista,ed infine direttore del "Corriere della Sera".Ma sarà ricordato soprattutto come un liberale vero,interprete di un liberalismo coltivato soprattutto a Torino dove fondò dapprima il Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi e poi la rivista "Biblioteca della Libertà".Torino fu per Ostellino la città in cui si laureò avendo come relatore e correlatore due maestri del calibro di Alessandro Passerin d’Entrèves e Norberto Bobbio.Da allora divenne per tutti "il liberale Piero Ostellino",così senza altri aggettivi,lui fu "solo e "soltanto" un liberale.Come lo fu il suo amico Valerio Zanone,altro grande rappresentante del liberalismo italiano.Quel Valerio Zanone,uomo di raffinata e vasta cultura,prima ancora che uomo politico,il quale volle che sulla sua tomba fosse apposta solo una parola:"LIBERALE".Così fu anche Ostellino:uno dei pochissimi intelletti nel nostro Paese che ebbe il coraggio di rivendicare con convinzione l'identità liberale senza essere costretto ad aggiungere aggettivi né a specificare precedenti o successive appartenenze.Un liberale puro,capace di essere tale anche in tempi nei quali di liberali veri ce ne erano(e ce ne sono)pochi e quei pochi si trovavano( e si trovano)ad agire in un mondo dove è difficile e quasi "pericoloso" "parlare" liberale.Anche la passione per il giornalismo fu intesa da Ostellino come una forma di "militanza" liberale,in omaggio ai principi della propria formazione.Oggi tutti o quasi dicono e si vantano di essere liberali.Ma una cosa è il dire e l'altra è "fare" il liberale.Ostellino lo fece davvero il liberale,e lo fece,per giunta,in tempi in cui essere liberali era parecchio scomodo:quella sua condivisione per il pensiero che fu di Piero Gobetti e di Benedetto Croce e Luigi Einaudi lo mise in urto con i poteri costituiti nelle capitali dei Paesi comunisti da cui si trovò a scrivere,Mosca, Pechino,ma anche con i salotti buoni e rossi dell’intellettualità italiana,nei quali trionfava conformismo ed opportunismo e il sinistro "pensiero unico" italiota.Lui fu sempre in dissonanza con i tempi nei quali è vissuto.Una dissonanza colta,raffinata ed elegante,come l'uomo del resto.Liberale per davvero Ostellino.Ma per quella "leggerezza" culturale e le divisioni in tanti rivoli del pensiero liberale italiano,Ostellino non fu tenuto nel giusto conto dai liberali di casa nostra,se si eccettuano quelli che allora e in seguito gli hanno sempre testimoniato affetto e stima e cioè i radicali di Marco Pannella,e questo anche quando Ostellino criticò qualche loro iniziativa.
Più complicati,e si capisce il perché,furono invece i suoi rapporti con i comunisti,che non gli perdonavano il tono poco condiscendente di alcune delle sue corrispondenze da Mosca.
Piero Ostellino è stato anche questo:un uomo di profonda cultura,di mente aperta e proprio perciò autenticamente liberale.Se ne è andato con un solo rimpianto,di cui aveva parlato con gli amici:lasciare Parigi,dove da ultimo ha vissuto,e tornare a vivere a Torino,nella "sua" Torino,per occuparsi ancora,come quando tanti anni prima aveva fondato il Centro Einaudi e la "Biblioteca della Libertà",di quella che era la sua vera,unica passione:il pensiero liberale.
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